Omelia tenuta dal Vescovo nella Messa “in cena Domini”
E’ giunta l’ora. Che cosa fa uno di noi quando sta per scoccare l’ora della propria fine? Fa testamento: si fa portare carta e penna e scrive le sue ultime volontà. E Gesù? Si arma di brocca e catino, prende un asciugamano, se lo cinge alla vita e si mette a lavare i piedi dei discepoli. L’evangelista Giovanni è l’unico a stendere -e lo fa quasi alla moviola – il racconto della lavanda dei piedi. E’ anche l’unico a dedicare ben cinque capitoli alle poche ore passate al cenacolo da Gesù e compagni. E in tutti quei lunghi capitoli – ecco ancora un’altra originalità – è l’unico dei quattro evangelisti a non spendere neppure mezza riga per raccontare il gesto di Gesù che spezza il pane e lo condivide con i commensali, distribuisce tra loro la coppa di vino rosso e istituisce l’eucaristia. Perché questa singolarità? Non risulta sproporzionata tanta attenzione all’umile gesto della lavanda dei piedi?
1. Come abbiamo visto, al termine della lavanda, Gesù stesso si preoccupa di spiegare quel gesto così insolito, compiuto per giunta in un modo del tutto insolito: in genere era collocato prima della cena, mentre Gesù lo compie durante la cena. E per farlo usa il termine ‘esempio’: “Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Dunque si tratterebbe di un modello da imitare? Certamente sì, e Gesù stesso lo dice. E’ da notare però cheil vocabolo greco soggiacente – ypodeigma – certamente significa esempio e modello, ma può significare anche dimostrazione e rivelazione. Con il suo gesto Gesù vuole proporre ai suoi discepoli stupiti molto di più che un insegnamento morale o presentare un imperativo etico. Il Maestro intende rivelare e rendere trasparente la logica – di amore, di gratuità, di servizio – che ha ispirato tutta la sua vicenda. Insomma la lavanda dei piedi è una vera e propria teofania: Gesù, ci svela il Padre, ma prima di rivelarci cosa e come dobbiamo fare noi, ci rivela come è fatto Dio. Dio è fatto così: è amore che si dona a fondo perduto. Tutte le religioni dicono che se Dio dovesse presentarsi in forma umana, dovremmo essere noi a lavargli i piedi. Solo il vangelo ci fa vedere il Figlio di Dio che si mette a lavare, lui, i piedi ai suoi. Il pensiero va all’inno a Cristo servo che circolava nelle primitive comunità cristiane, e che Paolo incastona nella sua Lettera ai Filippesi: Cristo Gesù “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,6-8).
2. Ecco dove sta la radice del nostro peccato: sta in un modo falso di pensare Dio. Siamo figli di Adamo: abbiamo creduto anche noi alla parola del serpente, che ci ha dipinto Dio come nostro nemico e antagonista, come geloso della propria gloria e invidioso della nostra gioia. Lavando i piedi ai suoi fratelli e ordinandoci di imitarlo, Gesù ci restituisce alla verità su Dio. Questa: Dio è amore incondizionato, che si mette a servizio dell’uomo, fino a dare la vita per tutti noi. Dio ci ama gratis, nonostante la nostra ostilità nei suoi confronti, a prescindere dai nostri presunti meriti. Il Padre di Gesù non rivela la sua grandezza elevandosi sopra gli uomini, ma mettendosi con le mani del Figlio a lavare i piedi dei suoi figli. Gli uomini credono di farsi grandi mettendosi sopra gli altri, ma questa è una grandezza volgare: punta a servirsi degli uomini, mira a farsi servire dagli uomini, anziché servire gli uomini. Inoltre Gesù non compie il suo gesto di servizio nonostante la consapevolezza della sua dignità, ma proprio perché ne è pienamente consapevole.”Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola…”. Ponendo la lavanda dei piedi al centro dell’ultima cena, là dove gli altri evangelisti raccontano l’istituzione dell’eucaristia, san Giovanni spiega il segno – l’eucaristia – e rivela il significato della croce. “La lavanda dei piedi anticipa l’acqua che sgorgherà dal suo fianco, il boccone dato a Giuda manifesta la comunione piena del Figlio con ogni perduto e il comando dell’amore realizza la vita nuova che il Signore è venuto a portare sulla terra” (S. Fausti).
