Carissime/i giovani di ACiGì,
da tempo mi porto in cuore una forte voglia di rilanciarvi un invito, firmato da papa Francesco. Eccolo: “Invito ogni cristiano a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta“.
Ma – mi chiederete – è possibile oggi incontrare Gesù? Detto così, sembra che la possibilità effettiva di questa esperienza ricada tutta sulle nostre spalle e sulla forza dei nostri muscoli. Ma il Papa dice bene: più che sforzarci noi di incontrare Gesù, siamo invitati a lasciarci incontrare, noi, da Gesù. Purtroppo però su Gesù circolano immagini parziali, girano fotogrammi languidi e sfocati, vengono spacciati schemi logori o preconfezionati: tutti molto lontani da quel Gesù vero, autentico, simpatico che balza da ogni riga dei vangeli. Apriamo ad esempio la pagina dei primissimi incontri di Gesù con i discepoli della primissima ora. Leggiamo, con calma, dal vangelo secondo Giovanni (1,35-51).
35Il giorno seguente Giovanni era di nuovo là (lungo le rive del Giordano) con due dei suoi discepoli. 36Passava Gesù. Giovanni lo guardò e disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37I due discepoli lo udirono parlare così e si misero a seguire Gesù. 38Gesù si voltò e vide che lo seguivano. Allora disse: «Che cosa cercate?». Essi gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, vuol dire Maestro – dove abiti?». 39Gesù rispose: «Venite e vedrete». Quei due andarono, videro dove Gesù abitava e rimasero con lui il resto della giornata. Erano circa le quattro del pomeriggio. 40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e avevano seguito Gesù, si chiamava Andrea. Era il fratello di Simon Pietro. 41La prima persona che Andrea incontrò fu appunto suo fratello Simone. Gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo accompagnò da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù gli disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
43Il giorno dopo Gesù decise di andare in Galilea. Incontrò Filippo e gli disse: «Seguimi!». 44Filippo, Andrea e Pietro erano tutti e tre di Betsàida. 45Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia, promesso nella Bibbia da Mosè e dai Profeti: è di Nazaret, il figlio di Giuseppe». 46Natanaele disse a Filippo: «Da Nàzaret? Ma da quel paese non può venire nulla di buono». Rispose Filippo: «Vieni e vedrai». 47Gesù vide venire Natanaele e disse: «Questo è un vero israelita, un uomo senza falsità». 48Natanaele disse a Gesù: «Come fai a conoscermi?». Gesù gli rispose: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». 49Natanaele esclamò: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio! Tu sei il re d’Israele!». 50Gesù replicò: «Io ho detto di averti visto sotto l’albero di fichi, e per questo tu credi in me? Vedrai cose ben più grandi!». 51Poi disse ancora: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».
Sembra la pagina di un’agenda fitta di appuntamenti e di incontri. Un diario zeppo di chiamate, di appassionate ricerche, di inseguimenti accaniti. Un caleidoscopio colorito di storie e di volti. La prima settimana di Gesù, registrata dall’evangelista Giovanni, è tutta punteggiata di domande che si accendono a catena: “Dove abiti? Che cercate? Come mi conosci?”. Ma è anche un brano disseminato di risposte. Di quelle che non spengono la ricerca, ma rilanciano cammini: “Seguimi!”. Riaprono circuiti: “Vieni e vedi”. Promettono sorprese: “Vedrai cose ben più grandi”. La sequenza dei fotogrammi, dedicati dall’evangelista alla quarta giornata della settimana inaugurale di Gesù, apre feritoie sull’avventura dell’incontro, mentre ce ne riconsegna il vocabolario di base, concentrato nei verbi: seguire – trovare – scegliere. Tre parole che, sull’incontro con Gesù, dicono più di tanti volumoni da biblioteca.
Seguire, cioè andargli dietro
La grande avventura di ogni discepolo comincia dai primi passi dietro il Maestro. Ma come Andrea e Simon Pietro, come Filippo di Betsaida, poi Natanaele, e poi tutti gli altri, fino ad ognuno di noi… prima del primo passo c’è stato quello sguardo, partito dal cuore innamorato del Maestro, uno sguardo che ci ha trapassato l’anima. E, quando abbiamo ripreso il fiato, ci siamo ritrovati che non eravamo più come prima. La sequela comincia da qui, dal sentirsi guardati, scelti, chiamati, in una parola dal sapersi e sentirsi amati. Amati da un Dio, capace di dare la vita per te, per me, per tutti e per ciascuno di noi. Così Filippo impara che ormai non può più fare a meno di quel Rabbi fuori-serie. E anche Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, dopo averlo incontrato lungo le rive del mare di Galilea, si ritrovano nel cuore una indomabile energia che li spingerà a lasciare tutto e tutti. Perfino il padre e la barca, il lavoro e gli affetti, pur di non rinunciare a stare con quel Maestro dallo sguardo magnetico e dalle parole che saziano l’anima di una vita senza tramonto.
