Omelia del Vescovo nella Veglia pasquale
1. Gesù è risorto! Questa è la notizia più straordinaria e sorprendente di tutti i tempi. Gesù è vivo, è realmente, personalmente, integralmente vivo. E’ realmente vivo: non come talvolta si dice dei cari defunti che vivono nel nostro affettuoso, indelebile ricordo. O come, con una buona dose di patetica retorica, si definiscono immortali i grandi della storia. Gesù è personalmente vivo: lo è nella consistenza della sua umano-divina soggettività, e non nel senso che la sua memoria continuerebbe a rimanere desta e viva nella sua opera, proseguita dai suoi seguaci. Gesù è integralmente vivo, non per il fatto che l’anima non muore mai, ma perché l’intera sua natura di uomo – e dunque anche il suo corpo – con tanto di organi e di apparati, e con un vero, pulsante cuore di carne – è soggetto vivo e attivo di esperienza, di movimento, di operazioni e di azioni varie. Gesù non è vivo come era vivo Lazzaro, al quale da Gesù stesso era stata semplicemente prorogata la data della definitiva sepoltura. Lazzaro era risorto “all’indietro”, tornando alla vita di prima; Gesù è risorto “in avanti”, come uno che ha definitivamente sconfitto la morte. Lo precisa san Paolo: “Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9).
Gesù è risorto e vive. Da quel mattino di una domenica dei primi di aprile dell’anno 30, ancora una volta in queste ore la notizia vertiginosa e strabiliante della sua risurrezione sta facendo il giro del mondo. Ma a forza di risentirla e di ripeterla, non si rischia di ridurla a una sorta di chewing-gum, che più si mastica e più perde sapore? Ma allora che notizia può essere mai un annuncio che finisce per non accendere più alcun brivido di stupore? Permettetemi perciò di provare a rilanciare questa notizia formulandola “per assurdo”: che cosa sarebbe successo o succederebbe se Cristo non fosse risorto? E’, questo, il filo di ragionamento che segue san Paolo ai cristiani di Corinto: “Se Cristo non è risorto, la nostra predicazione è insensata e la vostra fede risulta infondata. Se Cristo non è risorto, allora neanche noi risorgeremo. Se Cristo non è risorto, allora noi siamo ancora impantanati nella palude dei nostri peccati. Se Cristo non è risorto e neanche i morti risorgono, allora mangiamo e beviamo, tanto domani moriremo” (cfr 1Cor 15, 14-32) .
2. Ecco, cosa sarebbe successo se Cristo non fosse risorto… Primo, la vicenda di Gesù di Nazaret sarebbe stata una bella storia finita male, anzi una delle storie più esaltanti finita nel peggiore dei modi. Gesù aveva percorso in lungo e in largo la sua patria, la Palestina, facendo del bene a tutti e risanando quanti erano prigionieri del male. Aveva amato appassionatamente la vita, quella dei fiori e degli animali, ma soprattutto la vita degli uomini, a partire dagli ultimi e i poveri, ai quali diceva: “Vostro è il regno di Dio”. Di questo regno mostrava i segni: alle folle affamate offriva il pane della vita; ai malati e ai sofferenti ridonava la salute e il sorriso; ai peccatori e alle peccatrici assicurava la misericordia e il consolante perdono di Dio. Ma ben presto incontrò il rifiuto degli uomini e conobbe il dolore e l’ingiustizia. Alcuni lo avversarono per tutto il tempo della sua missione, e, alla fine, con ingiusta sentenza, lo uccisero appendendolo alla croce. I suoi nemici gridarono allo scandalo: come poteva chiamarsi Messia se non era riuscito a salvare se stesso? Come poteva chiamare Dio suo Padre se non lo aveva salvato dalla croce?
Secondo, se Cristo non fosse risorto, noi non potremmo credere in un Dio che è Padre. Gesù era rimasto fedele a Dio sino a dare la vita per lui, ma aveva predicato un Dio ‘diverso’ e lo aveva onorato con una prassi di vita ‘diversa’. Questa diversità è stata la ragione della sua condanna a morte, ma lui ha sostenuto che era, al contrario, la trascrizione più fedele del volto di Dio, nel cui nome osava correggere la Legge ebraica che Dio stesso aveva dato a Mosè. La risurrezione è il test più attendibile che in quella diversità Dio si è riconosciuto. La risurrezione non ha mutato la diversità di quell’immagine: ne ha mostrato la verità. Il Crocifisso è un uomo che ha sostenuto di avere un rapporto filiale con questo Dio che egli chiamava affettuosamente Abbà, un rapporto diverso da quello di ogni altro uomo. La risurrezione è il segno che questa pretesa era vera.
