Omelia tenuta dal Vescovo in memoria di Dayana e del suo papà Williams,
vittime del naufragio della nave Costa Concordia
– Rimini, Basilica Cattedrale, 20 marzo 2012 –
E’ l’ora del buio. Vorrei avvicinarmi con delicatezza e cordiale affetto alla mamma della piccola Dayana, ai familiari del papà Williams, a tutti e ciascuno dei presenti. Permettetemi di accostarmi a voi, Fratelli, Sorelle, Autorità, Amici, per prendervi per mano e accompagnarvi sul Golgota, allo scoccare dell’ora nona di quel 14 di nisan dell’anno 30, quando “si fece buio su tutta la terra”.
E’ l’ora del pianto. Mentre accarezziamo con gli occhi del cuore le bare di Dayana e del suo babbo, proviamo brividi di tenerezza nei confronti dei loro cari. Eppure le possibili parole di umano conforto, risultando a noi stessi puramente palliative, si spengono in gola e le labbra ci rimangono sigillate in un silenzio sgomento e impotente. Così ci ritroviamo smarriti e confusi, come dei mendicanti, che si scoprono senza neanche un minimo spicciolo di forza per riprendere il cammino. Come dei poveri nomadi rimasti intrappolati nei labirinti dei perché più tragici e sempre troppo grandi per noi umani.
E’ l’ora del grido. E’ l’eco del Crocifisso che “dando un forte grido, spirò”. E’ il grido del povero: “Dal profondo a te grido, o Signore; / Signore, ascolta la mia voce. / Siano i tuoi orecchi attenti / alla voce della mia supplica. / Se consideri le colpe, Signore, / Signore, chi ti può resistere?”. C’è un povero più povero di un inerme agonizzante nello strazio indicibile di un naufragio? E c’è un povero più povero di una bambina innocente e indifesa, che in quella immane sciagura può contare solo sulla stretta protettiva ma fatalmente impotente del suo papà?
Permettetemi allora di farmi coraggio e di annunciarvi senza giravolte diplomatiche la verità di quest’ora: nella sua morte Gesù e ogni vittima rimangono saldati in un solo mistero, abbracciati in un solo destino. E’ parola sua: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). E’ parola sua anche quella che ci è stata appena proclamata: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,40). No, non possiamo mettere in conto a Dio il tragico disastro che è costato la vita a Dayana, al suo papà e a tante altre vittime, una catastrofe devastante che si poteva e si doveva del tutto evitare, e di cui altri hanno il dovere, davanti al tribunale divino e alla giustizia umana, di assumersi la gravissima responsabilità. Non è stato certamente Dio a distrarsi quel tredici gennaio sera né a rendersi latitante al largo dell’Isola del Giglio.
Alla domanda: Dov’è allora Dio quando avvengono queste tragedie? la risposta secondo Gesù di Nazaret è una sola: Dio è sempre là dove c’è un suo figlio che soffre e muore. Sempre. Come recita un antico testo giudaico: “Se un empio perseguita un giusto, Dio è dalla parte del perseguitato. Se un giusto perseguita un giusto, Dio è dalla parte del perseguitato. Se un empio perseguita un empio, Dio è dalla parte del perseguitato”. Il Cristo crocifisso è sempre dalla parte dei poveri crocifissi.
Questa è la verità: appesi alla croce della violenza e della debolezza; crocifissi con i chiodi della malattia, del fallimento, dell’errore e dell’inganno; nell’agonia della speranza e nel tradimento dell’amore, nella paura di dover imboccare il tunnel buio della morte, non siamo soli. Gesù non ha ceduto al ricatto dei suoi crocifissori, ha rinunciato a salvare se stesso, non è sceso dalla croce. Il Crocifisso non ha voluto schiodare se stesso, per poterci attendere tutti là, sul Calvario, come a un luogo convenuto, come a un appuntamento prefissato. E dentro quel punto di convergenza dolorosa e universale, la sua morte diversa, unica, indicibile, sconfigge la nostra morte, scrive la parola definitiva, detta la definitiva risposta: è risorto! Tutte le percorribili strade del male e del dolore, della violenza totalmente ingiustificata, della dedizione totalmente incondizionata non sono altro, in fondo, che bracci dell’unica croce che salva: la sua, che ci fa gridare, anche nel pianto: Io credo, risorgerò!
Questa è l’incontrovertibile, consolante verità: il mistero di Gesù che muore per amore incrocia il mistero di ogni umana tragedia, come questa. Il Crocifisso-Risorto, prende su di sé il velo del silenzio gravido di interrogativi che ci pesano sul cuore, lo squarcia da cima a fondo, facendo risuonare la rassicurante, inimmaginabile promessa: “Oggi con me sarai nel paradiso”.
Ora, carissimi, è l’ora della preghiera.
“Gesù, crocifisso desolato, tu morto a braccia spalancate, adesso ci devi ascoltare. Noi ti supplichiamo per papà Williams: per l’estremo atto di amore nel rimanere affianco alla sua bambina in quell’ora tremenda, associalo alla tua Pasqua. Te lo chiediamo per il tuo sangue versato per amore. Perdonagli le colpe commesse per la fragilità della condizione umana, e concedigli il perdono e la pace.
“E anche tu, Maria, Donna dal cuore trapassato dalla spada del dolore, figlia di tuo Figlio che ha detto: “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”, anche tu Madre Addolorata, datti da fare. Custodisci il tenero germoglio della piccola Dayana e faccelo ritrovare sbocciato come un candido fiore nell’eterna primavera, quando Dio tergerà ogni lacrima dai nostri occhi, e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate”.
Ecco, ne sono nate di nuove!
+ Francesco Lambiasi