Omelia tenuta dal Vescovo per la chiusura del Giubileo
Un inno di giubilo alla divina Misericordia. Il Magnificat è il cantico che Maria avrà canterellato tra sé e sé, verso a verso, lungo il tragitto da Nazaret ad Ain-Karim, sotto i cieli alti della Galilea e davanti alla dolce linea della dorsale montuosa della Giudea. Un cantico zampillato poi di getto dai fondali più segreti del suo limpido cuore, dopo aver avvertito a pelle le onde di gioia che provenivano dal grembo di Elisabetta. Il Magnificat è il ‘vangelo’ di Maria: non un breviario di dogmi, non un sommario di precetti, né un prontuario di riti e rubriche. Il vangelo della Vergine è la prima ‘bella notizia’, che risuona nel NT: Dio “si è ricordato della sua misericordia”, che si stende per sempre, “di generazione in generazione”.
1. Fratelli, Sorelle, ascoltatemi. Io sono qui questa sera non per merito mio, non per una mia ostinata auto-destinazione, ma per un preciso mandato. Sono stato inviato qui per aiutarvi a lasciarci trascinare nel vortice del giubilo di santa Maria. Concretamente, sono qui per darvi la nota del Magnificat, ma neppure questa prima nota è la mia: è tutta di Maria. Poiché il Giubileo straordinario finisce, ma il giubileo ‘ordinario’ – quello della vita ordinaria – non finisce, non può finire qui. E sarà proprio il Magnificat a fare da base musicale per il nostro pellegrinaggio verso la casa del Padre, stracolmo di misericordia.
Ma ora dobbiamo intercettare il vangelo appena proclamato. Lo dobbiamo incrociare con il principale obiettivo assegnato da Francesco alla Chiesa quando ha indetto il Giubileo: ripulire l’immagine di Dio da macchie, ombre e sospetti che ne hanno sporcato il volto santo. Più concretamente, ci dobbiamo domandare se il profilo del Signore, quale si rispecchia nel brano evangelico di oggi, sia quello di un Padre tenero e misericordioso. O se invece tutto quel parlare di guerre, terremoti, pestilenze e persecuzioni non finisca per avallare il cliché ancora diffuso nel sottosuolo pagano e tenebroso di certi settori della nostra cristianità: la ripugnante ‘figura’ di un dio crudele, capriccioso, vendicativo.
Uno dei punti più originali del messaggio biblico in genere e di quello profetico in particolare è la ferma convinzione che Dio guida la storia verso la salvezza piena, totale, definitiva: la salvezza di tutto l’uomo, di tutti gli uomini, e per sempre. Questo messaggio – gioioso e consolante – viene veicolato attraverso un linguaggio tipico, detto apocalittico. Vengono descritti gli ultimi tempi come tempi di guerre e conflitti, di terremoti, epidemie e carestie, di catastrofi e spaventosi cataclismi. Ma questo linguaggio a prima vista angosciante e minaccioso non può essere preso alla lettera. Paradossalmente esso serve a far brillare un messaggio totalmente positivo e rassicurante: Dio è Padre buono e vuole sempre la felicità dei suoi figli. Pertanto i cristiani che sono nella prova – sia a causa di calamità naturali, sia a motivo di sconvolgimenti e persecuzioni – sono chiamati a rinnovare la loro fiducia nella promessa di Dio, a perseverare nelle scelte di fede, a non cadere in compromessi, perché “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto” (Lc 21,18). La segnalazione di questi avvenimenti è seguita dall’indicazione di alcuni avvertimenti: non vi lasciate ingannare, non vi terrorizzate, non preparate prima la vostra difesa. Poiché la persecuzione, le divisioni, l’odio del mondo non sono i segnali della sua fine imminente. In effetti l’evangelista afferma netto: “non è subito la fine” (21,9). E’ l’occasione di rendere testimonianza e di resistere nella prova, con incrollabile fedeltà e perseveranza (21,13.19).
2. Ma ora dobbiamo prendere di petto l’obiezione più tenace contro la misericordia del Padre. Una obiezione che si potrebbe formulare con l’espressione di s. Paolo: Dio “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8,32). Orrore! Dio Padre dimostrerebbe il suo amore per noi, facendo morire il proprio Figlio?! La difficoltà che incontrano gli uomini di oggi – ma la domanda serpeggia nel cuore e sulle labbra di non pochi cristiani – sta nel conciliare la misericordia amorevole del Padre con la morte straziante del Figlio sulla croce. La si potrebbe esprimere con un interrogativo spinoso, ma ineludibile: la croce dimostra l’amore del Padre, o non piuttosto la sua crudeltà, o almeno la sua inflessibile giustizia? La domanda è causata da una immagine deviata del Padre che sarebbe adirato contro il Figlio sul quale scaricherebbe i fulmini della sua giustizia per essersi, lui, Gesù, addossato la montagna di tutti i nostri peccati. E solo quando il Figlio sprizza l’ultima stilla di sangue, il Padre potrebbe finalmente placare la sua terribile collera.
Mentre invece quella espressione di san Paolo va chiarita così: Dio “non ha risparmiato il proprio Figlio”, nel senso che non se lo è risparmiato, non lo ha tenuto per sé “come un tesoro geloso”. Anche il Padre si sacrifica per e con il Figlio! Non è solo colui che riceve il sacrificio del Figlio innocente, ma anche colui che ‘fa’ il sacrificio del Figlio, cioè fa il grande sacrificio di consegnarci la vita di suo Figlio! Vale anche per il Padre quanto Gesù afferma nel cenacolo, pensando alla sua passione imminente: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per le persone che ama” (cf Gv 15,13). Per il Padre “dare la vita” del Figlio è stato un atto di grande dolore e di infinito amore, molto più grande e sconfinato – potremmo osare di dire – che dare la propria vita. “Quanto ci hai amato, o Padre buono – esclamava s. Agostino – tu che non hai risparmiato il tuo unico Figlio, ma lo hai consegnato per tutti noi, empi! Quanto ci hai amato!” (Conf. 10,43).
Da ultimo vorrei richiamare tre semplicissime verità che ci possono aiutare a diventare “misericordiosi come il Padre”. La prima. Ogni cosa viene dalla misericordia di Dio. Tutto viene dal Signore, “ricco di misericordia”. Non c’è tempo, situazione, fatica, sofferenza, che non sia riconducibile in qualche modo alla Misericordia divina. La seconda. Ogni cosa ci può condurre al Dio della misericordia. Ogni pietra è un ostacolo se ci inciampiamo contro, ma se ci mettiamo il piede sopra, è un gradino per salire verso Dio. La terza. Ogni cosa è motivo di ringraziamento a Dio per la sua misericordia. Possiamo ringraziare il Signore anche per quelle cose che ci rendono conformi all’immagine del Figlio crocifisso: contrarietà, insuccessi, delusioni, sofferenze fisiche, morali e spirituali.
Fratello, Sorella, il nostro Giubileo diocesano finisce qui. Che il giubilo del Magnificat alla divina Misericordia non finisca mai!
Rimini, Basilica Cattedrale, 13 novembre 2016
+ Francesco Lambiasi