Omelia del Vescovo per la messa In cena Domini
Che gioia mi dà – che gioia ci dà – cari giovani di GS, la vostra presenza a questa liturgia “nella cena del Signore”! Una presenza che mi dice – ci dice – che per voi la messa non è quella cosa spenta, noiosa e ripetitiva, che raffredda, piuttosto che accendere, slanci ed entusiasmi attorno ad una proposta di fede. E non è neanche quel rito formale e ingessato, estraneo e irriducibilmente lontano dalla vita. La vostra presenza mi dice pure che all’eucaristia noi non possiamo mai assuefarci. Se crediamo in Gesù, se amiamo la Chiesa, se ci sentiamo, nel viaggio della vita, fratelli tutti, di tutti, con tutti, non possiamo fare a meno della sua Parola che ci orienta, del suo Pane che ci alimenta, della sua fraternità che ci lega in un cuore solo e in un’anima sola.
1. Noi lo sappiamo: l’eucaristia è uno stupendo dono d’amore. Ma forse non sappiamo abbastanza che l’istituzione dell’eucaristia è stata una straordinaria vittoria dell’amore sul male e sulla morte. Colpisce il fatto che tutti i racconti dell’ultima cena di Gesù mettano l’eucaristia in stretto, inscindibile rapporto con la passione di Gesù, e più precisamente con il tradimento di Giuda. Nel più antico racconto dell’ultima cena si legge testualmente che “nella notte in cui veniva tradito, il Signore Gesù, prese del pane, rese grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi (1Cor 11,23s). Quindi è con il tradimento di Giuda che si mette in moto la catena degli avvenimenti che porteranno Gesù al Calvario e alla morte di croce.
In effetti Gesù è pienamente consapevole che sta per essere falsamente accusato, ingiustamente processato, brutalmente crocifisso. Ma qual è la sua reazione? Quale reazione ci si potrebbe aspettare in una situazione così ingiusta, scandalosa e irrimediabilmente compromessa? Vediamo la reazione del profeta Geremia. Messo in guardia da un oracolo del Signore di un complotto tramato contro di lui, Geremia esplode per ben due volte con una spietata invettiva: “Ora, Signore degli eserciti, giusto giudice che scruti il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, perché a te ho affidato la mia causa” (Ger 11,20; 20,12). Quale vendetta si aspetta il profeta? Eccola: “Prestami ascolto, Signore, abbandona i loro figli alla fame, gettali in potere alla spada; le loro donne restino senza figli e vedove; i loro uomini siano colpiti dalla morte, i loro giovani, uccisi dalla spada in battaglia. Non lasciare impunita la loro iniquità” (Ger 18,19.21.23). La reazione del profeta rappresenta già un passo avanti rispetto alla reazione istintiva, che sarebbe quella di prendere in mano una spada e di farsi giustizia da sé, attuando la propria vendetta. Invece Geremia affida la sua causa a Dio ed è a lui che chiede vendetta.
Gesù invece supera lo sconforto e anziché invocare vendetta, chiede a Dio di perdonare mandanti e carnefici della sua morte imminente. Nella cena Gesù anticipa la propria morte, la rende presente nel pane spezzato che diventa il suo corpo e nel sangue versato che diventa il suo sangue. E trasforma la propria morte in sacrificio di alleanza per la salvezza di tutti.
2. Quando si parla dell’eucaristia si insiste di solito sulla trasformazione del pane nel corpo di Cristo e del vino nel suo sangue. E’ la transustanziazione, una trasformazione ‘sostanziale’. Ma c’è una trasformazione ancora più straordinaria e più importante per la nostra vita: è la trasformazione esistenziale, quella che avviene nella vita di Gesù. La trasformazione di un evento di rottura, la morte, in un evento di comunione. La trasformazione del sangue criminalmente versato dai nemici in evento di alleanza. Di una violenza totalmente ingiustificata, Gesù ha fatto l’occasione di una dedizione totalmente incondizionata.
Per l’Antico Testamento la morte era un evento di rottura radicale, definitiva, con gli uomini e con Dio. In effetti la morte spezza i legami fisici tra le persone: non è più possibile comunicare con un morte, ma nell’AT si pensava anche che con la morte si rompe ogni relazione con Dio. Questo duplice aspetto di rottura provocato dalla morte diventava ancora più tragico, quando si trattava della morte di un condannato. La morte di una persona onesta provoca dolore e amarezza. Ma per un condannato a morte si dà un’aggravante ancora più penosa: quel criminale è rigettato dalla società che non lo vuole più e lo condanna proprio per rompere con lui, in modo totale e definitivo. In Israele il condannato alla croce era considerato come maledetto da Dio (Dt. 21,23; Gal 3,13).
Gesù invece assume questa situazione terribile e ignominiosa, e la trasforma in stupenda occasione di un amore estremo (“amò fino alla fine”: Gv 13,1). E così, di una tremenda, irrimediabile rottura, ne fa un sacramento: un segno trasparente e un validissimo strumento di alleanza perfetta e di piena comunione: con Dio e con i fratelli.
Noi non ci rendiamo abbastanza conto del dinamismo vittorioso che riceviamo quando celebriamo l’eucaristia e facciamo la comunione. Un dinamismo capace di rendere facile ciò che ci appare impossibile. Che ci fa vincere tutti gli ostacoli che si frappongono a una vita di amore generoso e gratuito. E ce li fa trasformare in occasioni di progresso sulla via della carità e di un puro, perfetto amore.
Capiamo allora perché l’eucaristia viene denominata con questa parola, che viene dalla lingua greca e letteralmente significa ‘rendimento-di-grazie’. Gesù, quando si trova in una situazione drammatica – come prima di moltiplicare i pani o di risuscitare Lazzaro – non rivolge al Padre suppliche di domanda, ma “rende grazie”. Letteralmente “fa eucaristia”. Così fa nell’ora più tragica della sua vita: l’ora del tradimento. Prende il pane, lo spezza e rende grazie, come a dire: “Ti ringrazio, Padre santo, perché , per mezzo di questo pane che ho tra le mie mani, io stesso divento pane per la vita del mondo”.
Preghiamo, fratelli e sorelle, perché queste riflessioni ci aiutino a capire la profondità del mistero che celebriamo nella santa eucaristia, e ci provochino ad accogliere la forza dell’amore che ha realizzato l’incomparabile trasformazione del pane spezzato in vita per noi e per il mondo. La ‘riconversione’ di un avvenimento tragico e scandaloso in sorgente di grazia e di salvezza.
Quando celebriamo l’eucaristia e ci comunichiamo, riceviamo in noi questo intenso dinamismo di amore, capace di ‘convertire’ tutti gli eventi più ‘negativi’ in altrettante occasioni di vittoria dell’amore.
Per non lasciarci vincere dal male, ma per vincere il male con un bene infinitamente più grande (cf. Rm 12,21).
Rimini, Basilica Cattedrale, 1 aprile 2021
+ Francesco Lambiasi