Lettera del Vescovo ai Sacerdoti

A tutti i Confratelli del Presbiterio Diocesano

Rimini, 15 giugno 2012
Festa del S. Cuore di Ges

Carissimi,

avevo in animo di scrivervi questa mia in tempo, prima della festa del Sacro Cuore, ma non ce l’ho fatta. Mi auguro comunque che vi arrivi oggi stesso, Giornata – per noi – di santificazione sacerdotale. Per essere più breve e sintetico, ho pensato di enumerare i pensieri che mi fanno ressa nel cuore e che mi preme condividere con tutti e ciascuno di voi.

1. Tutto è grazia. Anche noi viviamo incalzati dall’angoscia di quanto è accaduto, esposti ai sobbalzi di ciò che accade, indifesi dall’ansia di ciò che potrebbe accadere. Ci ritroviamo feriti o minacciati da quanto non avremmo voluto o non vorremmo che accadesse. Ci sentiamo aggrediti e impulsivamente aggressivi. Ma se in noi vibra un palpito di fede, allora riaffiora dai gorghi dell’animo in subbuglio la parola di Gesù, come un salvagente che aiuta a non fare naufragio: “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3). Questo è l’unico passo in tutto il vangelo dove la conversione viene fatta rimare da Gesù con il diventare (non ritornare!) bambini.

Penso che ciò che il Signore ci chiede oggi sia uno spirito di grande semplicità e fiducia. Ci chiede – e prima ancora ci dona! – gli occhi del cuore di un bambino, che si sente amato e riesce a vedere sempre nelle cose il lato buono, edificandoci e incoraggiandoci a vicenda e non lasciando spazio a pensieri negativi e a sentimenti o atteggiamenti distruttivi. Ci è domandato – e prima ancora ci è offerto – un impulso ad aderire alla realtà, semplicemente, obiettivamente, senza doppiezze, senza strabismi. Con intelligenza spirituale. In ogni avvenimento è incisa una voce da ascoltare, una parola da decifrare. Non si tratta di una tecnica, di una strategia da apprendere; è una sapienza da ospitare, un’arte da custodire.

E’ l’arte della eulabeia, parola greca che si ritrova nella Lettera agli Ebrei (5,7-10) quando si inciampa nel ritratto drammatico di Gesù, là nel giardino degli ulivi, in preda al panico, per il sopraggiungere della sua “ora”. In quell’ora tremenda il suo cuore si abbandona all’onda in piena di un’angoscia mortale, con “forti grida e lacrime”, e lui – il Figlio! – ha dovuto “imparare l’obbedienza dalla sofferenza” ed è stato “esaudito per la sua eulabeia“, vocabolo che nella Bibbia CEI veniva tradotto con “pietà”, ma ora, nella nuova versione, viene reso molto più fedelmente con “pieno abbandono”. In quell’ora, l’ora dello strazio più atroce e del più cocente fallimento, Gesù si è “abbandonato” al Padre e proprio in quell’ora è stato “proclamato da Dio sommo sacerdote”. E’ stato il pieno abbandono il baricentro del servizio sacerdotale di Gesù.

Mi domando con voi: nell’ora della croce chiedo al santo Paraclito di ricordarmi la parola del vangelo: “se il chicco di grano non muore…”? Prego, anche “con forti grida e lacrime”, per accogliere la grazia del santo abbandono? Mi sento sacerdote solo nell’ora del successo – quale sarà poi questo successo?! – o anche nell’ora del limite, della frustrazione, dell’incorrispondenza, in una parola della croce? Credo che “non sono tanto gli avvenimenti che contano nella vita, ma ciò che grazie ad essi si diventa” (E. Hillesum)? Credo che “tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Rm 8,28)?

Ecco, la fede è l’abbandono umile e fiducioso, senza condizioni e senza riserve, in caduta libera, come e con Gesù, tra le braccia del Padre. Ed è la fede-abbandono la misura oggettiva del nostro vero peso di fronte a Dio, e della nostra vera statura sacerdotale, la fede e niente altro che la fede. Ammoniva s. Francesco d’Assisi: “Tanto vale l’uomo davanti a Dio, quanta fede ha, e niente più”.

