Omelia del Vescovo per la solennità di s. Maria, Madre di Dio
All’inizio del nuovo anno siamo qui, davanti al Signore, per chiedere la sua benedizione per gli altri giorni di vita che vorrà donarci. Noi sappiamo che per vivere con slancio, con fiducia e tenacia, con gusto, grinta e passione, non basta aggiungere altri anni alla vita. E’ necessario aggiungere vita agli altri anni. La vita non è uno scherzo. Non è un destino malvagio. Neppure una nave in crociera che scivola tranquilla verso il porto della felicità. Ci occorre una benedizione…
1. Ma cos’è una benedizione? La Bibbia ci corre in aiuto. Benedizione è parola composta, in cui il vocabolo bene viene abbinato al vocabolo Bene-dizione è una ‘dizione di bene’. Un bene che non scaturisce dall’azione dell’uomo, ma dalla creazione di Dio: è la trasfusione della sua vita in noi. Dietro la benedizione s’intravede il suo sorriso. Dio è il Dio del sorriso. Fortissimo Dio!
Macché! Da questo orecchio proprio non ci sentiamo. Continuiamo testardamente a pensare a Dio come a un essere gelido e impassibile, come a una sorta di robot senza né carne né sangue, con un computer al posto del cuore. O, addirittura, come a un essere arcigno e duro, furioso e perennemente infuriato. Così, invece di essere noi a sua immagine e somiglianza, finiamo per costruirci un dio-idolo a nostra immagine e somiglianza. E’ dentro di noi che serpeggia la tentazione del Maligno: “Dio è geloso e invidioso di voi. Non vuole che diventiate come lui”. E nel fondo di noi cova la convinzione che, per ottenere qualcosa, sia meglio uno schiaffo che una carezza. Che una punizione sia meglio di una benedizione. Che la guerra e la violenza siano sempre più efficaci del dialogo, della pace e della pazienza.
Benedire vuol dire invece siglare una relazione favorevole, benevola con Dio. Vuol dire stabilire una relazione calda e affettuosa con Dio Padre, che non ci vuole né schiavi né sudditi, ma figli, solamente e integralmente figli. Da lui ci viene ogni bene, a cominciare dal bene primo-primario: il dono esuberante della vita. I nostri fratelli maggiori, gli Ebrei, questa sovrabbondanza di vita la chiamano pace. Dove pace non dice semplicemente silenzio delle armi, ma polifonia di vita. Una pienezza di amore. Un colmo di fecondità. Un ‘top’ di serenità. Il simbolo privilegiato della benedizione è l’acqua, bene vitale. Insieme alla vita che alimenta sulla terra, l’acqua per la sua origine celeste evoca la generosità di Dio. Ne richiama la limpida, incontaminata gratuità.
Allora, perché una benedizione all’inizio di un nuovo anno? Se è vero che Gesù è l’unica immagine autorizzata di Dio, e Dio è amore, proviamo a iniziare ogni giorno ponendoci davanti a Dio come lui si vuole: sorridente, tenero, paterno. Ogni giorno sarà diverso. All’inizio del nuovo anno, nei giorni dei misteri gaudiosi e di quelli dolorosi, proviamo ancora a pensarlo come lui si vuole: sorridente, tenero, paterno. L’anno sarà diverso. E la vita cambierà.
E che cosa vogliamo dire quando ci auguriamo: buon anno? Ci auguriamo di vivere la gioia di lasciarci gratuitamente amare da Dio. Ci auguriamo di sperimentare la perfetta letizia di donarci gratuitamente agli altri, anche a quanti ci affliggono. Di più: ci auguriamo di annunciare il vangelo di Gesù attraverso la gratuità del nostro amore, perché questo è il risvolto umano, palpabile, riconoscibile di quanto Dio ci ami. L’aiuto offerto ai più bisognosi, la pazienza nella cura dei malati, la semplice cordialità di un saluto gentile, il sorriso delicato di una risposta garbata, il perdono che rimargina ferite laceranti, profumano di gratuità, colorano di umanità, accendono di gioia la vita.
