Omelia tenuta dal Vescovo in Basilica Cattedrale in occasione della 43.a Giornata Mondiale della Pace Rimini, 31 dicembre 2009
A Natale abbiamo ricevuto il dono della pace. E poiché Cristo “è la nostra pace” (Ef 2,14) possiamo ben dire che a Natale, la “Parola-Pace” si è fatta carne ed è venuta a porre la sua tenda in mezzo a noi. Il miracolo si è ripetuto: attorno alla tenda piantata dal Figlio di Dio, la terra è diventata ancora più incantevole e abitabile di quel giardino che Dio aveva collocato in Eden, a oriente, dove aveva posto l’uomo perché lo coltivasse. La metafora della terra-giardino sta a dire che il mondo non è “un ammasso di rifiuti sparsi a caso” (Eraclito), né un caotico deposito di materie prime, ma è l’habitat in cui coabitano Dio, il Signore del giardino, e l’uomo, il suo partner libero e responsabile. Ma ogni volta che l’uomo rompe con Dio e lo “sfratta” dal giardino, facendosi padrone assoluto e dispotico del creato, la terra ritorna tristemente ad essere “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (Dante).
Se però “il Natale del Signore è il natale della pace” (S. Leone M.) “per onorare la presente festa che cosa possiamo trovare di più confocente fra tutti i doni di Dio, se non la pace, quella pace che fu annunciata la prima volta dal canto degli angeli alla nascita del Signore?” (Id.)
1. Il messaggio del Papa per questa 43.a Giornata mondiale della pace si annuncia fermo ed esigente già dal titolo: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”.
Oggi la questione ambientale è forse quella il cui si gioca il conformismo culturale dei cristiani, divisi, come tutti, tra ottimisti e pessimisti, tra industrialisti ed ecologisti, mentre il messaggio papale ci pungola ad essere semplicemente cristiani. Questo, a cominciare dalla formulazione del tema della Giornata: il nome vero dell’ambiente è il creato. Creato si gnifica non fatto da noi, e perciò dato, donato alla nostra responsabilità. Questa è la novità originale e specifica del cristianesimo: il mondo non si è fatto da sé, ma è appunto “creato”. Pertanto non può essere né fanaticamente idolatrato, né selvaggiamente e irresponsabilmente sfruttato.
In buona sostanza nel suo messaggio il Papa ci chiede due no e tre sì. No all’egocentrismo che autorizzerebbe l’uomo a tiranneggiare sul creato. No all’ecocentrismo che priverebbe l’uomo della sua trascendente e superiore dignità: è nel libro della natura che è inscritto il messaggio – ecologicamente parlando – più rilevante: la natura non può essere ritenuta più importante della persona umana. Alcuni dati confermano in modo allarmante la necessità di una inversione di rotta. Nei paesi ricchi viene sprecato il 30% degli alimenti, il 40-50% negli Usa. A Natale ben il 40% in tutti i paese sviluppati. Solo in Italia rimangono invenduti e inutilizzati ogni anno 240mila tonnellate di alimenti, pari ad oltre un miliardo di euro. Questa somma basterebbe per dare tre pasti al giorno a 600mila persone.
Positivamente il Papa ci chiede innanzitutto un cambio di mentalità: “uscire dalla logica del mero consumo per pro muovere forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti. La questione ecologica non va affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila all’orizzonte; a motivarla deve essere soprattutto la ricerca di un’autentica solidarietà a dimensione mondiale, ispirata ai valori della carità, della giustizia e del bene comune” (Messaggio n. 10).
Il secondo sì che il Papa ci chiede, conseguente al cambiamento di mentalità, è quello di nuovi stili di vita. I modelli di consumo e di produzione attualmente dominanti sono spesso insostenibili da punto di vista sociale, ambientale ed economico. Occorrono quindi nuovi stili di vita “nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti” (Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, 36).
Infine è richiesto un più chiaro e deciso investimento educativo: “Sempre di più si deve educare a costruire la pace a partire dalle scelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario epolitico. Tutti siamo responsabili della protezione e della cura del creato” (Messaggio n. 11).
Per concludere, occorre ricordare che la Chiesa non può non difendere, anche in ambito pubblico, la terra, l’acqua, l’aria, doni di Dio per proteggere l’uomo dal pericolo della distruzione di se stesso. Infatti si dà un circolo virtuoso tra la “ecologia umana” e quella ambientale. Non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono educati nella famiglia e nella società a rispettare se stessi. Per altro verso, l’educazione e il rispetto della ecologia umana si riflette in modo positivo e fecondo nel rispetto dell’ecologia ambientale. Come si vede, è in gioco il rispetto di quella “grammatica” che il Creatore ha iscritto nella sua opera, affidando all’uomo il ruolo di custode e amministratore responsabile del creato: ruolo di cui l’uomo non può e non deve certo abusare, ma da cui non può e non deve neanche abdicare.
Uniamoci perciò alla preghiera che il S. Padre rivolge a Dio, Creatore onnipotente e Padre misericordioso, affinché nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuoni, venga accolto e sia vissuto il pressante appello: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”.
+ Francesco Lambiasi