Omelia per la S. Messa con la Consulta delle Aggregazioni Laicali
Si avverte un contrasto netto tra l’inizio e la fine del brano evangelico appena proclamato. All’inizio il Signore Gesù parla di devastazione della città santa, di giorni di grande tribolazione, di terribili sconquassi e di sconvolgimenti paurosi. Alla fine, a sorpresa, uno squarcio di speranza: “Risollevatevi: la vostra liberazione è vicina”.
1. Questo vangelo sembra una pagina stralciata dal libro dell’Apocalisse. E in effetti il linguaggio usato appartiene al cosiddetto genere “apocalittico”. Ma “apocalittico” non sta per “terribile e catastrofico”, come si pensa nell’immaginario collettivo. Apocalisse significa letteralmente “rivelazione”, uno spiraglio nel velo, quindi svelamento-manifestazione del disegno salvifico di Dio. In poche parole con questa rivelazione Gesù non vuole né illuderci né spaventarci: vuole scuoterci. Per questo ci dice: Svegliatevi! Anche quando sentite parlare di catastrofi, cataclismi e calamità, e anche di guerre, stragi e violenze; insomma anche quando sentite parlare di disastri naturali e di tragedie sociali, non dite: è finita. Queste cose succederanno sino alla fine, ma non sarà la fine. “Quando vedrete accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.
Le parole di Gesù, rivolte ai suoi discepoli, non vogliono indurre alla paura; sono piuttosto parole gravide di speranza: il Figlio dell’uomo, che viene su una nube con potenza e gloria grande, ha il volto del Crocifisso per i nostri peccati, e quindi non abbandonerà mai la strada dell’amore: non viene per condannare il mondo, ma per salvarlo. Dio ha per noi progetti di pace, non di sventura.
Pertanto la storia umana non è una folle, assurda corsa verso lo sfacelo totale. Non è neppure – come voleva il massimo poeta inglese – “una favola, raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla” (Shakespeare). Quando l’evangelista Luca riportava queste parole del Signore, la città santa era già stata distrutta e i suoi abitanti erano stati dispersi. L’evangelista può perciò mostrare alla sua comunità come, proprio perché si erano già compiute, le parole di Cristo meritavano di essere ricordate come chiave di lettura per decifrare il “senso” – il significato e l’orientamento – del corso della storia, letta come storia della salvezza.
Nulla ci può gettare nello spavento o nello sconforto: se crediamo veramente, in ogni evento lieto, triste e anche drammatico riusciremo a decodificare il messaggio di salvezza che esso contiene. I cieli e la terra passeranno, ma le sue parole non passeranno affatto (cfr Lc 21,33). E le sue ultime parole sono state: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Tutti i giorni, anche oggi, la parola si compie. Il Dio che ci ha rivelato il Signore Gesù è “Colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4). Si faccia attenzione: non si dice né “Colui che è, che era e che sarà”, perché il nostro Dio si rivela nella figura di Colui che viene, che viene sempre, e dunque che verrà anche in futuro. Non si dice neanche che “tornerà”, perché da quando il Figlio di Dio ha piantato la sua tenda in mezzo a noi, non se ne è più andato via, non si è reso latitante alla nostra affannosa ricerca. Infatti in questa santa eucaristia noi “annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta”.
2. Vorrei ora parlare di quel modo di venuta del Signore in mezzo a noi nella forma della carità fraterna. Noi crediamo vera la parola evangelica : “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Questa parola del Signore si trova nel vangelo di s. Matteo. Appena poco sopra l’evangelista riporta questa parola di Gesù: “Se due di voi si accorderanno per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà” (Mt 18.19-20). Il verbo greco symphonéo – reso in italiano con “accordarsi” – dice la sintonia dei cuori che si esprime nell’accordo delle voci. E’ quanto si verifica nel coro, ed è il motto-messaggio di questo anno dedicato alla comunione: “Mille voci, un solo coro”.
