Per una comunità che si lascia guarire dal Signore
Al Consiglio interparrocchiale della Comunità Pastorale delle Cinque Piaghe di Nostro Signore, scrivi: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Tu dici: Sono ricco, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convertiti”.
Carissimi tutti, quando la scorsa settimana sono venuto da voi per presiedere il Consiglio pastorale delle cinque parrocchie della vostra Comunità di Zona, sono rimasto letteralmente edificato nel constatare la maturità del dialogo che si è sviluppato tra di voi. Nella fase di preparazione di quell’incontro mi avete chiesto di suggerirvi un tema su cui riflettere e dialogare, e io vi ho proposto di mettere a fuoco una domanda molto puntuale: cosa non piace al Signore della vita nelle nostre parrocchie? Per preparare l’incontro, vi avevo anche proposto di farlo precedere da una settimana di preghiera, e di misurare la vita di ogni parrocchia sul metro della “Gioia del Vangelo” di Papa Francesco, per riuscire a diagnosticare almeno una “piaga” della vostra rispettiva parrocchia, da curare con adeguata terapia. Siete così venuti alla riunione dell’altra sera e in un clima di sincera fraternità ciascuna delegazione di rappresentanti delle vostre parrocchie ha messo in luce una piaga della rispettiva comunità parrocchiale. Al termine le abbiamo raggruppate, e sono risultate le seguenti: autoreferenzialità, clericalismo, attivismo, immobilismo, terrorismo delle chiacchiere. Su ognuna di esse, vorrei ora tornare brevemente, servendomi del pensiero ma anche del linguaggio sempre caliente e scoppiettante di Papa Francesco. Anzi mi sdebito subito con lui e con voi, confidandovi che di mio in questa lettera c’è ben poco, perché ho attinto a piene mani, oltre che alla “Gioia del Vangelo“, anche al discorso tenuto dal Papa a noi vescovi della CEI nel maggio scorso e alla Curia romana prima di Natale. Vi rilancio pertanto questi spunti, sullo sfondo del magistero del Papa, il quale, con i suoi scritti e i suoi interventi, sta risvegliando sogni e speranze pastorali suscitate dal Concilio che nel corso degli anni hanno rischiato di assopirsi, se non addirittura di spegnersi del tutto.
Autoreferenzialità. E’ la bulimia dell’Io. Quant’è vuoto il cielo di chi è ossessionato dal mito dell’autorealizzazione, dal culto della propria immagine, dall’accanita ricerca del proprio prestigio! L’autoreferenzialità contagia l’epidemia dell’indifferenza verso gli altri, e non fa più gioire con chi gioisce e piangere con chi piange. Ma l’idolo del narcisismo è un narcotico che droga e uccide anche a livello comunitario: quando l’appartenenza al gruppetto è più forte di quella alla comunità; quando ci si divide fino a contrapporsi tra i “nostri” e gli “altri”, tra parrocchie e parrocchie, tra parrocchie e movimenti. Ascoltiamo il grido del Papa: No alla guerra tra di noi! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto. Un farmaco infallibile contro questa malattia? È una litania di gratitudine e di rallegramenti per i frutti degli altri, che sono di tutti.
Clericalismo. Scriveva Péguy: “Navighiamo tra due bande di ‘curati’: i curati laici che negano l’eterno del tempo, e i curati ecclesiastici che negano il temporale dell’eterno”. Ma parliamo ora del clericalismo di casa nostra. Clericalismo è la patologia di noi pastori, quando dimentichiamo che noi siamo solo… pastori. Quando intendiamo il nostro ministero come potere, anziché come servizio. Quando non riconosciamo la dignità dei laici, con i quali condividiamo la partecipazione al sacerdozio regale e profetico, che proviene da un solo battesimo. Quando chiediamo ai laici collaborazione, ma non favoriamo la loro corresponsabilità (“Qui comando io!”). Quando portiamo la gente alla nostra persona più che a Cristo. Clericalismo è anche quando trattiamo le donne nelle nostre comunità o come “fragole della torta” (questa è proprio di Papa Bergoglio alla Commissione Teologica Internazionale!), senza favorire concretamente una loro presenza più incisiva nei luoghi dove si prendono le decisioni più importanti. Ma il clericalismo non è solo monopolio dei preti, purtroppo! Lo è anche dei laici, e non è affatto detto che questa specie sia meno pericolosa, soprattutto nel caso in cui ci si considera promossi quando si riesce a svolgere un servizio analogo a quello del prete. Comunque, un antidoto efficace contro l’epidemia del clericalismo non è un clericalismo rovesciato, ma un’autentica spiritualità di comunione e una promozione più coraggiosa della corresponsabilità dei fedeli, in particolare delle donne.
Martalismo. I diritti d’autore di questo intrigante neologismo spettano a Francesco di Roma. Martalismo è l’ipertrofia patologica dell’attivismo. È la presunzione di chi si illude di poter far conto solo sulle proprie forze, sull’abbondanza di risorse e strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere in campo, dimenticando l’insostituibile primato della grazia, e questa è addirittura una eresia (“pelagianesimo“). Martalismo è vivere il ministero in modo burocratico, formalista e funzionalista, da meri impiegati. È la tentazione di chi sta sempre a stilare piani e programmi e si accanisce nel calcolare entrate e uscite: allora l’apostolo si riduce a fare il contabile o il commercialista. Preparare tutto è bene, purché la progettazione si intenda come un mezzo e non come fine a se stessa, e non venga intesa in modo mondano, confondendo efficienza ed efficacia, urgenza e importanza. La profilassi e la terapia per questa piaga consistono in un’attenta vigilanza sulla tentazione di voler pilotare lo Spirito santo.
Immobilismo. È la tentazione del “qui si è sempre fatto così”. È l’accontentarsi della semplice amministrazione. È il non voler uscire dalla chiesa e attraversare la piazza, per andare a cercare i molti “lontani”. È il rifiutarsi all’azione dello Spirito che ci provoca a conversione. È il pensare che per la riforma della Chiesa basti qualche ritocco di facciata. Ma la grande Tradizione non consiste nel conservare la cenere del passato, bensì nel trasmettere il fuoco del futuro. La scelta missionaria a cui ci chiama Papa Bergoglio richiede che le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione, più che per l’autopreservazione. L’antidoto per questa piaga sarà una riflessione pacata, condotta in sede di consiglio pastorale, su come rinnovare tradizioni consolidate, quali ad esempio, la visita alle famiglie per la benedizione pasquale…
Il terrorismo delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. Su questo tasto il Papa continua a martellare. Ma come dargli torto? Si tratta di una malattia grave, anche se si contrae semplicemente con l’idea di fare due chiacchiere, ma che poi pian piano si impadronisce della persona e la riduce a seminatrice di zizzania. San Paolo ci ammonisce: “Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, per essere irreprensibili e puri“. Il farmaco. Per guarire da questa piaga la terapia non può che essere basata sul silenzio dell’adorazione e sulla correzione fraterna.
Carissimi, se il Papa ha parlato di queste malattie a vescovi e cardinali, a parrocchie e movimenti, é segno che nessuno di noi può scagliare la prima pietra. Ma non scoraggiamoci: il Signore dell’Apocalisse rimprovera e corregge quelli che ama. Anche noi.
Buon cammino di conversione…
+Francesco Lambiasi