Per una comunità che parla e fa molto, ma scolta poco
Alla Chiesa di santa Maria della Parola Incarnata scrivi: “Così parla il Primo e l’Ultimo, che era morto ed è tornato in vita. Conosco la tua tribolazione, apprezzo il tuo impegno nel proclamare l’importanza della lettura delle sante Scritture e nella diffusione della sacra Bibbia. Ho però da rimproverarti che ti riempi la bocca di slogan roboanti sulla centralità della Parola di Dio, ma poi la tieni a debita distanza nella predicazione, nella catechesi, nel discernimento comunitario. E non ne tieni conto nell’intercettazione dei messaggi siglati dallo Spirito di Dio e trasmessi attraverso i canali della storia e della vita del suo popolo”.
Carissimi, quando entro nella vostra chiesa parrocchiale, rimango ammirato di fronte alla splendente icona in bassorilievo, posta davanti all’ambone. Vi si raffigura Maria, incinta, “nella stagione in cui lievita il ventre” (De André). Il messaggio è trasparente: come in Maria la Parola di Dio si è fatta carne, così si deve fare carne in noi, sia come persone che comunità. Mi domando allora: voi siete veramente una comunità che traduce la Parola in fatti di Vangelo? Se è vero che una comunità cristiana non si organizza ma si genera, la vostra “vita parrocchiale” è impostata e strutturata in modo da creare spazi di ascolto della Parola, che non siano periferici, ma centrali?
Al riguardo mi vengono in mente due brani del Nuovo Testamento, nei quali vi invito a specchiarvi. Il primo è l’episodio di Marta e Maria. Si tratta dell’ascolto della Parola e del servizio. Marta era tutta affaccendata per servire il Signore, non il mondo. Maria invece era tutta dedita ad ascoltare il Maestro. Ecco: si può servire il Signore e non stare ad ascoltarlo. Si può elaborare un faldone di progetti, ci si può affannare per mettere in atto tanti impegni, per realizzare tante opere – magari programmate solo per il Signore – ma poi non mettere al primo posto il Signore dei progetti, degli impegni, delle opere. Si possono accumulare molti servizi – fare, disfare, rifare, strafare! – e poi non avere più tempo per ascoltare la parola di Dio. Ora, Marta viene rimproverata da Gesù non per (alcune) prestazioni, ma proprio per i troppi servizi. E i troppi servizi riducono la comunità ad una azienda, trasformano il prete in un manager, fanno scambiare la logica evangelica con la logica mondana, confondono la fecondità spirituale con il successo pastorale. E alla fine si è tentati di pensare che siamo noi a realizzare il regno di Dio con i nostri sforzi e le nostre mirabolanti imprese, insomma con il nostro molto lavoro. Si rischia di cadere nell’equivoco che la soluzione stia nell’aumentare il lavoro, in modo esponenziale. Ma oggi si è in tre, una volta si era in trenta: come possiamo fare in pochi tutto il lavoro di quando eravamo in tanti? Così alla fine ci si ritrova sfiniti, stressati e spenti. E allora ci si rode con la domanda angosciante: basta, la stanchezza, a dare senso e sapore alla vita e all’attività pastorale? Abbiamo scelto di servire Dio o di sgobbare per le opere di Dio? Ci ricordava don Oreste: “Il Signore non vuole dei facchini; cerca degli innamorati”.
L’altro episodio è quello del libro degli Atti, dove si legge che quando si sono trovati ingolfati con il tanto lavoro per l’assistenza ai poveri e alle vedove della comunità di Gerusalemme, gli apostoli hanno convocato la comunità per dire: “Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense” e hanno chiesto di presentare sette uomini di buona reputazione, mentre loro si sarebbero dedicati “alla preghiera e al servizio della Parola”. Ecco, in pastorale, prima del verbo “fare”, vengono i verbi “pregare” e “annunciare” la Parola.
Vi prego, ascoltatemi: non riempitevi solo di cose da fare. Le vostre agende straripano di attività, manifestazioni, impegni amministrativi. Ma c’è un tempo libero per rispettare il diritto di parola che tocca prima di tutti e di tutto a Dio? Riusciamo a “liberare il tempo” per andare a trovare le persone, per accoglierle, per ascoltarle? Non bastano le strutture, le iniziative, le molte opere, i mille progetti. Non c’è fatica più frustrante di una frenetica attività di corto respiro e priva di orizzonte, senza discernimento e senza direzione. Le troppe cose da fare distraggono dall’essenziale, l’urgente distoglie da ciò che è veramente importante, l’efficacia viene sostituita dall’efficienza. Ma neanche il servizio caritativo deve prosciugare il tempo dell’adorazione e dell’ascolto del Signore e delle persone. Neanche l’annuncio o evangelizzazione deve avere la precedenza sul resto, ma sempre e solo l’ascolto. E se le persone vengono prima dei contenuti, le relazioni tra le persone devono sempre avere il primato su ogni attività e organizzazione.
Vedo che una rassegnata stanchezza si è infiltrata nella vostra comunità. Di qui il pericolo di “sopravvivere”, accontentandosi di rattoppi superficiali, puntando a vincere qualche battaglia di retroguardia, accanendosi nel cercare frettolose risposte, rinunciando a discernere i messaggi che il Risorto ci sta trasmettendo. E’ dunque l’intera pastorale che va rivisitata e rinnovata. Ma come sarà possibile se non ci metteremo in ascolto – un ascolto umile, assiduo, disponibile – della Parola? Altrimenti rimarremo sepolti sotto una montagna di panna montata, fatta di chiacchiere inconcludenti, di slogan fuorvianti. Siamo il popolo di Dio in cammino o il Figlio dell’uomo, quando verrà, ci troverà… riuniti in permanente seduta?
In conclusione, permettetemi due raccomandazioni. La prima è per tutti coloro che svolgono il servizio della Parola: presbiteri, diaconi, catechiste/i, lettori. La ricavo dal mite Francesco, vescovo di Roma, il quale a proposito del predicatore che non si prepara per l’omelia usa parole pesanti come macigni, definendolo “disonesto e irresponsabile”. E di uno che non prega prima di annunciare la parola di Dio, dice che è “un falso profeta, un truffatore e un vuoto ciarlatano”. La seconda raccomandazione riguarda l’evangelizzazione che “richiede la familiarità con la parola di Dio, e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria”.
Permettetemi, infine, una domanda: come state messi con questo appello del vescovo di Roma?
Ora, con grande affetto, vi saluto tutti e ciascuno
+ Francesco Lambiasi