E’ la spiritualità della comunione, che il grande Papa Giovanni Paolo II fa discendere direttamente dalla contemplazione del volto di Cristo, a cui ci siamo dedicati l’anno scorso, ma che resta e deve restare radice permanente della nostra comunione fraterna: “Se abbiamo veramente contemplato il volto di Cristo, la nostra programmazione pastorale non potrà non ispirarsi al «comandamento nuovo» che Gesù ci ha dato: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34)”. E ancora: “Spiritualità della comunione significa innanzitutto uno sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto” (NMI 43).
Di questa comunione fraterna vorrei evidenziare tre caratteristiche fondamentali.
Il primo tratto peculiare è la gratuità, che va oltre ogni misura. Chi contempla il Crocifisso, scorge un amore tanto gratuito e sconfinato da apparire folle, del tutto incredibile. L’amore sovrabbondante di Dio, quale si rende trasparente nella croce, è davvero eccedente ed eccessivo. Dobbiamo sempre ricordare che ogni nostro gesto di amore fraterno, ogni segno di stima reciproca, ogni passo per andare incontro al prossimo più prossimo, qual è il fratello nella fede, basta ad esaurire l’inesauribile amore di Dio, che supera ogni bisogno, ogni bisogno, ogni attesa e ogni desiderio. Ci ha ricordato Papa Benedetto nell’ultima enciclica che la carità nella verità “essendo dono di Dio assolutamente gratuito, irrompe nella nostra vita come qualcosa di non dovuto, che trascende ogni legge di giustizia. Il dono per sua natura oltrepassa il merito, la sua regola è l’eccedenza”.
Il secondo tratto della carità fraterna, che deve ispirare ogni rapporto tra le aggregazioni ecclesiali, è la reciprocità. “Amatevi gli uni gli altri”, ha detto il Signore. Ho avuto modo di fare spesso notare come nel NT ricorra in continuazione questa espressione avverbiale di reciprocità: gli uni gli altri, a vicenda, reciprocamente. Ad esempio: Amatevi gli uni gli altri, Perdonatevi gli uni gli altri, Accoglietevi gli uni gli altri, Sopportatevi gli uni gli altri ecc. In particolare, sottolineo l’importanza della stima reciproca, ritornando su quel passo di s. Paolo: “Gareggiate nello stimarvi a vicenda”. Ecco l’unica competizione ammessa nella Chiesa: la gara in cui agognare il primo posto in classifica è quella di stimare gli altri più che essere stimati noi i primi.
Il terzo tratto è la concretezza. L’amore fraterno, se è tale, si fa gesto e storia – come nella vita di Gesù e sulla croce – raggiungendo i fratelli nella singolarità della loro persona e nella integralità del loro carisma. La carità spinge a farsi carico della preziosità del carisma degli altri, e quindi, più che di parole, si nutre di gesti concreti. La carità è fatta di passi, che portano ad abbattere muri e barriere, a costruire ponti, a favorire la conoscenza dell’altro fino ad arrivare a quanto raccomandava l’indimenticabile Chiara Lubich: “Ama il movimento dell’altro, ama il suo carisma come il tuo”.
Per concludere, una raccomandazione e un appello. La raccomandazione la esprimo con le parole di Papa Benedetto all’ultimo convegno della diocesi di Roma: “Dobbiamo sempre nuovamente imparare a custodire e difendere questa unità da rivalità, da contese e gelosie che possono nascere nelle e tra le comunità ecclesiali. In particolare, vorrei chiedere ai movimenti e alle comunità ecclesiali sorti dopo il Vaticano II, che anche all’interno della nostra diocesi sono un dono prezioso di cui dobbiamo sempre ringraziare il Signore, vorrei chiedere a questi movimenti, che ripeto sono un dono, di curare sempre che i loro itinerari formativi conducano i membri a maturare un vero senso di appartenenza alla comunità parrocchiale” (28 maggio 2009).
L’appello lo formulo con le parole di s. Paolo: “Se c’è qualche cons. in Cristo, sec c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia, con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,1-5).
A lui che è, che era e che viene, ogni onore e gloria.
Vieni, Signore Gesù!
Rimini, Basilica Cattedrale, 26 novembre 2009
+ Francesco Lambiasi