Omelia tenuta dal Vescovo nel corso della veglia pasquale
Rimini, Basilica Cattedrale, 23-24 aprile 2011
Otto letture più il vangelo: la più lunga liturgia della Parola per riassumere tutta la storia della salvezza: passata, presente, futura. Proviamo a ripercorrere questa litania di brani per coglierne il messaggio pasquale. Cominciamo dal vangelo: “Gesù crocifisso non è qui: è risorto!”. Ecco l’evento assoluto che dà senso e significato a tutta la storia, alla nostra vita, all’intero universo. Questa è la luce che illumina e spiega tutto il tracciato che ci ha condotto all’Evento. Le tappe che scandiscono il cammino del popolo di Dio ci rimandano simbolicamente a quelle della nostra vita secondo lo Spirito del Risorto. Meditando i grandi testi biblici, ci prepariamo a dare tutta la loro intensità alla celebrazione della iniziazione cristiana di voi, carissimi catecumeni.
La prima tappa è la creazione, che segna il passaggio dal nulla all’essere. La Pasqua di Gesù ci ricorda che Dio Padre ha voluto condividere con altri la sua vita. Ha deciso di associare dei fratelli al Figlio unigenito e ci ha scelti, predestinati e chiamati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito di molti fratelli (cfr Rm 8,29). All’origine dell’universo non c’è un Dio che soffre di solitudine, ma che vuole condividere la sua felicità. E ci ha creati non per aumentare la sua gloria, ma per riversare il suo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della sua luce.
E quando l’uomo perse la sua amicizia, Dio non l’ha abbandonato al potere della morte, ma nella sua tenerissima misericordia ha chiamato Abramo da una terra lontana dove si adoravano gli idoli, e lo ha scelto come padre dei credenti. E’ la seconda lettura, che ci ha riproposto il momento più drammatico della storia di Abramo. Dopo aver avuto il figlio tanto atteso, che gli avrebbe garantito una forma di sopravvivenza oltre l’inevitabile morte, Abramo ha dovuto rinunciare a questo desiderio così istintivo e accettare di sacrificare colui che rappresentava il suo futuro. Ma questo futuro gli viene ridonato. Isacco il frutto della sua carne, assume allora un significato nuovo: è il frutto della fede. Commenta la Lettera agli Ebrei: “Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco (…) Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo” (Ebr 11,17.19). Ecco il secondo passaggio della Pasqua: dalla idolatria alla fede.
E siamo alla terza tappa: il passaggio del Mar Rosso. E’ il passaggio dalla schiavitù alla libertà. I cristiani vi vedono un pallido presagio di quella liberazione che è avvenuta per tutti i discepoli di Cristo nella sua risurrezione e che si attualizza per noi nel battesimo: il passaggio dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio. Il Mar Rosso è l’immagine del fonte battesimale e un simbolo del popolo cristiano.
Quando poi gli Ebrei si ritrovarono esuli in Babilonia, furono tormentati dall’ansia del dubbio: potevano ancora credere a quella vecchia storia di un Dio alleato che libera il suo popolo e gli assicura una terra “dove scorre latte e miele”? Un lontano discepolo del profeta Isaia si è sentito chiamato da Dio a confermare il popolo nella certezza della benevolenza divina per Israele. L’avvenire non sarà una smentita di questa certezza rocciosa, ma una sua evidente dimostrazione. Ecco allora la quarta tappa: dalla dispersione alla conversione. E’ la tappa che noi battezzati viviamo ogni volta che superiamo la prova e riscopriamo la grandezza dell’amore del nostro Dio.
Ma questa speranza va continuamente rinnovata, pena la persistente ricaduta nell’idolatria. Lo stesso profeta dell’oracolo precedente si incarica allora, per mandato divino, di rianimare la speranza del popolo eletto: il sogno che Dio ha seminato nel cuore dell’uomo si realizzerà. Un giorno il mondo sarà totalmente liberato dalle forze del male. Ma occorre per questo una rinnovata conversione per passare continuamente dalla decadenza al rinnovamento. Alla luce della risurrezione i cristiani interpretano questo oracolo come una profezia della nuova ed eterna alleanza, stabilita nel sangue di Cristo.
Nel passo del libro di Baruc – è la sesta lettura – l’autore ispirato medita sulla situazione dei Giudei rimasti all’estero, dopo la liberazione ad opera di Ciro, e riflette sul fatto che, se Israele rimane disperso fra le nazioni, ciò avviene perché ha dimenticato la sorgente della vera sapienza. La sapienza, rivelata da Dio al popolo eletto, è stata manifestata dalla legge data a Mosè. Assai presto i cristiani hanno utilizzato questo brano per esprimere la loro comprensione di Cristo. E’ lui la manifestazione della sapienza di Dio. Ecco pertanto un altro passaggio che i cristiani devono perennemente compiere: dalla stoltezza alla sapienza, o, se si vuole, dalla sapienza di questo mondo alla stoltezza della croce.
Ezechiele, dal cui rotolo è stata ritagliata la settima lettura, è stato tra gli esiliati in Babilonia il cantore della speranza: Dio avrebbe ricostruito di nuovo quello che il popolo aveva guastato con il peccato. Questa ricostruzione avrebbe trovato il suo compimento nella riedificazione del cuore dell’uomo: Dio avrebbe tolto dai suoi figli il cuore di pietra e avrebbe dato loro un cuore nuovo, anzi avrebbe dato addirittura il suo Spirito. Con la risurrezione di Cristo tutto ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova, e tutto ritorna alla sua integrità, grazie allo Spirito Santo che il Risorto ha effuso sui suoi discepoli nel cenacolo. Avviene così il passaggio dalla morte alla vita.
Nella lettera ai Romani, l’apostolo Paolo svela l’aspetto essenziale della vita cristiana. E’ la scoperta meravigliosa dell’amore gratuito di Dio. Chi l’accetta, ne viene sconvolto. Si apre alla vita dello Spirito. Avviene una trasformazione radicale che è morte all’uomo vecchio e risurrezione a una esistenza insospettata. E’ l’evento della Pasqua in noi. Con Gesù crocifisso moriamo al vecchio mondo, quello dell’egoismo, ed entriamo nel mondo nuovo ed eterno dei figli di Dio. E’ il passaggio dal peccato alla grazia.
Carissimi catecumeni, non vergognatevi mai del vangelo della croce. Non pentitevi mai delle promesse del vostro battesimo. E non stancatevi mai di “offrire voi stessi a Dio, come viventi, ritornati dai morti” (cfr Rm 6,13).
+ Francesco Lambiasi