Omelia, Basilica Cattedrale, Veglia di Pasqua, 12 aprile 2009, Pasqua di Risurrezione
Pasqua è il vero giorno più lungo, ma anche il più grande e radioso di tutti i giorni della storia.
Se all’atto di comunicare la più strabiliante tra le news di tutti tempi – “Cristo è risorto” – ci venisse chiesto quando è successo, la risposta più esatta dovrebbe essere necessariamente: oggi! Sì, Cristo è risorto oggi. E’ davvero oggi, Pasqua “edizione” ’09, che il Padre dice al Figlio, risuscitandolo da morte: «Mio Figlio sei tu, io oggi ti ho generato» (cfr At 13,33). Pasqua è il giorno più lungo del calendario, perché abbraccia tutti i giorni e i secoli dei secoli, e non ammette archiviazioni di sorta. Pasqua è il giorno più grande, perché registra la più potente esplosione di vita che si possa dare: se la creazione è stata il passaggio dal non essere all’essere, la risurrezione segna il passaggio dalla morte alla vita, dal non essere più all’essere per sempre. Pasqua è il giorno più felice, perché non è fatto da mano d’uomo: è il giorno fatto dal Signore per fare festa al Figlio e per fare festa a tutti noi suoi figli. Pasqua è il giorno più fortunato, perché il nostro cammino ha finalmente operato la grande inversione ad U: ormai ogni altro giorno che va ad aggiungersi nella nostra carta d’identità non è un altro giorno in meno di vita, ma un giorno in più, che ci avvicina alla meta del “sabato senza tramonto”.
1. Ci domandiamo: stiamo per caso farfugliando l’ennesima tiritera di rito o stiamo parlando di cose vere, concrete, palpabili?
Cesare Pavese nel suo diario, qualche giorno prima del suicidio scriveva: «Nulla può consolare dalla morte. Ma forse è tutto qui: in questo tremito del “se fosse vero”. Se davvero fosse vero…».
Ma è proprio vero: Cristo è risorto! Nella partita doppia del dare e dell’avere, giocata tra la morte e la vita, manca sempre un morto per chiudere il bilancio in pareggio. Manca Lui: non hanno fatto in tempo a registrare il suo nome nel libro dei defunti.
Ci rendiamo conto che, dicendo così, stiamo affermando due verità in una? La prima: Cristo è risorto, e questo è talmente vero – ecco la seconda verità – che lui in persona è presente qui in mezzo a noi.
S. Agostino ha scritto che la Pasqua non si celebra a modo di anniversario, ma a modo di mistero. “A modo di anniversario” significa questo: un evento passato lo si può solo rievocare o commemorare. Lo si può anche ricostruire per via di immaginazione o di immedesimazione psicologica, provando emozioni e suggestioni che si sarebbero provate se ci si fosse trovati a vivere direttamente quell’evento.
Ma di per sé un avvenimento passato non può rivivere in se stesso: proprio in quanto passato, è ormai “finito” per sempre. Aveva ragione Eraclito quando diceva che «non ci si bagna due volte nello stesso fiume». Se io penso ad un fatto ormai concluso e lo penso come tuttora esistente, me lo dovrei immaginare come ancora in corso e nello stesso tempo dovrei rendermi conto che non è più tale. Insomma lo dovrei pensare come esistente e insieme come non esistente, il che è assurdo “per la contradizion che nol consente”. Perciò l’espressione “ricreare il passato” è ambigua: poiché il tempo corre in avanti e non lo si può né fermare né tanto meno far tornare indietro, di conseguenza il passato lo si può solo ricordare, ma non lo si può propriamente “ricreare”.
Ma la risurrezione di Cristo è un evento, più che straordinario, assolutamente unico, perché fa entrare Gesù di Nazaret nella “gloria” divina, nell’eternità, quindi nel tempo senza tempo. Di nessun uomo, si può dire una cosa del genere. Neanche dei grandi del passato, dei quali solo per una patetica finzione si usa l’espressione eufemistica che li vuole “immortali”. Ma si sa, sembrano talmente vivi che… nessuno li ha mai incontrati per strada! Cristo invece, risorgendo, non si è reso inavvicinabile, non si è dato per disperso dileguandosi in qualche remota periferia dell’universo, ma è diventato contemporaneo a ogni uomo che viene nel mondo. Infatti la risurrezione è un avvenimento coestensivo a tutta la storia, e compresente a tutto ciò che è temporale. Cristo è risorto per non morire più. Le piaghe indelebili del suo corpo glorioso stanno a dire che la passione e la morte sono in lui “eternizzate”, altrimenti egli non si potrebbe dire propriamente “risorto”. Ecco la celebrazione “a modo di mistero”: ciò che è eterno, sovrastorico e permanente non cessa di “rientrare” nella nostra storia attraverso la celebrazione dei santi misteri.
2. Questo aspetto merita di essere ripreso. Riproponiamo la domanda: se noi siamo ancora immersi nel fluire dei giorni, come è possibile un contatto non illusorio o puramente emotivo tra Cristo e noi? Riproponiamo la risposta: il contatto avviene qui, vero e reale, nella santa liturgia. L’azione liturgica è una vera “azione”; non è una rievocazione più o meno nostalgica dell’avvenimento passato. Non è una sua rappresentazione mimata, ma una ri-presentazione effettiva ed efficace, che attualizza l’evento, e lo rende puntualmente presente, pienamente attuale, concretamente attivo qui, oggi. Non è una suggestione collettiva a farcelo “credere”. La liturgia ci rende realmente partecipi dell’avvenimento pasquale: la celebrazione non si riduce ad una riedizione duplicata del passato, ma è piuttosto una diffusione estesa e capillare, nel tempo e nello spazio, dell’azione salvifica di Cristo. A venire moltiplicata non è la persona del Signore, che resta una, unica e indivisibile, ma la sua presenza.
Prendiamo i due sacramenti più importanti che stiamo celebrando, il battesimo e l’eucaristia. Ascoltiamo s. Paolo: “Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,3-4). Ecco cosa fa il battesimo: ci fa partecipare personalmente e realmente alla morte, sepoltura e risurrezione di Cristo.
Prendiamo l’eucaristia: “Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete al calice – scrive Paolo ai cristiani di Corinto, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga” (1Cor 11,26).
Il sacramento permette di ridurre le barriere spazio-temporali, facendoci partecipare realmente e personalmente alla Pasqua del Signore “in diretta”, in piena, trasparente contemporaneità.
Tutto questo è vero liturgicamente, ma chiede di essere veri-ficato, reso vero, esistenzialmente.
Ecco come lo esprimeva Don Oreste.
«Come si riesce a vivere da risorti? Si vive da risorti nella misura in cui siamo innamorati del Risorto. E’ l’amore che abbiamo verso Cristo che travolge coloro ai quali parliamo di Cristo; è la nostra vita stravolta da Cristo che stravolge la vita di chi ci ascolta. Se tu non sei un facchino di Cristo, ma un innamorato di lui, trasformerai il mondo perché diventi principio attivo che forma la nuova umanità.”