Per la Giornata conclusiva del Tempo del Creato
La Domenica della vigna. Potremmo etichettare con questo titolo l’odierna 27.a Domenica del tempo ordinario (Anno A). Ce lo suggerisce il “cantico della vigna” del profeta Isaia, riportato nella prima lettura. Ce lo ribadisce il salmo responsoriale, con la sua invocazione accorata: “Dio degli eserciti, vieni e visita questa vigna che la tua destra ha piantato”. Ce lo conferma Gesù con la parabola drammatica dei vignaioli omicidi. Ma cosa rappresenta questa vigna? Per il profeta è la casa d’Israele. Per Gesù è il regno di Dio che sarà tolto ai capi dei sacerdoti e ai farisei, e sarà dato ai pagani e agli Ebrei credenti. Ma oggi, 4 ottobre, questa Giornata rappresenta un’alta vetta: vi culmina il mese dedicato alla preghiera per la cura del creato. Credo pertanto di non andare sopra le righe se nella metafora biblica della vigna, vi rintracciamo l’immagine della casa comune, la nostra madre Terra, il rigoglioso giardino del creato.
Per la VI edizione di questa giornata Papa Francesco ci invita a declinare i cinque verbi del Giubileo: ricordare, ritornare, riposare, riparare e rallegrarsi. Sono i verbi che potremmo chiamare la ‘grammatica’ dell’ecologia biblica. Andando dietro al messaggio ‘francescano’, vorrei cercare di andare dentro a quello che si potrebbe definire l’alfabeto di base dell’ecologismo cristiano. Un alfabeto strutturato in quattro principi elementari. Lo potremmo chiamare il ‘quadrilatero dei primati’ per una ecologia intergale.
Il primato dell’uomo sulle cose. Non significa il potere di usare e di abusare. L’errore drammatico dei vignaioli è stato quello di mirare a diventare proprietari effettivi della vigna. Ma l’uomo non può considerarsi ‘padrone’ del creato. Ne è piuttosto l’amministratore e deve rendere conto del suo operato. Il suo lavoro si svolge sulla base di una donazione da parte del Creatore. Purtroppo, preso dalla smania di avere e di godere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e finisce per distruggere la sua stessa vita. Il Creatore ha detto all’uomo di custodire e di coltivare il giardino della terra. Ha detto pure di “soggiogare la terra”, ma soggiogare non è saccheggiare. Ha detto ancora di “dominare sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo”, ma dominare non è né depredare né spadroneggiare. Per questo s. Francesco “chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella” (Tommaso da Celano, FF. 460).
Il primato della contemplazione sul possesso. Dio non ci ha consegnato una materia informe e caotica, ma un mondo già, di suo, buono e bello. Ben sette volte lo ripete il ritornello nell’inno a Dio creatore riportato nel primo capitolo della Genesi: ”ed ecco era cosa buona”. Francesco canta, incantato, la bellezza delle creature, quando non è più in grado di vedere nessuna di esse. E anzi la luce del sole o del fuoco gli procura atroci dolori. Il possesso divide ed esclude; la contemplazione moltiplica e include. Un solo individuo può possedere un lago, un parco. E così tutti gli altri ne sono esclusi. Migliaia di persone possono contemplare lo stesso lago o parco, e tutti ne godono senza sottrarlo ad alcuno. La contemplazione permette di possedere le cose con l’anima oltre che con il corpo, senza accaparrarsele.
Il primato del bene comune sugli interessi privati. Tale primato educa al corretto uso dei beni materiali nella relazione con gli altri, alla luce della signoria di Dio e della carità fraterna. Il bene comune prescrive l’osservanza della giustizia, ed esige che venga rispettata l’universale destinazione dei beni. Promuove la solidarietà tra le persone e tra i popoli, con una speciale attenzione ai poveri, nel rispetto dell’integrità del creato. La promozione del bene comune libera dall’ansia di produrre e dall’avidità di possedere. Altrimenti si verifica la lugubre scena dipinta a tinte fosche dal profeta Osea: “Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba. (…) Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; persino i pesci del mare periranno” (4,2-3). E’ l’anti-genesi. Invece di edificare una dimora degna dei figli di Dio, si rischia di rendere la terra inospitale e inabitabile. Invece del giardino, si crea il deserto. E la terra viene fatalmente ridotta a una “aiuola che ci fa tanto feroci” (Dante).
Il primato del bene delle future generazioni sulla nostra. Quando Gesù nel vangelo di Matteo dice di non preoccuparsi del domani (6,25-34) dice a tutti noi di non preoccuparci del nostro domani, ma di preoccuparci del domani di quelli che verranno dopo di noi. Ci punge e ci stimola a non chiederci: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo”. Ma piuttosto: “Che cosa mangeranno? Che cosa berranno? Che cosa indosseranno i nostri figli, i futuri abitanti di questo nostro pianeta?”.
Concludiamo con la ‘lezione’ di san Francesco. Ecco come il primo biografo, Tommaso da Celano, riferisce alcuni gesti concreti del Poverello:
”Abbraccia tutti gli esseri creati con un amore e una devozione quale non si è mai udita (…). Quando i frati tagliano legna, proibisce di recidere del tutto l’albero , perché possa gettare nuovi germogli. E ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell’orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producano fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna. Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati, alle api vuole che si somministrino del miele e ottimo vino, affinché non muoiano di inedia nel rigore dell’inverno.“ (FF 750).
Preghiamo ora con papa Francesco: “Dio d’amore, mostraci il nostro posto in questo mondo, come strumenti del tuo affetto per tutti gli essere di questa terra, perché nemmeno uno di essi è dimenticato da te. Illumina i padroni del potere e del denaro, perché non cadano nel peccato dell’indifferenza, amino il bene comune , promuovano i deboli, e abbiano cura di questo mondo che abitiamo. Laudato si’! Amen.”.
Rimini, San Giuliano, 4 ottobre 2020
+ Francesco Lambiasi