In memoria di don Biagio
Omelia del escovo per la celebrazione esequiale
Don Biagio Della Pasqua: l’uomo, il cristiano, il prete. Sintetizzata così, la personalità di don Biagio rischia di apparire come un trinomio di settori giustapposti. O di tre strati accatastati e sovrapposti, l’uno sull’altro. Oppure come una sequenza di tre tappe successive e progressive di una vicenda, che invece non risulta affatto tripartita e spezzettata, quanto piuttosto pluriforme e sinfonica, tutta con-centrata su Cristo. E quindi unificata, unita e intensamente unitaria.
Noi ora vogliamo cogliere il segreto di questa esistenza, che più di una bella vita, è stata una vita bella, buona, beata. Con i suoi giorni lieti e altri duri, come lo è ogni vita normalmente umana e umanamente normale. Comunque una vita pienamente vissuta, perché generosamente, gratuitamente, lietamente donata.
1. Lasciamoci allora guidare dalla Parola di Dio con le sue tre letture, che, tranne la prima, sono le stesse della 12.a Domenica del Tempo ordinario (Anno B), quindi della Messa di stasera e di domani. Prendiamo il tracciato della liturgia della parola e partiamo dai primi versetti della seconda lettura, tratta dalla 2.a Lettera di san Paolo apostolo ai cristiani di Corinto (2Cor 5,14-17).
“L’amore del Cristo ci possiede: e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono, non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto ed è risorto per loro”.
“L’amore del Cristo ci possiede”: il verbo possedere si potrebbe rendere, come riportato in altre traduzioni, anche con spingere, stringere, contenere, comprimere, costringere. Tenendo conto di queste sfumature, potremmo rendere l’espressione paolina così: “l’amore di Cristo ci avvolge, ci coinvolge, ci travolge”, ricordando però che per ‘amore di Cristo’ non si intende l’amore nostro per Cristo, bensì l’amore di Cristo per noi.
Anzitutto l’amore di Cristo ci avvolge. In effetti l’abbraccio amorevole dell’umanità da parte di Cristo è del tutto gratuito e incondizionato. Dio non ha chiesto agli uomini di convertirsi, come condizione preliminare all’offerta del suo amore. Dio ci ha amati per primo e in maniera assolutamente gratuita. Benché noi vivessimo lontani da Dio, Cristo ci ha raggiunti e ci ha avvolti con la sua misericordia.
Inoltre l’amore di Cristo ci coinvolge, dato che “tutti sono morti”. L’Apostolo si rende conto di essere personalmente coinvolto in questo amore redentore di Cristo, e afferma: “Il Figlio di Dio mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,2). La solidarietà di Cristo nei confronti degli uomini è dunque la condizione di possibilità della loro comunione con lui e, di conseguenza, della loro partecipazione alla sua morte. Ora, la libera partecipazione dei credenti alla salvezza operata da Cristo, morto e risorto, si è attuata nel battesimo.
Infine l’amore di Cristo ci travolge, perché distrugge la nostra bramosia di vivere egoisticamente per noi stessi e ci sospinge a vivere per amore di colui che, per amore, è morto per noi e per noi è risorto.
Così è vissuto ed è morto don Biagio Della Pasqua. La sua è stata veramente una esistenza pasquale. Il Don ha veri-ficato in pieno il suo cognome: è stato un cristiano “della Pasqua”. Ha incontrato Cristo e si è percepito come un cristiano autenticamente ‘pasquale’. Nella sua ultima intervista rilasciata a IcaroTv e trasmessa in occasione del ritiro del clero dell’ultimo mercoledì santo, Don Biagio ha raccontato la sua solidarietà con i malati. Lui che si era sempre adoperato per i poveri e i malati, ha vissuto l’ultimo tratto della sua vita in totale, cordiale fraternità con i poveri-malati, lasciandosi evangelizzare da loro e diventandone loro evangelizzatore.
Me ne parlava in una lettera del novembre 2019 in questi termini: “Negli ultimi anni ho imparato a convivere anche con la malattia, che in alcuni momenti si è presentata in modo aggressivo. In queste situazioni il Signore mi ha dato serenità. Anche in questi mesi la mia condizione di salute è segnata dalla presenza di un tumore che da due anni viene curato e tenuto più o meno sotto controllo, almeno sembra, poiché sorgono sempre nuove complicanze. Questa esperienza di fragilità mi ha fatto incontrare tante persone malate e condividere con loro la speranza cristiana. Comprendo meglio ora la preghiera per la perseveranza finale!”.
