Lo Spirito Santo, anima della Chiesa
Catechesi tenuta dal vescovo nel corso della Veglia Diocesana di Pentecoste
Rimini, Piazza Cavour, 26 maggio 20012
Quella mattina di Pentecoste dell’anno 30 a Gerusalemme si udirono a ciel sereno due tuoni assordanti. Il primo squarciò l’aria all’improvviso, come un vento fragoroso che si abbatte gagliardo, e sembrò voler squassare il cenacolo dove si trovavano riuniti Pietro con Maria e gli altri discepoli di Gesù. La casa fu tutta riempita da un turbine vorticoso, ma non crollò. Il secondo boato rintronò nel cuore di una folla straripante che si era nel frattempo riunita lì intorno, quando Pietro con gli Undici si alzò in piedi e “a voce alta” proclamò:
“Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso. All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: Che cosa dobbiamo fare, fratelli? E Pietro disse loro: Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2,36-38).
Ora mi domando con voi, sorelle e fratelli tutti: cosa significa celebrare questa veglia nell’anno dedicato dalla nostra Diocesi al battesimo? Significa prendere sul serio le parole gridate da Pietro in quella prima Pentecoste della storia cristiana: “Convertitevi e fatevi battezzare”. Ma mi domando ancora: se noi siamo già stati battezzati e il battesimo non può essere reiterato, come ci può riguardare in prima persona il messaggio lanciato da Pietro? Significa forse che noi qui riuniti stasera siamo chiamati a immergerci con un tuffo nostalgico nel passato per commemorare un evento confinato nella notte della nostra infanzia? Certamente no. Non a rievocare, ma a rivivere il nostro battesimo siamo chiamati in questa santa veglia, e a lasciarci battezzare “nello Spirito Santo”. L’espressione battesimo nello Spirito l’ha inventata Gesù, quando disse: “Giovanni ha battezzato in acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni” (At 1,5). Con questa espressione Gesù alludeva a quanto si sarebbe verificato di lì a pochi giorni: l’evento della Pentecoste. Il battesimo nello Spirito, nell’intenzione di Gesù, è proprio la Pentecoste. Ripercorriamo allora i due simboli attraverso i quali lo Spirito Paraclito si è reso presente quel giorno nel cenacolo: il vento e il fuoco.
1. Alla scuola di “frate vento” impariamo che la vita cristiana è la vita più umana che ci sia, perché lo Spirito Santo è il vento che libera la nostra libertà dall’egoismo, dalla paura, dall’illusione. In effetti, scrive san Paolo, “dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà” (2Cor 3,17).
Il vento dello Spirito ci libera dall’egoismo, perché ci fa incontrare colui che è vissuto da uomo totalmente libero e può donarci la sua libertà. I discepoli di Gesù sono liberi perché hanno come unica legge il comandamento dell’amore. Sono liberi perché amano quello che fanno e fanno solo quello che amano. Lo Spirito di Gesù ti fa amare gli altri, al punto che dopo averli incontrati, essi restano più liberi, e tu meno schiavo. Nel battesimo sei stato reso libero perché lo Spirito ti aiuta a donarti ai fratelli senza pretendere di possederli. Sei libero quando ami la libertà del tuo prossimo più della tua. Sei libero perché quando regali la tua libertà a Dio e ai poveri, sei più libero di uno che è costretto a gestirsela in proprio. Sei libero perché quando lasci lo Spirito libero di sprigionarsi in te, allora solo l’amore è capace di incatenarti.