Se non viviamo all’altezza di questo orizzonte, arriviamo al massimo alla statura dell’uomo “psichico” di cui parla san Paolo (1Cor 2,14), ma non arriveremo mai alla misura alta dell’uomo “spirituale”, una misura di cui tanti nostri fedeli e anime consacrate ci offrono una testimonianza tangibile e palpabile. Perdutamente affidarsi, gratuitamente riceversi, gioiosamente donarsi: questa è la fede che ci dona non solo l’autorità dei presbiteri, ma l’autorevolezza dei padri e maestri nella fede.

2. La mia preghiera di Vescovo per voi. Permettetemi di confidarvi quanto vado dicendo in questo periodo al Signore. Non scandalizzatevi, ma debbo ribadire che più vado avanti con gli anni, e più mi rendo conto di non saper pregare. Comunque in questi giorni mi riesce più facile la preghiera di ringraziamento. Sì, ringrazio il Padre di ogni consolazione per le immancabili sorprese che ancora non si stanca di riservarci. In particolare per le ultime tre. In ordine di tempo, la prima è stata la Veglia di Pentecoste. Senza scadere nella retorica stonata di un fatuo trionfalismo, possiamo dire che la risposta è stata ampia, corale, festosa. Certo non tutto è stato perfetto, ma lasciate confessare a uno come me – che pecca molto di perfezionismo in pensieri, parole, opere ed omissioni – che anche l’esperienza del limite, vissuta con maturità e con un pizzico di sana autoironia, ci fa bene. Anche questa è grazia! Continuo a lodare il Signore anche per l’esperienza della TreGiorni: oltre che consolato, ne sono rimasto assai edificato. Siamo riusciti a parlare di argomenti scottanti senza… scottarci e senza ferirci. Ve l’ho detto e permettetemi di ripeterlo: in questi casi anche lo stile non è questione di forma, ma di sostanza. E così è stato veramente. In attesa di riprenderne le conclusioni per concretizzarle operativamente, vi chiedo ora di aiutarmi a tenere in alto i nostri cuori, perché è cosa buona e giusta rendere grazie al Signore per il comportamento dei confratelli chiamati a ricoprire nuovi incarichi pastorali: ho incontrato in loro un atteggiamento di vera obbedienza, che è tale quando non la si vive come l’esecuzione di un ordine, ma come la conformazione a Cristo il cui cibo è stato di fare la volontà del Padre. E come non commuoversi quando l’obbedienza, prima ancora di essere liberamente assicurata, viene spontaneamente offerta al Vescovo, pronti ad andare là dovunque fosse più necessario e opportuno? L’obbedienza, saldamente fondata sulla roccia della fede da parte dei Pastori, sa educare anche le comunità ad accettare serenamente un avvicendamento, pur se comprensibilmente doloroso.

3. Teniamo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2). Stiamo andando verso l’Anno della fede, che per noi, Chiesa riminese, coinciderà con l’Anno della confermazione, e quindi lo vivremo come l’Anno della confermazione della fede. Non potremo non porci nuovamente la domanda di Loreto ’08: che ne è della mia fede di prete? La domanda ce la porremo questa volta, nel prossimo mese di novembre (Loreto, 19-23), con l’aiuto del nostro Don Vanni, Arcivescovo di Urbino, nel corso degli esercizi spirituali. Aiutiamoci a vicenda perché ognuno faccia il possibile e l’impossibile per non mancare a questo appuntamento della grazia. Forse per più d’uno di noi il Signore è da tempo in agguato e ci aspetta proprio là, per porci la domanda di fuoco: “Mi ami tu?”.

Io andrò in esercizi spirituali la prossima settimana, insieme agli altri vescovi della regione. Inutile dirvi che vi porterò nella mia povera preghiera, come vi ho portato alla Grotta di Massabielle, la scorsa settimana insieme a 400 pellegrini della Diocesi e all’Unitalsi dell’Emilia-Romagna.

Sono sicuro che il pensiero dei nostri fratelli delle zone terremotate non ci stia lasciando in pace. Ieri il vescovo di Carpi, Mons. Cavina, ci ha chiesto un aiuto per attrezzare i campi degli sfollati di strutture polivalenti per la celebrazione della Messa e le attività pastorali. Aiutiamoli!

Mi auguro che nei mesi estivi possiamo trovare qualche scampolo di tempo per un po’ di riposo fisico e di ristoro culturale e spirituale.

Tra poco andrò a Casa del Clero per celebrare la Giornata di santificazione sacerdotale con i nostri confratelli anziani e malati.

Ricevete ora il mio saluto più grato e colmo di affetto, accompagnato da una grande benedizione

 + Francesco Lambiasi