Ecco una prima conclusione sulla vita di don Biagio: credere è lasciarsi avvolgere, coinvolgere, travolgere dalla Pasqua di Cristo.
2. Passiamo ora al vangelo (Mc 4,35-41). E’ notte sul mare di Tiberiade. I discepoli di Gesù si trovano nel mezzo di una tremenda burrasca, sotto un cielo nero pesto, su una povera barca che volteggia impazzita, trascinata su e giù dalle onde schiumose di un lago diventato improvvisamente intrattabile e ringhioso come un mastino incarognito. Loro – i compagni di Gesù – il lago lo chiamano mare, e per loro il mare è simbolo del male. Ma ora, nel loro cuore in subbuglio, alla paura si aggiunge l’angoscia: come mai, mentre essi tremano di spavento, il Maestro dorme sonni beati? E dal loro petto esplode il grido accorato: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. Evidentemente i discepoli dimostrano di non fidarsi del Maestro. Per il quale quel rimprovero sfrontato deve essere stato come una scudisciata in faccia. “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Il messaggio è folgorante: il contrario della paura non è il coraggio. E’ la fede!
Ecco la seconda conclusione della nostra meditazione sulla vicenda di don Biagio: credere è fidarsi e affidarsi alla parola di Gesù. Non è non sentire la paura, ma non acconsentire alla paura. Il Signore ci salva, ma non in modo magico Non ci salva dalla tempesta, ma nella tempesta. Non ci protegge dal dolore, ma nel dolore. Come il Padre non salva il Figlio dalla croce, ma nella croce.
Sabato scorso, quando le condizioni di don Biagio cominciavano ad aggravarsi, mi sono recato di buon mattino a Montetauro per concelebrare in anticipo con lui l’anniversario della sua ordinazione, che sarebbe ricorso dopodomani, 21 giugno p.v. Lui era già pronto con i paramenti presso l’altare. Passandogli vicino, mentre si svolgeva il canto d’ingresso, gli ho chiesto sotto sottovoce se si sentiva di ricevere anche l’unzione degli infermi. Mi ha risposto: “Io faccio tutto quello che mi dite di fare”. Era molto sereno e ormai preparato per “passare all’altra riva”.
3. Torniamo sulla prima lettura (Gen 12,1-13): la chiamata di Abramo, un passo molto caro al caro Biagio. “Esci dalla tua terra e va’, dove ti mostrerò”. “Per fede Abramo partì senza sapere dove andava” (Ebr 11,8). Commenta san Paolo: “Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli” (Rm 4,18). Don Biagio, da vero figlio di Abramo, ha vissuto una vita scandita da quella chiamata: “Esci dalla tua terra e va’…”, quando a 11 anni è stato chiamato a uscire dalla terra della sua casa per entrare in seminario. Quando a 25 anni ha lasciato la terra del seminario per essere ordinato presbitero e andare nella parrocchia di Miramare.
E poi quando è andato nel seminario diocesano come vicerettore e ha cominciato a insegnare Religione al Liceo classico di Rimini. E poi quando nel 1977 a 33 anni è stato chiamato dal vescovo Biancheri a fare l’assistente diocesano della rinata ACI. E poi ancora quando a 49 anni è stato nominato parroco di san Pio V a Cattolica. Trascorsi 9 anni, scrisse la sua rinuncia alla parrocchia, cosa che non era tenuto a fare, e che il vescovo De Nicolò non accettò. Arrivato all’età dei 75 anni – l’età di Abramo! – mi scrisse una lettera che si chiudeva così: “Vorrei consegnare, in piena libertà, la mia vita al Signore, libero da progetti per il futuro e unicamente attento a non intralciare le strade di bene che il Signore vuole per la sua Chiesa”.
Ecco l’ultima lezione di don Biagio: credere è uscire da sé e sperare in Dio, nostro Padre.
Da ultimo, Sorelle e Fratelli tutti, non ci resta che pregare: “Signore Gesù, ora lascia che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, poiché i suoi occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te, per il popolo di Cattolica e per tutti i figli di Abramo. Ma ricordati di noi e non stancarti di mandarci dei preti come don Biagio della Pasqua. Non te li chiediamo perfetti, perché né lui né nessun altro di noi lo è stato o mai lo sarà. Te li chiediamo innamorati, come lui. Innamorati di te, della tua Chiesa, dei poveri, della nostra società, del mondo intero. Amen!”.
Cattolica, Arena della regina, 19 giugno 2021
+ Francesco Lambiasi