Omelia del Vescovo nel Giorno di Natale
C’è una frase che è risuonata questa notte nella nostra Cattedrale e che ho letto, riportata a caratteri cubitali alla base del presepe cittadino allestito sotto l’arco di Augusto. E’ il verso di una profezia tratta dal rotolo di Isaia e ci può aiutare a discernere il drammatico tornante di storia che stiamo vivendo: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce” (9,1). Anche quest’anno camminiamo nelle tenebre della pandemia, accanto alla nostra gente. Anche noi, insieme con tutte le donne e tutti gli uomini, sperimentiamo la paura che ci paralizza, l’angoscia soffocante che ci mozza il fiato, sotto la mascherina. Quanti drammi, quante solitudini, quanti affanni, quanta sofferenza. A volte il buio sembra avere il sopravvento. Nonostante tutto, però, siamo certi che il nostro orizzonte non siano le spesse tenebre che ci avvolgono. Non siano la rabbia e lo sgomento. Non siano il dolore e la morte. Il nostro orizzonte è rischiarato dalla luce, che squarcia il buio e scioglie la nebbia, e ci offre la possibilità di sporgersi sul futuro. E’ la luce di quel bambino “nato per noi”, Cristo, “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9).
1. Poco fa abbiamo ascoltato: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). L’evangelista Giovanni non racconta, ma canta la venuta del Verbo. Accostandoci all’inno verticale del prologo giovanneo, si ha l’impressione sbalorditiva di aggirarsi ai piedi di un massiccio altissimo, con la cima che svetta oltre le nubi, oltre l’azzurro fitto del cielo. E’ un monte irraggiungibile: è il Dio ignoto, la Gloria invisibile, il Nome impronunciabile. Ci afferra un senso di smisurato stupore, di vertigine abissale. Ma ci colma subito di gioia l’evangelo, la bella-buona-lieta notizia. Il sorprendente messaggio: la Parola indicibile si è fatta comprensibile. La Gloria imponderabile si è fatta percettibile. L’Immenso si è fatto ‘manuale’, abbracciabile.
Nel rinviare a questo messaggio lieto e impensabile, San Paolo, nella lettera al discepolo Tito, scrive: “Figlio mio, quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati” (3,4s). Con questo annuncio di incontenibile gioia, l’apostolo esalta la bontà, l’eccedente benevolenza di Dio e il suo sviscerato amore per gli uomini (in greco: philanthropia). Con una intuizione geniale il traduttore della Vulgata, san Girolamo rende il termine greco filantropìa di Dio con humanitas, umanità di Dio. Un bisticcio concettuale – quasi un ossimoro – che crea un effetto straniante, eppure coinvolgente. E’ quanto mai singolare che per descrivere l’indicibile benevolenza, per sottoscrivere la tenera e dolcissima amabilità di Dio, non se ne connoti la divinità, ma se ne rimarchi addirittura l’umanità. Quasi a dire: il Dio di Gesù è un Dio indiscutibilmente umano!
Ecco la stupefacente verità del Natale: Dio è umano. Dio si è fatto umano. E’ diventato umano. Una verità a cui poco si pensa, a cui non si presta attenzione, a cui raramente ci si riferisce. Eppure è lì il fuoco del mistero del Natale. E’ l’incarnazione, il farsi veramente uomo-umano da parte di un Dio che è onnipotente proprio perché rivela la sua onnipotenza nella misericordia. Dio è onnipotente appunto perché si dona e perdona tutti noi. Perché accoglie il povero. Ricerca lo smarrito. Abbraccia il peccatore. Accoglie l’adultera. Si riconcilia con chi lo ha tradito e rinnegato. Perché è sempre fedele, anche quando noi gli siamo infedeli.
2. Di più. A Betlemme non solo si capisce che cosa è Dio, ma anche che cosa è l’uomo. Gesù non rivela solo Dio all’uomo, ma rivela anche l’uomo all’uomo. Fin dal primo istante l’uomo è pensato, voluto e creato come immagine-partecipazione del mistero di Gesù. Nel cuore di Dio Padre-Abbà l’uomo trova pienezza e compimento in Cristo. Gesù è perciò ‘stampato’ in ogni uomo, e tutti gli uomini trovano in lui la loro verità, la loro intima e piena identità. Dire Gesù è dire che Dio ama ogni uomo. E’ questo il mistero del Natale. Un mistero di amore inaudito. Ciascuno di noi, essere fragile e tragico, uomo di miseria e di peccato, è amato in una misura senza misura, dall’amore unico del Padre che ci ama come “figli nel Figlio”. Accettiamo di essere amati nel Figlio! Diverremo così veri figli del Padre e fratelli tutti, tra di noi. Non abbiamo paura dell’amore! Non abbiamo paura della morte, perché l’amore ha vinto la morte! Non abbiamo paura della vita! Non abbiamo paura della gioia! Abbiamo l’umiltà di lasciarci amare, difendiamo il coraggio di vivere, coltiviamo la gioia di amare con il cuore del Figlio, poiché il Padre ci vuole come figlie e figli di Dio.
3. Che cosa possiamo fare, allora?
Possiamo contemplare. Se pregare è parlare con Dio, contemplare non è cosa di parole, ma di sguardi. Contemplare è guardare con amore. E’ amare, tacere e adorare. Guardiamo il bambino di Betlemme, sua madre Maria, Giuseppe di Nazareth, i pastori di Betlemme. Se riusciamo a sostenere con uno sguardo stupito e commosso la scena del presepe, allora non perderemo la testa, non saremo preda della follia. La follia del disprezzo della vita, dell’aggressione al prossimo, dell’oltraggio, della menzogna, del tradimento. Contemplare non è fare resistenza, ma piuttosto arrendersi e aprire un varco all’amore di Dio Padre. E respingere la follia dell’odio e della violenza: in noi e, attraverso di noi, nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli.
Contemplare, dunque.
Ancora, possiamo donare. Donandoci il Figlio, Dio Padre-Abbà ci ha donato tutto. Doniamo anche noi: il nostro tempo, il nostro amore, la nostra vita. Dio ci ama e ama anche le nostre sorelle e i nostri fratelli. Perché mai allora noi non vorremmo amarli? Dare, dare tutto ciò che abbiamo. Come d’incanto scopriremo che Dio ama chi dona con gioia. E non dimentichiamolo mai: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere.
Donare, allora.
Cos’altro possiamo fare, ancora? Possiamo perdonare. Nulla ci è dato di poter fare in tanti paesi del mondo, dove non c’è libertà, giustizia, pace. Eppure ognuno di noi può fare ancora qualcosa, nel proprio piccolo angolo di mondo: perdonare. Qualcuno ci ha sicuramente fatto soffrire, e forse nel nostro cuore è rimasta della ruggine, ci si è depositata un’acredine amara che da soli non riusciamo a cancellare. Perché non chiedere un aiuto al piccolo Bambino di Betlemme? Il quale ci ha detto di amare i nostri nemici. E ci ha insegnato a pregare il Padre suo e Padre nostro di “rimettere a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
Contemplare. Donare. Perdonare. Sono le tre radici dell’albero di Natale, l’albero della gioia. Non prendiamocela con il Natale perché è un solo giorno all’anno. Cerchiamo piuttosto di rivestire ogni giorno con la bellezza del Natale. Sorelle e Fratelli tutti, Buon Natale!
Rimini, Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2021
+ Francesco Lambiasi