Morire in Avvento

Omelia del Vescovo per le esequie di d. Probo Vaccarini

Parlare della morte per noi cristiani significa collocarci ai bordi del Mistero. Il linguaggio della nostra tradizione ne parla come del dies natalis, il giorno della nostra nascita al cielo. Se poi la morte avviene alle ultime battute dell’Avvento, ormai quasi sulla soglia dell’imminente festa di Natale, come è avvenuto per don Probo, allora questo ci autorizza a dire che per lui la morte è stata davvero un doppio Natale.

Nei Dialoghi delle Carmelitane Georges Bernanos, ispirandosi alla parabola del banchetto nuziale, nella versione dell’evangelista Matteo (22,1-14) scriveva che la morte è come un abito preconfezionato per ogni figlia o figlio di Dio e riposto nel guardaroba dell’anticamera del Paradiso. La morte quindi sarebbe come una veste candida non cucita in serie con delle taglie approssimative, ma ‘attagliata’ proprio alla giusta misura del defunto, in modo che sia già pronta per essere indossata alla bisogna.

1. Quando quel giorno toccherà anche a noi, ci renderemo allora conto che perfino la data e altri particolari della nostra morte si saranno verificati a puntino, proprio nella misura puntuale e precisa, adatta per ciascuno di noi. Per don Probo è successo davvero così, come in fondo era già successo per don Oreste, morto tra la notte del 1 e 2 novembre, in modo che, a seconda del fuso orario, le varie comunità dell’APGXXX sparse per il mondo, potevano dire che il Don era stato chiamato dal Signore al ‘santo viaggio’, alcune, il giorno di tutti i Santi, altre il giorno della Commemorazione dei fedeli defunti.

Per don Probo, autentico Patriarca nel nostro presbiterio e nell’intera diocesi, possiamo dire che la morte per lui non poteva che accadere in questo tempo di Avvento, e in un giorno come oggi, in modo che per le sue esequie si potessero proclamare questi brani della liturgia della Parola, e vederli perfettamente combaciare con la sua vita.

Infatti oggi 21 dicembre è stato letto il delizioso, dolcissimo brano del Cantico dei Cantici, che, per la obbligata brevità di questo rito, affido alla vostra e mia contemplazione. Ed è stato proclamato il brano della visitazione di Maria alla sua parente anziana Elisabetta. In questo vangelo risuona la prima benedizione in assoluto di tutto il Nuovo Testamento. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria – ci informa l’evangelista Luca – quel minuscolo ‘esserino’ del futuro Giovanni, ancora annidato nel grembo della mamma, si era abbandonato a una vivace capriola di esuberante allegrezza. Elisabetta, da parte sua, appare un vulcano di felicità, e con il cuore a mille esplode ad alta voce in un grido di prorompente stupore: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”. Oggi dunque è la giornata della benedizione, come ieri è stata la Domenica del sì di Maria all’annuncio dell’angelo Gabriele.

2. L’anno passato al compimento dei 100 anni ci siamo soffermati sui sì di Don Probo: sì alle varie chiamate che hanno ritmato la sua lunga esistenza. La chiamata alla vita, alla fede, alla conversione, al matrimonio, alla generazione dei figli, alla vocazione di quattro di loro al sacerdozio. Fino alla sua personale chiamata al diaconato e poi al presbiterato. Pertanto mi pare opportuno un brevissimo squarcio dedicato alla sua lunga vita, per vederla come abbracciata dall’arcobaleno della benedizione. Le varie chiamate per lui sono avvenute tutte sotto il segno della benedizione del Signore. E anche il ministero pastorale è stato da lui vissuto come una grande benedizione, ricevuta dal Signore e condivisa con tantissime sorelle e fratelli tutti, benedetti nel nome del Signore.

Caro don Probo, in ogni tua parola, in ogni tuo gesto, in ogni iniziativa tu hai cercato fino allo spasimo di vivere il “primato della benedizione”. Per questo ora lasciaci dire: ogni volta che ti penseremo e pregheremo per te, ricordaci sempre che dire a qualcuno “Ti benedico!”, significa vedere bene il bene che c’è in lei o in lui. Prima di tutto il bene e la luce, e il grano buono, con uno sguardo di stupore, senza rivalità, senza amarezza, senza invidia.

Questo vale in particolare per noi pastori. Ma è un messaggio, o, se vogliamo, un testamento spirituale, estensibile ai fedeli della tua piccola parrocchia, a tutta la tua famiglia di sangue, alla famiglia delle Ancille che ti hanno venerato e seguito con amorevole attenzione. E anche a quanti hanno potuto beneficiare della tua preziosa e infaticabile guida spirituale. Ricorda a tutti che, se non impariamo a benedire chi abbiamo accanto, non potremo entrare con tutt’e due i piedi nel regno di Dio. E non potremo mai essere felici.

Ma noi confidiamo nel Signore, nella sua e nostra SS.ma Madre Maria, nella preghiera tua, di Don Oreste e dei sacerdoti del nostro presbiterio, dei tuoi e nostri Vescovi defunti. Perché venga pronunciata per ognuno di noi la parola beata: “Benedetto sei tu, perché nel cuore e nella vita porti il Signore, come Maria”.

O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria!

Rimini, Basilica Cattedrale, 21 dicembre 2020

+ Francesco Lambiasi