Omelia nel corso della santa Messa per la fine dell’Anno
A questa maestosa ouverture del vangelo di Giovanni io non riesco proprio ad assuefarmi. E neanche voi – ne sono sicuro – fratelli e sorelle. Vi sarete resi conto che abbiamo letto lo stesso brano del giorno di Natale, ma né voi, credo, e neanch’io abbiamo provato la fastidiosa sensazione di una annoiata sazietà, come di fronte alle cose troppe volte dette e sentite. Tutt’altro: questo prologo del quarto vangelo è davvero una cascata di sorprese vertiginose. Tra le tante, nella mappa lessicale del brano, campeggia più di ogni altra una parola: grazia. Ripercorriamone velocemente le ricorrenze, che si infittiscono negli ultimi versetti. Di Gesù, il Verbo fatto carne, si dice che è il “Figlio unigenito (…) pieno di grazia e di verità”. E di noi si afferma che “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. Infine, in un serrato parallelo tra Mosè e Cristo, si ricorda che “la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo”.
1. Nell’Antico Testamento ‘grazia’ era la parola decisiva nella ‘carta di identità’ con cui Dio si era autodefinito, e stava ad indicare quel reticolo di tenerezza, di misericordia, di fedeltà con cui il Signore voleva esprimere il suo amore viscerale nei confronti di Israele. Nel libro dell’Esodo si legge che, quando si svela a Mosè, il Signore passò davanti a lui, proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio di misericordia e di tenerezza, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6). Grazia è pertanto l’amore con cui Dio si china con materna premura sulle sue creature, un amore intriso di benevolenza, di liberalità, di compassione. Un amore con marcate venature di generosità e di sconfinata gratuità. Un amore, forte e dolce, che non si dovrebbe aver paura a definire, con il linguaggio dei nostri giovani, ‘pazzesco’: esorbitante rispetto ad ogni nostro presunto merito, eccedente rispetto ad ogni nostro reale bisogno. Un amore che si è come ammassato in Gesù, quasi stipato nella sua ‘carne’, per poi tracimare e riversarsi su tutti noi. L’umanità di Gesù infatti è “piena” – compressa e impregnata – di grazia: “è piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza” (Col 1,19), ed è da questa sovrabbondante pienezza che noi abbiamo ricevuto “grazia su grazia”. Dal giorno del primo Natale, la storia è abbracciata dall’arcobaleno della grazia, come si dice per ogni anno dell’era cristiana: quando si vuole datare un evento particolarmente importante, si incidono su una lapide le parole di rito: “Nell’anno di grazia del Signore…”.
Anche di quest’anno, che nella clessidra del tempo sta rapidamente smaltendo gli ultimi granellini degli ultimissimi secondi, possiamo dire che è stato un anno di grazia. E se alla grazia di Dio non può non corrispondere il nostro grazie, noi stiamo qui stasera per fare eucaristia – lett. “rendere grazie” – per la straripante ricchezza di grazia che il Signore ci ha concesso.
E’ la grazia del fiume carsico di tante ore di preghiera, che non solo di giorno ma anche di notte continua a scorrere sotto la superficie delle nostre città e paesi. E’ la grazia del sacrificio costante di numerosi e generosi educatori e catechisti che si prodigano senza calcoli e senza sconti per molti dei nostri bambini, ragazzi e giovani. E’ la grazia dei passi stanchi e delle mani aperte dei nostri sacerdoti, di tante persone consacrate, di tantissimi laici, nei quali pulsa un cuore ferito dall’amore per il Signore e i suoi poveri. E’ la grazia della dura lotta interiore e delle sorprendenti vittorie di chi è stato capace di perdonare. E’ la grazia del paziente ricominciare di quanti ogni giorno si mettono alla scuola delle beatitudini evangeliche.
2. Anche quest’anno abbiamo avuto la grazia di ordinare sacerdote un nostro diacono, Eugenio Facondini. Anche quest’anno abbiamo ricevuto la grazia dei nostri presbiteri che innumerevoli volte hanno steso le mani per benedire, perdonare, consacrare; hanno alzato la voce per annunciare il Vangelo e impedire che il popolo di Dio muoia di fame nel cammino attraverso il deserto del mondo. Anche quest’anno abbiamo ordinato tre nuovi diaconi, abbiamo istituito molti lettori, accoliti e ministri straordinari della comunione eucaristica, ma abbiamo vissuto la gioia di costituire i primi catechisti battesimali e di consacrare la prima sorella nell’Ordine delle vergini. E al culmine dell’anno pastorale, il 26 maggio scorso abbiamo celebrato la grande veglia di Pentecoste in piazza Cavour. Inoltre è proseguita la visita pastorale, che in questi mesi sta coinvolgendo le parrocchie del vicariato urbano. Anche quest’anno abbiamo vissuto la grazia della TreGiorni del Presbiterio per orientare in senso missionario il nostro ministero pastorale, attraverso la logica e la dinamica della cosiddetta “pastorale integrata”. Anche quest’anno con circa ottanta presbiteri abbiamo vissuto a Loreto una settimana di esercizi spirituali per ridire il nostro sì al grande Sacerdote, come il giorno dell’ordinazione.
