Omelia del Vescovo per la Messa di Natale (Giorno)
Il Natale è evento di una novità assoluta. Una novità inedita, inaudita, inesauribile. Sorprendente e paradossale. L’eternità entra sottovoce nella storia. Lo straordinario s’impasta con l’ordinario. La Parola invisibile si rende palpabile. E noi poveri mortali siamo resi partecipi dell’immortalità di Dio. Ecco una sorta di tre brevi ‘dispacci di agenzia’ con cui ci viene comunicata la stupefacente news della venuta di Gesù al mondo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato (lett. = fatto) da donna” (Paolo: Gal 4,4). “Si compirono per Maria i giorni del parto e diede alla luce il suo figlio primogenito” (Luca: 2,5). “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Giovanni: 1,14). Sono come altrettanti ‘comunicati-flash’ con cui ci viene trasmesso l’annuncio strabiliante di una nuova creazione e di un uomo nuovo.
1. Una nuova creazione. Tutto il creato era come lacerato e sbiadito. Aveva perduto l’originale dignità della sua destinazione finale. A Natale il Verbo invisibile assume nella propria carne il cosmo intero e lo risolleva dalla sua caduta. I cieli piovono giustizia e pace, mentre la terra cessa di gemere e ci dona il suo frutto: il Messia e Salvatore. Tutto l’universo viene reintegrato nel disegno benevolo del Padre. D’altronde, ciò non si è mai rivelato tanto vero come oggi, quando tutti siamo e ci sentiamo sotto la minaccia di una catastrofe ecologica di portata apocalittica.
Un uomo nuovo: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (GS 22). Per afferrare almeno qualche scintilla di un messaggio tanto incandescente, sostiamo per un istante su questo pensiero. Tra noi e Dio si ergevano tre muri di separazione: quello della natura, quello del peccato, quello della morte. Il muro del peccato è stato abbattuto da Gesù sulla croce. Il muro della morte nella sua risurrezione. Ma il primo muro – quello della natura – è stato smantellato nell’incarnazione, quando natura umana e natura divina si sono finalmente abbracciate e congiunte con nodo inestricabile nella sua persona.
In Gesù il Dio lontano si è fatto così vicino da bruciare ogni distanza. Gesù è diventato l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana. Ha provato fame e sete. Ha sperimentato lavoro e stanchezza. Ha conosciuto gioia e pianto, tenerezza e paura. Ha incontrato amicizia e sdegno. Ha riscontrato sorpresa e sconcerto, compagnia e solitudine. Soprattutto ha vissuto un amore sbilanciato fino all’estremo: la croce.
2. In Cristo, l’uomo perfetto, la natura umana è stata innalzata a una dignità impensabile, e così, a Natale, è cominciata anche per noi l’inconcepibile avventura dell’uomo nuovo. E’ davvero proprio eccessivo definire il Natale il nostro ‘compleanno’?
Ma per meglio capire chi è l’uomo nuovo, vediamo – per contrasto – chi è l’uomo vecchio, dove l’aggettivo ‘vecchio’ non dice un’accezione anagrafica, ma morale.
Uomo vecchio è chi insegue la novità per la novità, e si affanna a inventare il cambiamento per il cambiamento, immergendosi in una vita sradicata, ridotta a continua esplorazione, a un vagabondaggio compulsivo, senza meta e senza sosta. Una vita così deviata si sciupa miseramente nel rincorrere brividi sempre più eccitanti. Si degrada nell’inseguire emozioni ancora più frizzanti, e finisce nelle sabbie mobili dell’effimero. E non si scampa al “naufragio della non esistenza” (Chesterton).
Uomo vecchio è chi affida la sua fame di novità a desideri off-limits, a sensazioni illusorie e fallaci, o alle nebbie fumogene delle varie ideologie, che millantano promesse di eternità. Scatta allora l’abbaglio di possedere certezze e soluzioni per un mondo nuovo, solo perché lo si sogna in technicolor. Rimane la novità fittizia di fugaci appagamenti, di miraggi deliranti, mentre i sogni infranti ricadono velocemente su una quotidianità divorata dalla noia e dal mal di vivere.
Uomo vecchio è chi si lascia imbrigliare dalle opere dell’egoismo: “fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere (Gal 5, 19-21). Questo lugubre elenco firmato da Paolo trova purtroppo ricorrenti attualizzazioni: avidità di denaro e avarizia, disprezzo della vita propria e attentati a quella altrui, tempo libero annegato nella nausea, uso e spaccio di droghe, violenza e depravazione, sincretismo religioso, satanismo e magia, rigurgiti razzisti e disprezzo degli immigrati, cecità e indifferenza di fronte alle tragedie umane.
3. In positivo, chi è allora l’uomo nuovo che nasce a Natale? E’ chi vive da figlio di Dio, e non da schiavo. Sì, schiavi mai, di niente e di nessuno. Neppure di Dio.
Ma, concretamente, oggi come siamo messi con il vangelo del Natale? L’ultima indagine condotta dal Censis traccia una radiografia inquietante degli italiani: smarriti, sfiduciati, depressi. Con un segnale agghiacciante: l’incertezza è lo stato d’animo con cui il 69% guarda al futuro.
Oggi la virtù più rara eppure più necessaria dell’uomo nuovo è la speranza, quella che sgorga dalla fede e ci fa dire: finché nasce il Bambino di Betlemme, è segno che Dio non si è mai stancato e mai si stancherà di noi, perché il suo amore è più forte delle nostre fragilità.
Fondata su questa certezza infrangibile, la speranza liquida la paura. Ogni paura.
La paura di Dio. Il Natale ci dice che il Dio di Gesù di Nazareth non è affatto il più temibile rivale della nostra già fragile libertà, ma il più affidabile alleato della nostra umana avventura.
La paura del nostro io. Il Natale ci rivela che l’egoismo annidato nel nostro cuore non è indomabile, perché noi abbiamo creduto all’amore. Ci sentiamo amati da un Amore follemente innamorato di noi. Che non può né vuole fare a meno né di me, né di te, né di alcun altro di noi tutti.
La paura degli altri. Il Natale ci insegna a non vederli come nostri potenziali nemici. Sono piuttosto nostri veri fratelli, al di là di ogni differenza, e nonostante ogni ingiusta discriminazione.
La paura del futuro. Il Natale ci ricorda che Dio compie le sue promesse e vuole costruire il domani anche con le nostre mani. Per questo non ci lascia mai soli.
Il Natale è l’occasione di ripensare alla nostra ri-nascita. Solo se diventeremo bambini, cioè umani, potremo salvarci. E’ vero: “è per rinascere che siamo nati” (Pablo Neruda). E’ vero: gli esseri umani non sono ‘mortali’ ma, piuttosto, persone ‘natali’ (nascenti) (Maria Zambrano).
Il Natale può significare disponibilità a ri-generarci, capacità di far ri-nascere una vita nuova, buona e bella. Soprattutto volontà di costruire una società giusta, libera e conviviale.
Sì, Sorelle, Fratelli, Natale è il nostro compleanno. Auguri, 2019 volte!
Rimini, Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2019
+ Francesco Lambiasi