Stare con lui: questo è il primo sogno che Gesù si porta in cuore quando chiama i Dodici. E questo lui si aspetta da noi: non ha bisogno di facchini sgobboni, ma di discepoli amici. Seguire è più che imitare: è mettersi a sua disposizione, lasciarsi assumere in proprio, è diventare suoi…
Trovare il tesoro della felicità
“Abbiamo trovato il Messia”: l’annunciato da Mosè, l’atteso dai profeti. Come il contadino e il mercante della parabola, il discepolo è uno che ha trovato il tesoro. Che lo abbia trovato per caso dopo giorni e giorni sempre uguali, con il cuore intento solo a sbarcare il lunario. Che lo abbia trovato dopo aver consumato gambe a camminare e occhi a cercare, questo non conta. Conta il ritrovarsi, di incanto, sorpresi dalla gioia, dalla impagabile, intrattenibile letizia di aver finalmente scoperto la perla preziosa, dapprima bramata come un sogno troppo bello per non apparire impossibile e poi incontrata come un dono incredibile e immeritato. Il tesoro del regno di Dio non si merita, ma si accoglie. Come un regalo inimmaginabile e stupefacente, come una impareggiabile fortuna. Fortissimo Gesù! Il suo amore ti inchioda l’anima e si impone alla tua libertà, non per costrizione, ma per irresistibile forza di attrazione. E per riempirti del Bene, ti svuoti perfino dei beni….
Scegliere prima che altri decidano per noi
Nell’affresco pennellato dall’evangelista Giovanni affiorano scorci di amicizia, si intravedono segnali di tenaci legami: vedi con Natanaele, l’amico di Filippo. Natanaele è un giovane che si porta dentro un cuore limpido, anche se appesantito da pregiudizi: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”. Eppure anche per lui l’incontro con Gesù si rivela decisivo. Si sente conosciuto profondamente da quel Maestro avvincente, e si decide, come Filippo, per la fede: “Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele”. La fede non è una barca che scivola tranquilla verso il porto della felicità, e quindi “fin che la barca va, tu lasciala andare”. La vita non è un programma con il tasto rewind. Non si può lasciare tempo al tempo. La ricerca non è fine a se stessa. Non si può rimanere paralizzati dalla paura di sbagliare di fronte a scelte definitive. Occorre tagliarsi i ponti alle spalle, senza pretendere cautele, garanzie e uscite di sicurezza. Del resto, se non ci si decide, prima o poi ci si ritrova fatalmente incamminati su strade non scelte da noi, ma che altri talvolta con furbizia, talora con inganno, ma sempre con la nostra acquiescenza, hanno scelto al posto nostro. Comunque il cuore non si risveglia come per incanto, non si rimette in moto da solo, se non scocca l’ora magnifica e drammatica della scelta. Deve lasciarsi abbracciare da uno sguardo d’amore, come è avvenuto per Natanaele. Prima ancora che se ne rendesse conto, Gesù lo aveva incrociato, “quando era sotto l’albero di fichi” e ne aveva intercettato il lato migliore: “Ecco un vero israelita in cui non c’è falsità”. Così avviene per Zaccheo: cerca di vedere Gesù e scopre che è Gesù che cerca di vedere lui. Il cercatore si accorge di essere cercato, l’innamorato si ritrova già amato. Perché Gesù è fatto così: non vuole essere secondo a nessuno nella gara dell’amore. Solo in questa classifica ci tiene a vincere sempre il primo posto…
Ma ora vorrei parlarvi del “mio” amico Gesù
Forse più d’uno di voi che mi state leggendo, vorrà sapere: ma tu, Francesco, come vedi il “tuo” Gesù? Lo vedo come un amico, e lo riconosco dai suoi occhi, dalle sue mani, dal suo cuore.
Lo riconosco dal suo sguardo. Degli occhi di Gesù non conosco il colore, ma mi sento calamitato dalla loro forza magnetica, come è avvenuto per i pescatori del lago di Galilea: hanno lasciato tutto e lo hanno seguito. Nelle ore più decisive della mia vita, pregare per me è questo: guardare Lui e lasciarmi guardare da Lui.