Lo Spirito del Risorto ci libera dalla paura: dalla paura di Dio, perché il Dio di Gesù non si pentirà mai di avermi creato libero. Se Dio mi cerca dopo il mio smarrimento, non è per incenerirmi, ma per salvarmi. Se Dio è Padre forte e tenero, non posso credere che la mia vita sia sotto la minaccia implacabile dei fulmini scagliati da un Giove perennemente infuriato, ma rientra in un disegno d’amore, pensato apposta per me. Lo Spirito del Signore mi libera dalla madre di tutte le paure, la paura della morte, perché me la fa vedere come una sorella che mette fine al primo tempo della vita, e mi introduce nel secondo, infinitamente più radioso e felice, quando non ci sarà più né lutto, né dolore, né pianto, ma pace e gioia nello Spirito Santo. Lo Spirito del Signore mi libera dalla paura della mia fragilità, perché mi fa sentire amato da un Dio pastore che si intenerisce per la pecora malata, stanca, incinta. Lo Spirito del Signore mi libera dalla paura del dolore, perché mi convince che quando sono attanagliato nella prova, la sua voce grida dentro di me e mi dice: stai risorgendo. Lo Spirito Santo mi libera dall’angoscia del passato, dall’ansia del futuro, perché il passato è sotto il segno della sua misericordia, il presente è stretto nell’abbraccio della sua tenerezza, il futuro sotto l’arcobaleno della sua provvidenza.
2. Alla scuola di “frate focu” impariamo che lo Spirito Santo è lo stesso amore che circola tra il Padre e il Figlio, e ricordiamo che questo stesso amore è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr Rm 5,5). Questo fuoco ci libera dalla impotenza di amare, perché ci fa sentire amati. Tutte le religioni insegnano il comandamento dell’amore, ma nel senso che è l’uomo che deve amare Dio. Solo il cristianesimo fonda questo comandamento sull’avvenimento primordiale: è Dio che ci ha amati per primo (cfr 1Gv 4,9-10).
Tutte le religioni comandano che l’uomo deve sacrificarsi per Dio; solo il cristianesimo insegna invece che è Dio che si è sacrificato per l’uomo. Il movimento è capovolto. Non sono i discepoli che hanno lavato i piedi al Maestro: questo, tutto sommato, sarebbe abbastanza ovvio. E’ il Signore che ha lavato i piedi ai discepoli: questo è davvero sorprendente. Ma non basta, come ci fa capire Paolo: Dio ci ha amati quando gli eravamo ancora ostili. “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8).
La fede nell’amore che Dio ha per noi e che ha dimostrato con la prova inconfutabile della croce, fonda l’amore per il prossimo non solo nel senso che lo rende comprensibile, ma anche nel senso che lo fa diventare concretamente praticabile. E’ quanto afferma Gesù dopo la lavanda dei piedi: “Se io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri: Come io ho amato voi, anche voi, dovete amarvi gli uni gli altri”. L’indicativo della fede precede e fonda l’imperativo dell’amore. Siamo tutti dentro la stretta dell’amore divino. Dio non ama l’uomo per essere da lui glorificato, ma perché l’uomo viva. Dio non ama l’uomo perché l’uomo è amabile, ma per renderlo tale. Ami quando non ami l’altro perché ne hai bisogno, ma ne hai bisogno perché lo ami.
L’amore libera dalla competizione: non solo fa passare dall’innato egocentrismo all’alterità, ma permette a questo rapporto di funzionare, di non impennarsi in contrapposizione, di non rovesciarsi in conflitto. Poiché l’uomo è desiderio insaziato di essere amato, l’altro uomo gli appare come possibile concorrente nel ricevere amore, e quindi scatta nell’io la necessità di competere e di essere vincenti. A questo punto la carità assume la forma della ‘giustizia’. Mentre nella tradizione occidentale la giustizia è dare a ognuno secondo il suo diritto, nella Bibbia è dare a ciascuno secondo il suo bisogno. Così l’agape sovverte la legge del conflitto – homo homini lupus – per instaurare la legge della fraternità. “La povertà dell’altro, che vedevo come minaccia per la povertà mia, e da cui mi difendevo affilando le armi, diventa l’oggetto primario della mia responsabilità, il peso da portare, il compito da affrontare” (A. Rizzi).
Il Paraclito ci comunica la vita divina, ci consente una esistenza veramente e pienamente umana, nel vento della libertà, nel fuoco dell’amore, nell’acqua della fecondità.
Siamo venuti qui questa sera, nella piazza maggiore della città, non per dirci o farci dire bravi. Non per contarci né per mostrare i muscoli, ma essenzialmente per pregare. Lasciamoci afferrare dalla potenza dello Spirito del Risorto e preghiamo insieme: “Vieni, Spirito Santo, vieni!”.
+ Francesco Lambiasi