Omelia tenuta dal Vescovo nel corso della santa eucaristia per il 50° di Comunione e Liberazione in Diocesi
Il pellegrinaggio come metafora della vita, come figura plastica dell’esistenza cristiana. Il pellegrinaggio come emblema eloquente di una sequela evangelica, radicale, fedele, appassionata. Gesù – ci informa l’evangelista Luca qualche riga prima del brano appena proclamato – aveva “preso la ferma decisione – letteralmente aveva ‘indurito il suo volto’ – per mettersi in cammino verso Gerusalemme”. E’ l’incipit del grande pellegrinaggio di Gesù alla volta della città santa, che culminerà nella fine del suo pellegrinaggio terreno con la passione e la morte del venerdì santo, e sfocerà nel pellegrinaggio di ritorno alla casa del Padre, con la Pasqua di risurrezione.
1. Dunque è appena cominciata la grande salita di Gesù con i Dodici, in direzione di Gerusalemme. Si aggancia qui la sequenza evangelica di questa santa liturgia (Lc 9,57-62). “Mentre camminavano per la strada”, sullo sfondo del grande pellegrinaggio, san Luca registra tre storie di vocazione. Al primo personaggio, disponibile ad una sequela totale, Gesù ribatte che andare dietro a lui significa andare allo sbando, senza tane e senza nidi. Al secondo che dice ‘sì, ma’, Gesù chiede – con linguaggio cruento e tono rude – di non anteporgli nulla e nessuno, nemmeno vecchi da assistere, nemmeno morti da seppellire, fossero anche i propri genitori. Al terzo, che si offre spontaneamente, ma contrappone anche lui un ‘ma’, Gesù domanda di non voltarsi indietro, a guardare con nostalgia e amaro rimpianto il geloso tesoretto di affetti recisi, di fratellanze spezzate, di amicizie seppellite nel suo nome.
Tre episodi, un solo messaggio: Gesù merita di essere seguito senza se e senza ma. Non sopporta di essere classificato dopo gli affari, dopo la carriera, neppure dopo i doveri più sacri e gli amori più dolci. La sequela dietro a Cristo non tollera ritardi e rimandi, non sopporta remore e riserve, non gradisce esitazioni e incertezze. Lui, solo lui, viene prima di tutto e rimane al di sopra di tutto. Gesù merita e richiede di essere seguito con l’atteggiamento di Paolo, di cui abbiamo ascoltato nel canto al vangelo quelle sue parole di una radicalità aspra e netta, senza margini di incertezza, senza alcun alone di dubbio o esitazione: “Tutto ho lasciato perdere e considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui”. Tutto impallidisce, non solo il tuo mondo, la tua comodità, i tuoi successi, ma anche i beni piccoli e grandi, anche gli affetti più teneri scoloriscono di fronte al Bene assoluto. Anche i legami più sacri e tenaci si sfilacciano di fronte all’unico legame, all’assoluto vincolo che conta. E se la scelta di Dio lo richiedesse, dire di sì significherebbe accettare di perdere tutto. Ma il ‘perdere’ evangelico, lontano dall’essere una masochistica privazione di felicità, è ricchezza sconfinata, è possesso pieno, centuplo appagante.
Nella comunità di Luca, presa da una parte dall’urgenza della missione, dall’altra preoccupata per le defezioni e l’incostanza dei credenti, queste tre sentenze di Gesù erano l’occasione di un test serio di fedeltà agli impegni presi. Sarà bene che anche noi ci sottoponiamo a questo test di fedeltà.
2. Il pellegrinaggio, come metafora del vostro cammino, in questi 50 anni di vita, carissimi fratelli e sorelle di Comunione e Liberazione. Sia l’anno scorso per il pellegrinaggio Macerata-Loreto, sia quest’anno per il pellegrinaggio a Czestochowa, don Carròn ha richiamato le parole di don Giussani a un gruppo di pellegrini: “Aspettatevi un cammino, non un miracolo che eluda le vostre responsabilità, che elida la vostra fatica, che renda meccanica la vostra libertà”.