Al termine della lavanda dei piedi, Gesù non si toglie il grembiule, ma si mette a sedere – diremmo noi, sale in cattedra – nell’atteggiamento del maestro e consegna il suo comandamento, che è nuovo, radicalmente nuovo: “Come io ho amato voi, anche voi amatevi gli uni gli altri”. Questa formulazione del comandamento dell’amore, Gesù l’aveva espressa, appena dopo la lavanda, con la formula: “Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. Si dà piena equivalenza tra il comandamento di lavarsi i piedi gli uni gli altri e il comandamento di amarsi gli uni gli altri.
3. Ma ora dobbiamo ricostruire tutta la filiera ‘evento-sacramento-comandamento’. L’evento dell’ultima cena è la lavanda dei piedi; il sacramento è l’eucaristia; il comandamento è l’amore fraterno. E’ lo stesso Gesù che pone quel ‘gesto simbolico’ qual è la lavanda dei piedi. E’ lo stesso Gesù che fa del pane spezzato il sacramento del suo corpo – una vita che si lascia spezzare per amore nostro – e del sangue versato fa il sacramento della sua morte. E’ lo stesso Gesù che consegna ai suoi discepoli il comandamento dell’amore fraterno. Di questo amore la lavanda è come una parabola in azione e l’eucaristia il segno-strumento – il sacramento – della morte e risurrezione del Signore.
Il pane spezzato e offerto e il vino versato sono simboli già di per sé trasparenti e si riferiscono senza dubbio alla passione e alla croce. Ma non si limitano a predire la passione e la croce, bensì ne svelano il significato. Se vista in superficie la passione di Gesù sembra essere semplicemente il frutto della malvagità degli uomini; letta in profondità, alla luce del gesto eucaristico, mostra di essere un preciso e consapevole dono che Gesù fa di se stesso.
Donare la vita è la verità di Gesù. La sua morte patita per noi è stata la conclusione di una intera vita vissuta per noi. Gesù muore come ha vissuto: “per le moltitudini” (Mc 14,24). Ma non bisogna mai dimenticare che l’eucaristia è istituita fra la constatazione del tradimento di Giuda e la profezia dell’abbandono dei discepoli. Il dono di Gesù avviene nella consapevolezza dell’abbandono e del tradimento: “nella notte in cui veniva tradito”, cioè consegnato (1Cor 11,23). L’eucaristia è un dono che scaturisce dal perdono. Nello stridente contrasto tra il gesto di Gesù che si dona e il tradimento degli uomini, la Chiesa ha colto la grandezza dell’amore di Gesù, la sua insuperabile gratuità, la sua infrangibile solidità.
Signore Gesù, al mondo dell’egoismo e della violenza, dell’interesse e del profitto, tu opponi l’offerta di te, la disponibilità totale e gratuita della tua vita, senza difese, senza remore, senza revoche. Signore Gesù, ci hai dato l’esempio: insegnaci ad amare senza calcoli, senza pretese, senza riserve. Signore Gesù, tienici alla tua scuola: non donarci solo le dolci carezze della tua misericordia; quando combiniamo pasticci e facciamo stupidaggini, quando ci dimentichiamo dei tuoi poveri, ti autorizziamo a strapazzarci con gli scossoni del tuo sdegno severo e delle tue energiche correzioni. Signore Gesù, tu ci hai amato fino al vertice supremo dell’amore: dicci cosa significa amare. Troppo a lungo l’amore non è stato amato. Aiutaci ad amare, perché solo l’amore ravviverà in noi ciò che è spento; solo l’amore libererà in noi ciò che è incatenato; solo l’amore risusciterà in noi ciò che è morto. Resta con noi, Signore Gesù, perché si fa sera. Resta con noi fino all’ultima sera della nostra vita, quando tu verrai a prenderci, ci farai passare all’altra riva e ci dirai le parole più consolanti: “Oggi con me sarai nel paradiso”.
Rimini, Basilica Cattedrale, 28 marzo 2013
+ Francesco Lambiasi