Omelia tenuta dal Vescovo nella Liturgia “in passione Domini”
Sacrificò se stesso. Nel nostro linguaggio corrente la parola sacrificio ha assunto una accezione piuttosto negativa. In genere fare un sacrifico significa rinunciare a un bene, privarsi di qualcosa, accettare una sofferenza. Ovviamente tale atto viene messo in rapporto con un bene desiderato e considerato come più importante. Un atleta fa il sacrificio di astenersi dal fumo per mantenersi in forma e battere un primato. I genitori fanno sacrifici economici, e non solo, per permettere ai figli di proseguire gli studi.
1. Sacrificò se stesso. Di per sé però, etimologicamente, ‘sacrificio’ non significa rinunciare a / o privarsi di qualcosa. Significa piuttosto “fare una azione sacra”, come indica la sua derivazione latina (sacrum facere). Come ‘santificare’ significa rendere santo o ‘semplificare’ rendere semplice. Un dizionario italiano definisce il sacrificio “atto rituale con cui si dedica una cosa materiale a una divinità per pacificarne la collera e propiziarne il favore”. Non è certo in questo senso ambiguo e pesantemente ‘inquinato’ che la Lettera agli Ebrei parla di sacrificio da parte di Gesù. Infatti sta scritto: Cristo si è manifestato “per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso”. E ancora: “Cristo ha “offerto un solo sacrificio per i peccati” (cf Eb 9,27; 10,12).
I sacrifici antichi non potevano “rendere perfetto l’offerente, nella sua coscienza” (Eb 9,9). Dicendo così, l’autore anonimo della Lettera agli Ebrei esprime una idea originale sullo scopo del sacrificio. Spontaneamente i sacrifici vengono concepiti come dei doni fatti a Dio per procurarsi i suoi favori o per assicurarsi il suo perdono. Il sacrificio veniva concepito sul modello di ciò che accade nelle relazioni umane. Lo scopo sarebbe quello di cambiare le disposizioni di Dio nei nostri confronti. Leggiamo ad esempio nella Genesi che, quando Noè esce dall’arca, dopo il diluvio, costruisce un altare, offre olocausti al Signore, il quale, è scritto, “ne odorò il soave profumo e disse in cuor suo: Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo” (Gen 8,21). Come si vede, in quel caso i ‘sentimenti’ di Dio nei confronti dell’umanità furono modificati dal sacrificio di Noè. L’autore della Lettera agli Ebrei, invece, afferma che lo scopo del sacrifico è mutare il cuore dell’uomo, non quello di Dio. Ma come potrebbe il sangue di animali immolati nel tempio cambiare la coscienza di una persona umana? Finché non viene cambiato il cuore dell’uomo, non è possibile alcuna relazione autentica con Dio.
2. Sacrificò se stesso. Abbiamo letto poco fa nella seconda lettura:
Nei giorni della sua vita terrena (Cristo) offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui venne esaudito (Eb 5,7).
Ecco allora in che cosa è consistito il sacrificio di Cristo. Si è sacrificato per noi, in quanto si è offerto a Dio esponendosi al rifiuto degli uomini e tuttavia si è consegnato agli uomini fino in fondo, nonostante la loro astiosa ostilità. Rifiutato da noi, Gesù muore per noi. La croce è la rivelazione massima, oltre ogni immaginazione, oltre ogni attesa, di chi è veramente Dio. La sua solidarietà è così forte che non si lascia vincere dalla stessa ingratitudine dell’uomo e dalla sua cattiveria. Il gesto del Padre che dona il Figlio e del Figlio che dona se stesso al Padre per salvarci, non è misurato sul bisogno dell’uomo, ma sulla ricchezza sconfinata dell’amore di Dio. Per Gesù fu un grande, grandissimo onore avere accettato il sacrificio della croce per amore del Padre, come fu un gesto d’amore del Padre chiedere a Gesù questo totale e totalmente gratuito sacrificio d’amore. Questa richiesta del Padre suppone un amore immenso, una fiducia incondizionata e irreversibile, che gli fa affidare al Figlio il suo sacrificio per la salvezza del mondo. Quel sacrificio farà nuove tutte le cose e finalmente cambierà il cuore dell’uomo. Da parte sua Gesù accetta volentieri di bere il calice che il Padre gli offre. Nel Getsemani, quando vengono per arrestarlo, dice proprio così: “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (Gv 18,11). Il calice è un dono del Padre a Gesù. Ed è un dono di Gesù a noi, per amore del Padre.
3. Sacrificò se stesso. Sulla croce viene manifestata la verità di Gesù, la verità di Dio, la nostra stessa verità.
La verità di Gesù. Gesù non cerca la propria gloria. Non fa come l’eroe greco che va incontro alla morte con sufficienza sprezzante e fiato rovente, per ammantarsi di grande onore e di fama mondana. Gesù cerca unicamente il compimento della volontà del Padre. E questa è la volontà del Padre: comunicare la propria vita ai suoi figli. Gesù, scendendo dal cielo, compie l’opera del Padre perché non vada perduto niente e nessuno di quanto egli ama, così che l’ultimo giorno sia per tutti vita e non morte (cf. Gv 6,39s).
La croce vela e rivela la verità di Dio. La vela perché non ci abbagli, e la svela perché nessuno più si sbagli su Dio. Abituati a pensare a Dio come a colui che vince sempre, che dispone di una potenza straordinaria e imbattibile, facciamo fatica ad ammettere che Dio stia dalla parte di questo Gesù umiliato e sofferente, e che abiti proprio nella debolezza della sua carne, nella fragilità della sua oscura vicenda. Nel sacrificio di Cristo il Padre non si comporta come un creditore fiscale che esige ad ogni costo il pagamento del debito. Né si manifesta come un inflessibile giustiziere che reclama il pagamento del riscatto. La passione di Gesù è tutta questione d’amore. E’ per amore che egli prende su di sé la nostra iniquità per cancellarla, assume la nostra ambiguità per guarirla, condivide la nostra morte per distruggerla e convertirla in vita nuova.
Infine la croce ci manifesta la verità di noi stessi. Ci fa scoprire destinatari di un amore tanto sconfinato da essere sconvolgente. Come potremo ancora dubitare di essere, amati da Dio. Possiamo cantare con s. Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati” (Rm 8,35).
Rimini, Basilica Cattedrale, 30 marzo 2018, Venerdì Santo
+ Francesco Lambiasi