2. Ritorniamo ora sulla parola gemella di ‘benedizione’: è la parola pace. Oggi si celebra in tutta la Chiesa cattolica la 55.ma Giornata mondiale della pace. E’ la giornata della pace per la pace delle nostre giornate. Nel messaggio del Papa, dal titolo: “Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro“, vorrei aprire un grandangolo proprio sulla “educazione, come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo, e come via per la costruzione di una pace duratura”.
Ora, se è certo che non c’è pace vera senza vera fraternità, allora è urgente educare a vivere da fratelli. Questa educazione implica anzitutto di aiutarci tutti a tenere gli occhi aperti sul rischio della dittatura dell’ego e sulla tentazione ricorrente del narcisismo. Il seme dell’io, da radice diventa pianta solo quando lascia spazio al ‘noi’. Il cuore di questa pedagogia riguarda la libertà. Si tratta di smascherare i miti di una società individualista che identifica la libertà unilateralmente con l’autonomia, lasciando sistematicamente in ombra l’altro suo aspetto costitutivo, per cui essa è anche responsabilità. Verso se stessi. Verso gli altri.
3. E veniamo, infine, alla festa odierna: la solennità di Maria ss.ma Madre di Dio. Proprio in questo titolo da capogiro consiste il segreto di Maria. Maria è la più redenta – e dunque la più benedetta – tra tutte le donne. Lei è la Madre di Dio, non nel non-senso che abbia partorito la divinità stessa, ma nel senso di aver concepito e generato l’umanità del Figlio di Dio. Il quale, oltre ad essere veramente e perfettamente uomo, è anche veramente e perfettamente Dio.
Però Maria non ha avuto con Gesù una relazione puramente biologica, poiché, come ogni madre continua a generare il figlio attraverso l’accompagnamento educativo. Così ha fatto Maria. Assieme a Giuseppe, ha veramente cresciuto e ‘formato’ Gesù. San Luca dice che Gesù “cresceva in sapienza, età e grazia”. L’umanità del piccolo Gesù si è sviluppata umanamente, e ciò grazie all’influsso educativo di Maria, che gli ha insegnato a pregare, a diventare uomo veramente umano: libero e responsabile, fedele e generoso. Un vero uomo di pace. Come non pensare che, se Gesù, all’ultima cena con i suoi, si è cinto un asciugamano ai fianchi e si è messo a lavare i piedi ai discepoli, è perché aveva visto compiere tante volte quel gesto da sua madre a Nazareth per gli ospiti di passaggio, e aveva imparato dal suo esempio e dal suo ‘stile’ a farlo lui stesso?
Ma in che senso la maternità di Maria ci parla della nostra vita di credenti? Come possiamo noi diventare veramente, e non metaforicamente, madri di Cristo? A questo punto dobbiamo ricordare che Maria ha concepito Cristo prima nel cuore (=nella fede) che nel grembo. “Se una è la Madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede tutte le anime generano Cristo” (s. Ambrogio).
L’immagine del concepimento e del parto ci porta a dire che se nella tua vita tu professi la fede in Cristo, ma poi non la rendi visibile in opere coerenti e concrete, allora è come se in te Cristo fosse concepito, ma non partorito: un drammatico, traumatico aborto spirituale. Se noi celebriamo il Natale, ma poi non ci impegniamo nel portare avanti un sincero proposito di vita nuova, che si traduce in sogni e segni di pace, e traluce in gesti e gesta di bene, noi impediamo a Gesù di nascere in noi. A che ci servirebbe allora celebrare il suo Natale a Betlemme, se poi non lo facciamo nascere ogni giorno nella nostra vita?
Rimini, Basilica Cattedrale, 1 gennaio 2022
+ Francesco Lambiasi