“Sono venuto a gettare il fuoco sulla terra”
Omelia tenuta dal Vescovo durante l’Eucaristia in apertura del Meeting
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Parole che scottano quelle di Gesù, oggi (cfr Lc 12, 49-53): taglienti come una spada a doppio filo, brucianti come frecce incendiarie. Parole che percuotono e stordiscono. Vi pulsa dentro il cuore del Maestro, come un vulcano in eruzione, che non riesce a contenere il prorompente, irrefrenabile mare di fuoco della realtà divina che si porta dentro. Un mistero abissale che, peraltro, Gesù non riesce compiutamente ad esprimere, se non sfidando l’incomprensione e il rifiuto degli ascoltatori, come accadde già una volta, quando la gente di lui disse: “E’ fuori di sé” (Mc 3,21). Così il messaggio di Gesù oggi è reso con un linguaggio ‘a lampi’, tutto ritmato da punti esclamativi o interrogativi, e scandito da silenzi sospesi, da sospiri profondi, da confidenze incontenibili. Riascoltiamo la dichiarazione di apertura, che lascia trasparire una tensione fortissima: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!”.
1. Cos’è questo fuoco e questo battesimo? A che cosa sta pensando Gesù ? In prima battuta possiamo dire che, con la metafora del battesimo, Gesù voglia alludere al battesimo di sangue della sua passione. Già un’altra volta il Maestro aveva parlato della sua morte come di un battesimo: “Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?” (Mc 10,38). L’immagine del battesimo traduce bene quella sorta di immersione ‘fino alla gola’ nelle acque della tribolazione, che Gesù sperimentò nella sua passione. Ma anche l’immagine del fuoco si può riferire all’ora suprema e drammatica della croce, e sta ad indicare la sconvolgente rivelazione dell’amore di Gesù per l’umanità peccatrice. La passione di Gesù è una autentica passione d’amore. La croce è il vero roveto ardente dell’amore più grande, che accetta anche la morte perché ne venga la salvezza di tutti.
Gesù, dunque, sta pensando alla Pasqua, ma sembra voler accennare anche alla Pentecoste, se è vero che ambedue le immagini – del fuoco e del battesimo – ricorrono nella profezia di Giovanni Battista, il quale diceva del Messia: “Vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,16). Lo stesso evangelista, negli Atti degli Apostoli, presenta l’evento della Pentecoste come il primo solenne battesimo di tutta la Chiesa, un battesimo non di acqua ma, appunto, di fuoco (cfr At 2,3). Tutta la vita di Gesù è stata animata dal desiderio ardente che il fuoco dello Spirito divampasse sulla terra, e quel desiderio si è pienamente realizzato con la venuta dello Spirito Santo, sceso in forma di fiammelle di fuoco sugli apostoli riuniti nel cenacolo. Dobbiamo allora concludere che con la sera di Pentecoste il sogno di Gesù ha finito di realizzarsi? No, davvero! con la Pentecoste tutto è ‘compiuto’, ma non tutto è ‘finito’. In effetti, la Pentecoste è un evento in corso. Tant’è vero che la sua onda lunga è arrivata fino a noi, il giorno del nostro battesimo, quando anche noi siamo stati immersi “in Spirito Santo e fuoco”. Ma allora dobbiamo arrivare a dire che, ormai, Gesù non nutre più alcun desiderio riguardo alla Chiesa dei nostri tempi e riguardo a noi cristiani di oggi? No, assolutamente no! Il desiderio che continua ad ardere nel cuore di Gesù è precisamente questo: che il fuoco del suo Spirito divampi nella Chiesa intera, e in tutti e ciascuno di noi, suoi discepoli.
2. Ma qual è la nostra risposta a questo desiderio incandescente di Gesù? Qui dobbiamo compiere una delicata opera di discernimento, secondo le parole, anch’esse sferzanti, del Maestro: “Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: ‘Arriva la pioggia’… Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?”. Dobbiamo scrutare i segni dei tempi, del nostro tempo. Un primo segno, negativo, è il ‘raffreddamento della fede’ presso molte comunità cristiane, nel nostro Occidente secolarizzato. Il fuoco dello Spirito e dell’amore è rimasto sepolto dalla coltre dell’indifferenza, dalla cenere dell’abitudine, dal triste grigiore di una vita cristiana scarica: incolore, inodore, insapore. Una vita sazia e annoiata, che non genera una testimonianza, non colora una esistenza, non accende una gioia. Ma, d’altra parte, c’è un segno positivo, ed è la sorprendente novità di oggi. Il vento dello Spirito ha ricominciato a soffiare forte e il suo fuoco ha ripreso fiamma. Abbiamo la fortuna di vedere molti cristiani che fanno una esperienza viva di Gesù Cristo. Ed un altro confortante e promettente segno di novità – legato al precedente – è il risveglio del cosiddetto ‘gigante addormentato’, il laicato, e, con ciò, l’avvio di una nuova ondata di evangelizzazione, i cui protagonisti sono i laici.
Ma Gesù oggi non finisce di incalzarci, e ci ricorda qual è il prezzo del discepolato alla sua scuola: è la radicalità della sequela. “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico, ma divisione”. Di fronte a lui, nessuno può rimanere indifferente o neutrale. Bisogna scegliere: o con lui o contro di lui. Se è vero che “chi si avvicina a Gesù, si avvicina al fuoco”, allora o ce ne allontaniamo del tutto, oppure ci avviciniamo e ci lasciamo assorbire dalla sua fiamma d’amore. Non c’è una via di mezzo. A coloro che non sono né freddi né caldi, ma ‘tiepidi’, il Signore dice che li vomiterà dalla sua bocca (cfr Ap 3,16). Se si vuole andare dietro di lui, urge decidersi: non si può giocare al rimando, rinviando scelte che impegnano e accontentandosi di qualche opera buona, tanto per fare qualche saldo con la propria coscienza. E non si può giocare neanche al ribasso, accontentandosi di una fede languida, di un cristianesimo annacquato e dolciastro. La persecuzione dei poteri dominanti, l’opposizione delle mode correnti non sono i segni della nostra debolezza o del fallimento della causa di Gesù. Sono piuttosto il segno della nostra fedeltà.
E’ vero, ci ricorda il Papa: “Siamo poveri di amore, assetati di verità e giustizia, mendicanti di Dio, come sapientemente il servo di Dio Mons. Luigi Giussani ha sempre sottolineato. La povertà più grande infatti è la mancanza di Cristo, e finché non porteremo Gesù agli uomini avremo fatto per loro sempre troppo poco”. Di qui, l’appello pressante: “Andiamo incontro a tutti, senza aspettare che siano gli altri a cercarci!”. Ecco allora cosa dobbiamo fare: andare incontro a tutti, per portare a tutti la fiamma divampante del fuoco di Cristo.
Lo stesso fuoco arda nel nostro cuore per riscaldare e illuminare gli ambienti dove viviamo e operiamo, mettendo in conto che potremmo incontrare il rifiuto e l’avversione – la persecuzione! – perfino di coloro che ci sono più vicini, consapevoli però che nessuno ha il potere di spegnere quella fiamma che l’amore di Gesù ha acceso nei nostri cuori.
Rimini-Fiera, 18 agosto 2013
+ Francesco Lambiasi