Lo riconosco dalle sue mani. Le guardo e ne resto incantato. A Lui, le mani, servono solo per dare, mai per prendere, o quando le usa per prendere – ad esempio, il pane – è solo per darlo alle folle affamate o ai discepoli nella sera del tradimento. E non solo il pane Lui dà, ma si fa pane per darsi tutto a tutti: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo, che è dato per voi”. Mi commuove pensare che le mie mani diventano le sue, quando celebro la Messa e ripeto quelle parole troppo grandi per me. Oppure quando celebro il sacramento della confessione, traccio il segno della croce sulla testa di quel fratello o di quella sorella, certamente non più peccatore o peccatrice di me, e dico: “Io ti assolvo dai tuoi peccati”. Ma dovrei e vorrei usare le mie mani più spesso per fare come ha fatto Lui: per lavare i piedi ai miei fratelli. E alla fine vorrei morire come Lui: a mani aperte, a braccia spalancate.
Lo riconosco dal suo cuore. Quando contemplo il cuore di Gesù, mi commuove il suo continuo moto di sistole e di diastole. Raccoglie il sangue guasto della mia miseria, lo ossigena con la sua misericordia e me lo ridona lavato e purificato con il suo sangue, perché io lo doni ai fratelli e sorelle, soprattutto ai più poveri, ai quali sto dedicando la vita: “Questo è il mio sangue”.
Del cuore di Gesù non mi stanco di contemplare alcuni contrasti impressionanti. Il primo è il contrasto tra la sua toccante tenerezza e il suo indomabile coraggio. Il messaggio che scaturisce dal cuore di Gesù è di una radicalità sbalorditiva: “Se il tuo occhio ti è scandalo, cavalo!”. Chi lo vuole seguire deve essere disposto a rompere i legami più sacri e a lasciare anche casa, campi, persone care. La scelta è senza sconti: o con lui o contro di lui. Ma poi mi ridona il centuplo in case, campi e persone care. Gesù non è un altro Battista, duro e inflessibile, sempre lì a minacciare i fulmini della giustizia divina. Lui no, si dice venuto non per condannare, ma per salvare. E più di una volta gli evangelisti lo sorprendono a piangere: alla vista di Gerusalemme, davanti al sepolcro di Lazzaro…
Un secondo contrasto lo noto tra la sua esigente autorevolezza e la sua piena, sincera umiltà. Gesù è un vero leader: sa guidare, stimolare, accompagnare. Sa proporre, ma neanche si sogna di imporre qualcosa a qualcuno. Comunque nessun discepolo potrà mai sostituirlo: lui è e resta l’unico Maestro e Signore. Manifesta la consapevolezza di valere più del tempio, più del grande Salomone, più dei profeti, come Giona o Geremia, addirittura più dello stesso Mosè. Eppure questo Gesù dice di essere venuto non per essere servito, ma per servire: per servire la causa di Dio, il Padre suo, come il servo obbediente condotto al macello, e per servire i suoi: quando vuole far loro capire fino a che punto è disposto a mettersi al loro servizio, si presenta con un asciugamano ai fianchi, e si mette in ginocchio a lavare i loro piedi, facendo quello che gli ebrei non facevano fare nemmeno ai loro servi.
Un terzo contrasto lo vedo in questo aspetto: Gesù ha un cuore che combina bene una rigorosa austerità e una prorompente gioia di vivere. Mi affascina vederlo digiunare per un lungo periodo nel deserto. Mi seduce saperlo condurre una vita dura: dorme all’aperto, vive poveramente, alla giornata, senza fissa dimora. Ma non è un triste masochista o un implacabile moralista: a forza di frequentare quelle che i benpensanti ritengono cattive compagnie, finisce per farsi prendere per “un mangione e un beone”. E per il regno di Dio non sa trovare immagine più bella che quella di un festoso banchetto.
Fortissimo Gesù! Sono tanti anni che Lui mi ha offerto la sua amicizia. Non mi ha mai deluso e ancora non si è stancato di me. Permettetemi, a questo punto, di chiedervi una preghiera e di assicurarvi la mia. Pregate perché io sia con Lui più generoso e più fedele. Altrettanto chiedo io per tutti e per ciascuno/a di voi. E che il profumo di questa amicizia contagi almeno qualcuno dei vostri amici.
Vi saluto con un forte abbraccio e vi benedico di cuore mille x mille volte
Rimini, 6 settembre 2016
+ Francesco Lambiasi