Anche quest’anno abbiamo ricevuto la grazia del perdono misericordioso di Dio per i nostri peccati, per avere nuovo coraggio di andare avanti. Abbiamo ricevuto tante grazie di luce per illuminare il nostro cammino. Gesù, luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, è stato la luce di quest’anno che finisce. Ma dobbiamo dire che il dono più grande è lui stesso. Gesù, Figlio di Dio, ha dato a noi se stesso ogni giorno dell’anno. Si è dato come luce, come forza, come amore, specialmente nell’eucaristia. Ci ha dato la gioia di essere in comunione con il Padre, di essere uniti ai nostri fratelli – in particolare a quelli delle zone terremotate dell’Emilia – e di aiutarci a vicenda, di comunicare agli altri la gioia che riceviamo da lui.
Certo, tutti abbiamo bisogno di riprendere un deciso cammino di conversione, perché anche quest’anno abbiamo molto peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni. In particolare ci dobbiamo chiedere se stiamo rispondendo sul serio all’appello del Papa e dei Vescovi per intraprendere un cammino di risveglio della fede e diventare testimoni e missionari della nuova evangelizzazione. Ci dobbiamo interrogare se abbiamo fatto e stiamo facendo tutto il possibile per i nostri fratelli e sorelle delle zone terremotate dell’Emilia. Ci dobbiamo domandare davanti al Signore se stiamo facendo davvero tutto per condividere e attenuare i disagi della crisi finanziaria, che continua a mordere sulla pelle di tanta povera gente.
3. A questo punto debbo pronunciare un’altra parola, che risulta spesso abbinata nel linguaggio biblico e in quello liturgico alla parola ‘grazia’, ed è pace. Questa celebrazione infatti, mentre archivia negli annali della storia della salvezza l’anno che sta consumando la manciata degli ultimi spiccioli prima della mezzanotte, ci proietta nella celebrazione di domani, solennità di Maria Madre di Dio e Giornata Mondiale della Pace.
Quest’anno il Papa ha pubblicato un messaggio dal titolo: “Beati gli operatori di pace”, riferendosi all’analoga beatitudine evangelica (cfr Mt 5,9). Ma chi sono gli operatori di pace, secondo Gesù? “Si tratta di persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi” (J. Dupont). Operatori di pace non è dunque sinonimo né di pacifici né di pacifisti, ma di pacificatori. C’è nel messaggio una affermazione centrale e fondamentale: la pace è dono di Dio e opera dell’uomo. Pertanto operatori di pace sono coloro che amano, promuovono e difendono la vita nella sua integralità, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Operatori di pace sono coloro che si impegnano a vincere “quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste” (n. 3). Operatori di pace sono coloro che non si danno pace, finché non riescono a realizzare il bene comune. Sono coloro che si adoperano in tutti i modi perché siano rispettati i diritti umani basilari, tra cui quello della libertà religiosa, non solo come libertà da costrizioni e divieti, ma anche come libertà di testimoniare e annunciare pubblicamente la propria religione. Occorre anche ricordare che tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al lavoro. Costruttori di pace sono coloro che si impegnano a costruire un nuovo modello di sviluppo e di economia, “favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, una occasione di discernimento e di un nuovo modello economico (…) secondo il principio di gratuità come espressione di fraternità e della logica del dono” (n. 5). Costruttori di pace sono coloro che coltivano la passione per il bene comune della famiglia e si impegnano a promuovere una cultura di pace nelle istituzioni culturali, scolastiche e universitarie.
In conclusione, permettetemi di salutarvi con il saluto liturgico di derivazione paolina in cui appaiono abbinate le due parole – grazia e pace – che hanno fatto da fili per imbastire la trama dei pensieri che sono venuto a proporvi: “La grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi” (cfr 1 Cor 1,3).
Rimini, Basilica Cattedrale, 31 dicembre 2012
+ Francesco Lambiasi