“Il cristiano è un pellegrino senza strada, ma tenacemente in cammino”, ha scritto san Giovanni della Croce. Verrebbe però da chiedergli: e non è Gesù la strada del pellegrino cristiano, anzi il primo Pellegrino, il compagno fedele e la meta appagante? Ho letto in don Giussani: “L’adesione al destino è il senso di ogni passo che si fa nella strada. Strada: tu puoi fare i tuoi passi verso il destino, magari un po’ più lenti, un po’ più intimiditi, un po’ più deboli, comunque tu fai passi verso il tuo destino”. Sì, Gesù è la strada e la meta del nostro pellegrinaggio, ma anche la più tenace e tenera compagnia. Mentre ricordo che i racconti che abbiamo ascoltato sono raggruppati sotto il genere letterario dei ‘racconti di vocazione’, riprendo sempre da don Giussani un altro passaggio: “La parola vocazione è l’echeggiare di una Presenza, il passo di una Presenza, della Presenza del destino che ti è compagnia e dettato da quello per cui sei fatto. La vocazione è ciò a cui questa voce ti chiama. Per natura sua quindi l’essere chiamati a una vocazione ingigantisce la speranza, ma, prima di ingigantirla, reclama speranza, esige la speranza. Senza speranza, muore la vocazione”. A questo punto le parole del vostro fondatore incrociano il sottotitolo del nostro Anno pastorale che coincide con l’Anno della Fede: “C’è una speranza più affidabile di quella cristiana?”. Sì, Cristo è la Presenza, che si fa compagnia ai nostri passi. Lo spiega sempre don Giussani in un breve scritto in cui declina le parole di base del vostro carisma, e precisamente la parola avvenimento. “C’è un avvenimento, un fatto assolutamente originale eppur accaduto: un uomo si è detto Dio. Dio ha voluto rendersi familiare all’uomo – con tenerezza – come suo compagno di cammino verso il destino per cui l’ha creato, redimendone le debolezze, anche le più sproporzionate all’ideale”. Questo avvenimento si prolunga nella compagnia della Chiesa e si fa a noi contemporaneo. “E’ la Chiesa, segno in cui c’è la presenza personale Sua, segno comunitario e storico, la Sua presenza in ogni momento del tempo”.
Nel vivere il vostro pellegrinaggio, in questi anni avete avuto il dono della guida e della compagnia di don Giancarlo Ugolini. L’esistenza sacerdotale di don Giancarlo si è lasciata intercettare dal carisma di Comunione e Liberazione, una sequela che ha reso fecondo il suo ministero e la vita stessa della nostra Chiesa diocesana di Rimini, come riconobbe mons. Mariano De Nicolò: «Don Giancarlo è un figlio di questa Chiesa, è un figlio che la onora e l’ha resa sempre più madre nel suo apostolato».
E’ vero. Il dono del sacerdozio di don Giancarlo ha fecondato la nostra Chiesa riminese: diversi sacerdoti del nostro presbiterio hanno riconosciuto e alimentato la propria vocazione grazie alla sua testimonianza ed alla sua guida paterna, con cui ha suscitato e sostenuto numerose vocazioni alla verginità, alla missione in ogni parte del mondo, alla vita contemplativa, provocando tantissimi laici a giocare la propria esperienza di fede, anche nell’ambito sociale e politico. Quello che attraverso don Giancarlo e il carisma di CL è stato generato, è un dono che costituisce un contributo unico e originale per la Chiesa e tutta la società civile riminese, ma che certamente si estende ben oltre i confini della Città e della Diocesi.
Il nostro don Giancarlo ha sintetizzato questo contributo nella sua ultima intervista: «La proposta interessante di CL è offrire la possibilità di lasciarsi amare dal Mistero. E’ un Mistero che corrisponde al cuore e che fa percepire il suo caldo abbraccio. Il cuore dell’uomo cerca l’infinito e questo si è fatto presente».
Riassumendo la storia del Movimento, don Giussani la concentrava nell’immagine di una “ingenua baldanza” e portava la figura del bambino ingenuamente baldanzoso, abbandonato tra le braccia della mamma. E spiegava: “Il segno dell’abbandono è come se a uno si prosciugassero tutte le sorgenti dell’orgoglio; non si inorgoglisce più, gli diventa impossibile inorgoglirsi perché niente è suo, e tutto diventa suo se niente è suo”.
Ora il pellegrinaggio continua. Vi auguro, carissimi, di assicurarvi costantemente che nella vostra bisaccia del pellegrino ci siano sempre tre pani e quattro strumenti: il pane della Parola, quello della santa Eucaristia e quello della Carità; gli strumenti del Concilio, del Catechismo della Chiesa cattolica, del magistero del Papa, dei Vescovi e del vostro Vescovo.
Ora siamo qui, cari fratelli e care sorelle di CL per fare eucaristia, per rendere grazie al Signore per questi 50 anni di pellegrinaggio nella nostra Diocesi, in questo misterioso incontro tra la nostra povertà e la sua grandezza. Noi gli offriamo le cose che lui stesso ci ha dato e gli chiediamo per il pellegrinaggio, che ci e vi attende, di continuare a darci in cambio se stesso.
Rimini, Basilica Cattedrale, 3 ottobre 2012
+ Francesco Lambiasi