Quaranta giorni per imparare a vincere Satana
Omelia pronunciata per il conferimento del lettorato, accolitato e del ministero della comunione eucaristica
Esperienza di miseria e di misericordia, la Quaresima è il tempo della sconfinata, tenerissima misericordia di Dio che si china con generosa condiscendenza sulla nostra penosa, umanamente invincibile, miseria. La quale ci induce a cercare istintivamente tutto ciò che può darci l’impressione di invulnerabilità. Ma in questo modo ci fa chiudere in noi stessi. Così rifiutiamo il vero rapporto con il mondo, con i fratelli e con Dio, subordinando a noi l’Altro, con l’A maiuscola, e ogni altro, visto come antagonista e concorrente. Ecco la tentazione profonda che mina tutta la nostra vita.
1. Tuttavia c’è stato chi ha vinto questa micidiale tentazione: Gesù di Nazaret. Guidato dallo Spirito Santo nel deserto, Gesù affronta Satana, il tenebroso tentatore, che gli prospetta una strategia di stampo trionfalistico, un falso messianismo fatto di miracoli clamorosi, come: trasformare le pietre in pane, gettarsi dall’alto del tempio con la certezza di essere salvato, conquistare il dominio politico di tutte le nazioni. Gesù respinge al mittente la tentazione del benessere e della facile prosperità materiale; rintuzza la seduzione del successo e dell’ambigua popolarità ottenuta con miracoli spettacolari; ricusa come indecente e del tutto irricevibile la suggestione del dominio e del potere temporale, optando per una scelta decisamente controcorrente.
Se voi siete qui, cari candidati al lettorato, all’accolitato, al ministero straordinario della comunione eucaristica, è segno che volete camminare sulle orme di Gesù, rimanendo fedeli alle promesse battesimali, con cui siamo tutti impegnati a respingere le medesime tentazioni dell’avere, dell’apparire, del potere. Ma il battesimo – voi ne siete consapevoli – non ci rende immuni da ogni tentazione. Il Papa, nel suo recente documento – La gioia del Vangelo – richiama la nostra attenzione su alcune tentazioni che specialmente oggi colpiscono gli “operatori pastorali”, dai “vescovi fino al più umile e nascosto dei servizi ecclesiali” (EG 76). Ecco, pensando a voi, permettetemi di elencare alcune di queste tentazioni.
La prima è quella del ritualismo. Si ha l’impressione che oggi un nuovo formalismo, forse meno appariscente che in passato, ma ugualmente sterile e illusorio, stia rimpiazzando l’antico. La mancata assimilazione dello spirito della liturgia e la distorta comprensione dei fini della riforma liturgica, da parte dei fedeli e di non pochi operatori pastorali, ha portato fatalmente alla dissociazione tra liturgia e vita, che invece devono rimanere intimamente interconnesse, per cui al ministero liturgico dovrebbe corrispondere un adeguato impegno nelle diverse attività in favore della comunità ecclesiale e civile. Inoltre, per risultare significativi, i riti da una parte devono conservare la loro autenticità senza venire banalizzati con un cerimonialismo che ne estenui l’originale senso umano; dall’altra devono risultare trasparenti ed evocativi di ciò che Dio ha fatto per la salvezza del suo popolo e ancora oggi opera nella celebrazione liturgica. In effetti non sempre l’osservanza letterale e meticolosa delle norme liturgiche, che eludesse la possibilità di scelta e di adattamento che esse offrono, è segno di fedeltà meritoria, ma piuttosto sarebbe frutto di pigrizia e di inescusabile negligenza.
2. La seconda tentazione è quella del protagonismo, che riduce l’assemblea ad un ruolo passivo e puramente esecutivo. Capita così di vedere fedeli che spesso appaiono relegati o attestati nella posizione del tutto inerte di ascoltatori-spettatori-fruitori di un atto che altri – presidente e/o ministri – svolgono per loro e davanti a loro. Mentre il vero soggetto della celebrazione è e deve essere sempre l’assemblea del popolo di Dio. I ministri esercitano il loro ministero a servizio – e non al di sopra o a prescindere – dalla comunità ecclesiale. Non si sottolineerà mai abbastanza la centralità dell’assemblea liturgica: infatti la comunità non è solo destinataria, ma innanzitutto protagonista di ogni celebrazione.
Una terza tentazione, alla quale tutti noi operatori pastorali siamo inesorabilmente esposti e dalla quale non siete esentati neanche voi, è quella dell’attivismo, che si potrebbe efficacemente chiamare “eresia dell’azione”. E’ l’azione per l’azione, sia pure partendo dai migliori propositi; il fare, l’agire, l’organizzare, il moltiplicare iniziative – assillati solo dalla necessità di un successo visibile delle cose che si fanno – e quindi il considerare inutili o per lo meno accessorie la liturgia, la formazione, la riflessione culturale. Il mezzo per superare questa tentazione è la contemplazione. Nei grandi momenti di svolta della civiltà o di riforma della Chiesa, quando le carte di navigazione costruite dall’esperienza non servono un gran che per un cammino del tutto nuovo, è più ancora necessario orientarsi facendo riferimento alla stella polare della parola di Dio. Senza la contemplazione rischiamo di cadere in un grosso abbaglio: confondere Dio con le opere per Dio. Il cristiano è uno che si adopera per Dio e per il suo regno, per la Chiesa e per la grande causa dell’evangelizzazione, ma rimane uno che ha scelto Dio, non le attività – sia pure le attività intraprese per Dio – non le opere, sia pure quelle che vengono chiamate le “opere di Dio”. Del resto ci ricorda san Giovanni della Croce, “giova più alla Chiesa un solo atto di amore che non tutte le sue opere messe insieme”.
3. L’antidoto contro le patologie su diagnosticate – ritualismo, protagonismo, attivismo – è lo stesso di quello usato da Gesù nella sua controffensiva nei riguardi di Satana e della triplice tentazione: il ricorso alla parola di Dio. In questa Giornata diocesana della Parola, ci torna particolarmente utile – anche se, forse, ci potrà risultare alquanto duro – lasciarci percuotere dai richiami pressanti di papa Francesco sulla parola di Dio:
“La Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione quotidiana. Pertanto bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. E’ indispensabile che la parola di Dio ‘diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale’ (Benedetto XVI). La parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana. (…) Lo studio della Sacra Scrittura deve essere una porta aperta a tutti i credenti. E’ fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria” (EG 174-175).
In conclusione, permettetemi di ripetere con il linguaggio diretto e sorprendente di papa Francesco: “Non lasciamoci scippare il tesoro inestimabile della parola di Dio”.
Rimini, Basilica Cattedrale, 9 marzo 2014
+ Francesco Lambiasi