Omelia tenuta dal Vescovo nella Messa per CL
Il vangelo della croce è “il” vangelo: punto. E’ il baricentro insostituibile di tutto il vangelo, la sorgente sempre fresca e zampillante dell’acqua della vita, il nucleo dinamico e generatore di quel “quinto evangelo” che deve essere riscritto a puntate, brano a brano, da ogni generazione cristiana. E il centro del centro del vangelo della croce è rappresentato da quel versetto inesorabile, che ci mette in presa diretta con il Maestro e spiazza anche gli uditori meglio schermati: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). Se si riuscisse a cancellare dal vangelo questa parola dura quanto una pietra, ma di quelle pietre da cui si cava il fuoco, di colpo il volto di Gesù risulterebbe annebbiato e indecifrabile.
1. Il mondo pensa: “Quanto sarebbe bella la vita senza la croce”. E anche i cristiani più patentati tirano un sospiro tra il sottomesso e il rassegnato: “Ma non si potrebbe proprio fare a meno della croce?!”. In effetti solo quei discepoli di Cristo che puntano sulla misura alta della vita cristiana, la santità, hanno il coraggio – e sperimentano la gioia! – di sfidare il giudizio della sapienza umana che li vorrebbe far passare per folli e “fissati”, per gente malsana e malata di inguaribile masochismo.
Ma non è tanto sulla parola della croce che vorrei riflettere con voi stasera, sorelle, fratelli, amici di CL, quanto più in generale proprio sulla Parola, sull’incalcolabile tesoro e sulla indescrivibile importanza della parola di Dio, in questo anno dedicato dalla nostra diocesi alla Parola scritta e proclamata con la voce e con la vita.
Domandiamoci: cosa è questa Parola? Formulata così, la domanda è scorretta. La parola di Dio non è un che, è piuttosto un chi. Ce lo dice proprio la liturgia della Parola. All’inizio della Messa si è snodata la processione d’ingresso, con particolare solennità. I segni liturgici – lo sappiamo – sono molto espressivi. A cominciare dal libro in cui è contenuta la parola di Dio che ogni volta viene proclamata. La Chiesa in tutta la sua tradizione ha sempre avuto una particolare venerazione e ha costantemente tributato grande onore al libro che contiene la Parola di Dio. Non ne ha mai fatto un foglietto che si stropiccia e poi si butta nel cassonetto della carta straccia, o un libretto instant-book, usa e getta, ma ha custodito con gelosa premura un libro degnamente e talora artisticamente confezionato, qualche volta racchiuso entro copertine preziosissime. Perché? Perché questo libro è come un tabernacolo, che contiene la parola di Dio scritta, attraverso la quale Dio stesso ci parla. Ecco perché, nel monumentale scrigno di pietra qual è la nostra splendida, inimitabile cattedrale, la messa del Vescovo si apre normalmente con una processione regale: il diacono, scortato dalle luci accese dei due candelieri, porta l’evangeliario che tiene elevato, presentandolo alla vista di tutti. Perché tanto scialo di onore e venerazione? Perché questo libro contiene il cuore delle sante Scritture che ci tramandano la parola di Dio. Il libro poi non viene parcheggiato sopra un qualsiasi sgabello: viene invece collocato sull’altare, che è il cuore della Chiesa e, al momento del canto al vangelo, viene intronizzato sull’ambone, perché rappresenta il Cristo re e signore dell’assemblea liturgica. Un teologo importante del XII secolo scriveva: “Tutta la divina Scrittura è un solo libro e quel libro è Cristo stesso” (Ugo di san Vittore), perché tutte le Scritture parlano di lui e trovano in lui il loro vertiginoso compimento. Ecco perché la proclamazione del vangelo sarebbe bene concluderla non con un frettoloso e biascicato “Lode a te, o Cristo”, ma con un’acclamazione cantata, preferibilmente ripetendo l’Alleluja. Perché se all’inizio la proclamazione si è aperta con la formula di rito: “In quel tempo Gesù disse…”, l’acclamazione conclusiva dell’assemblea sta a dire: “Viva il Signore che ora, in questo nostro tempo, ci ha detto…”. In altre parole, è come dire: Oggi abbiamo udito la voce del Signore. Oggi, si è ri-presentato a noi l’avvenimento che si è realizzato in quel tempo…