Terzo, se Cristo non fosse risorto, noi non potremmo ricevere il suo Spirito. Se io vedo un uomo, che per salvare la mia vita, ha rinunciato alla sua, potrò dire: “Ha dato la sua vita per me”. In effetti Gesù è morto per l’amicizia che mi ha donato, per le parole che mi ha insegnato, per il mondo nuovo che mi ha promesso. Ma se poi lo incontro anche ‘risorto’, di nuovo inspiegabilmente vivo, e mi sento per di più riempire di una vita che non è la mia, dirò ancora: “Ha dato per me la sua vita”. Ma ora questa espressione afferma una ulteriore certezza: che la sostanza della sua vita è passata nella mia, tanto che io ne faccio esperienza. Questo è il ‘regalo’ di Pasqua, il dono del Risorto: lo Spirito Santo. Ora io non posso più concepire la vita, la morte e la risurrezione di Gesù, come qualcosa di esteriore alla mia persona, ma come una esperienza che mi sorprende – nel senso letterale del termine: mi rigira sottosopra – che mi coinvolge e mi trasforma, che trascina con sé il mio stesso essere e agire. Ormai nella vita e nella morte, totalmente e irreversibilmente, io appartengo a lui.
Quarto, se Cristo non fosse risorto, non ci sarebbe la sua Chiesa. Tutt’al più ci sarebbe qualche congrega di gente che si rifà al suo modo di vestire, di parlare e di agire. O qualche accademia che cita le sue sentenze e ricorda i suoi fioretti. O un qualche museo dove si custodiscono i cimeli legati alla sua memoria, oppure dove si conserva gelosamente qualche sua rarissima reliquia, come il lenzuolo che ne avrebbe avvolto il cadavere. O, tutt’al più, ci sarebbe da qualche parte un mausoleo, forse imponente ma freddo e vuoto, senza neanche i suoi resti mortali. Ma non è questa la sua Chiesa. La Chiesa di Gesù Cristo è la comunità storicamente legata a doppio giro di corda al Risorto. Non è mai esistita una Chiesa slegata dalla fede nella risurrezione del Crocifisso; essa anzi ha preso forma proprio perché ha potuto fare esperienza di un particolare incontro con lui dopo la sua morte. La Chiesa è la comunità dei fedeli che credono fermamente che Cristo è vivo e continua a vivere e ad operare in ogni comunità cristiana. La Chiesa crede che è Cristo che battezza quando si celebra il battesimo, è Cristo che -non si commemora – ma si rende presente e vivo quando si celebra l’eucaristia.
Quinto, se Cristo non fosse risorto, la storia sarebbe “la favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla” (Shakespeare). Ma “se davvero Cristo è risorto, allora tutto è possibile”, come afferma un filosofo non credente (M. Ferraris). Infatti il Risorto è lui il Signore della storia. Pertanto la fede dei cristiani presenta sempre un carattere di sfida a tutto quello che può apparire ineluttabile, già deciso e definitivo, privo di prospettive e di speranza. Da qui deriva quel timbro di audacia che spetta al messaggio cristiano. Il credente sa che appunto “tutto è possibile” e si impegna generosamente a difendere le ragioni del bene rispetto ad ogni propaganda dell’inevitabilità di questo o di quel male. Questo carattere di ‘resistenza’ è oggi particolarmente importante, in quanto la cultura, la politica, l’economia sembrano non riuscire più a trovare risorse, modelli, indicazioni in grado di contrastare le spinte egoistiche che dominano ciò che papa Francesco chiama la “globalizzazione dell’indifferenza” e la “cultura dello scarto”, che lasciano fuori della porta della storia milioni di esseri umani e li continuano a sfruttare senza troppe preoccupazioni per il futuro del pianeta.
Infine, se Cristo non fosse risorto, la nostra vita sarebbe come un pacco postale, spedito dall’ostetricia all’obitorio, e non invece un pellegrinaggio verso la casa del Padre, come ci ricorda la fede in Cristo risorto. Una fede che non si può mostrare con una faccia da funerale, ma solo con una vita da risorti e con fatti di vita nuova: bella, buona, beata.
E’ il regalo di Pasqua, la grazia di questa santa veglia, la gioia e l’impegno del nostro cammino.
Rimini, Basilica Cattedrale, 19 aprile 2014
+ Francesco Lambiasi