2. Ma, per penetrare ancora di più l’enorme importanza della Bibbia nella Chiesa e nella vita, ripercorriamo quel trittico di immagini, miniate proprio dalla Bibbia per parlare di se stessa: una lampada su un sentiero buio, la pioggia che scende dal cielo su un terreno arido e stepposo, una spada tagliente che penetra nella carne viva. Sono tre immagini scintillanti con cui la parola di Dio si autodefinisce nella Bibbia. Il Salmo 119, monumentale cantico della legge-parola del Signore, vede l’esistenza dell’uomo come una strada inghiottita dal buio. Ma a un certo punto, ecco una luce che sfavilla: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”. Nel rotolo del profeta Isaia – è la seconda immagine – si disegna il panorama di una terra bruciata dal sole. Ma poi, nella stagione delle piogge, questa distesa secca e screpolata viene abbeverata da abbondanti piovaschi e da fitti manti di neve, e così la terra è come percorsa da un fremito di vita:
“Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,10s).
Quella solenne e raffinata omelia della Chiesa delle origini qual è la Lettera agli Ebrei contempla – è la terza immagine – la comunità cristiana esposta alla pericolosa tentazione di scivolare nelle sabbie mobili dello scoraggiamento, del pessimismo sterile, di una amara, infeconda nostalgia. Ecco allora la provocazione violenta di una spada che penetra e sconvolge:
“La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12).
La Bibbia, quando l’apriamo, deve quindi trasformarsi per noi in lampada che arde, in acqua viva che feconda la terra, in spada affilata e penetrante. Ma perché questo avvenga, è necessario che si realizzi il motto caro all’Associazione Biblica Universale, di cui fanno parte cattolici, ortodossi ed evangelici: “Non basta possedere la Bibbia, bisogna anche leggerla. Non basta leggere la Bibbia, bisogna anche pregarla. Non basta pregare la Bibbia, bisogna anche viverla”.
3. In conclusione, permettetemi di invitare me e voi, cari fratelli e sorelle di CL, a lasciarci percuotere dalle parole infuocate di papa Francesco che ormai conosciamo, stimiamo e tanto amiamo. Ne “La gioia del vangelo” Francesco ha scritto che nella predicazione si verifica spesso una vistosa sproporzione “quando si parla più della Chiesa che di Gesù Cristo, e più del Papa che della Parola di Dio” (EG 38). E per farci capire che Dio non ha ispirato la Bibbia per farla studiare dai biblisti, ma perché tutti noi suoi figli possiamo ascoltare, comprendere e vivere la sua parola, Francesco ha affermato pari pari: “Lo studio della Sacra Scrittura deve essere una porta aperta a tutti” e tutti devono acquisire una assidua “familiarità con la Parola di Dio”, ricordando però che questo esige che “le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria” (EG 175).
Cari amici di CL, voi lo sapete: il vescovo si fida di voi e affida alla vostra convinta, appassionata fedeltà al vescovo di Roma e al vescovo di Rimini – in questo anno dedicato dalla nostra diocesi alla parola di Dio – l’impegno di accogliere l’appello incalzante di papa Francesco, perché la parola di Dio venga accolta con generosa disponibilità, venga annunciata con mitezza e franchezza evangelica, venga vissuta con coerente trasparenza, nella certezza che ci fa ardere il cuore: “Questa parola è la nostra vita”, dice Dio (Dt 32,47).
“Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata”, dice Francesco (EG 175).
Rimini, Basilica Cattedrale, 21 febbraio 2014
+ Francesco Lambiasi