“Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati”
Omelia per la festa parrocchiale, dedicata a tutte le parrocchie in festa
Mi piace pensare alla parola di Dio come a uno scrigno prezioso, pieno zeppo di perle autentiche, tutte brillanti, stupefacenti. Tra le tante che la liturgia di oggi ci propone, scelgo una parola sola: salvezza. Mi rendo conto che questa parola evochi scenari da incubo: profughi che non trovano un porto aperto, dove ottenere pronto salvataggio e sicuro rifugio, senza dover essere respinti là dove avevano sperimentato fame, oppressione e feroce violenza. O senza correre il pericolo di essere ingoiati in un naufragio senza scampo. Pensiamo anche alla salvezza di aziende in fallimento o di banche in liquidazione, con il rischio di lasciare sulla strada tanta buona gente, senza un minimo spiraglio di speranza.
Forse possiamo immaginare la parola di Dio anche come un giornale che ci riporta solo buone notizie. Penso al supplemento settimanale di un quotidiano nazionale, intitolato appunto: “Buone notizie”.
Ecco allora la perla preziosa della bella notizia, ripresa dalla fonte, il brano della 2.a lettura (1Tm 2,1-8): “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (25.a Dom T.O. Anno C).
E’ davvero la notizia più bella, più buona, più importante che ci potesse essere recapitata! Ma noi ce ne rendiamo conto?
Una notizia così ci cambia anzitutto la nostra immagine di Dio. Il quale non è affatto una sorta di Zeus spocchioso e tracotante, sempre pronto a scagliare fulmini e saette per incenerire i poveri umani, inermi e indisponibili a soddisfare i suoi bislacchi capricci e le sue voglie malsane.
Il Dio di Israele non è un inguaribile guastafeste né un vorace mangiafuoco. Non è un giudice inflessibile. Né un implacabile boss di una azienda a reddito. E’ il Salvatore, che sceglie Israele per pura gratuità, senza se e senza ma. Non per interesse, ma solo per amore. Non perché Israele sia il popolo più potente, più ricco, più sapiente della terra. Ma perché è il popolo più povero, più bisognoso, più sventurato tra tutti i popoli (cfr Dt 7,7).
Ma come fa questo Dio a salvare tutti i popoli della terra? Non certo lanciandoci una corda e gridando: “Chi può e ce la fa, si aggrappi, che lo tiro su. Gli altri si arrangino…”. Ci salva, invece, inviandoci Gesù, il suo Figlio benedetto e beneamato. Come viene definito dallo stesso brano da cui abbiamo estratto la perla appena mostrata. Gesù vi viene descritto come l’unico “mediatore tra Dio e gli uomini”.
Gesù è il Salvatore mandato da Dio Padre e venuto tra di noi a dirci Dio e a darci Dio. A dirci che Dio è Padre e a darci Dio come nostro Padre, facendoci suoi figli. Il nome stesso Gesù significa “Dio-salva”. Non è venuto a distribuire premi e castighi. E’ venuto a mostrarci e a comunicarci l’amore del Padre. Per questo “ha dato se stesso” e ha versato il suo sangue “per noi e per tutti” (1Tm 2,6).
In terzo luogo il ‘vangelo’ di Gesù “unico Salvatore di tutti” ci aiuta a ridisegnare il volto della Chiesa e, in particolare, a riformulare un sogno di parrocchia che sia all’altezza del Vangelo.
Sogno una parrocchia che non si riduca a squallido museo di antiquariato. Non si deformi in gelido conservatorio di anticaglie e di barboso vecchiume. Ma si ripensi, senza stancarsi, come laboratorio di futuro: creativo, attraente, appassionante…
Sogno una parrocchia che sia una casa accogliente, non una caserma opprimente e asfissiante. Una vera casa dove non ci si stia per interesse o per dovere, ma per amore. Dove si sperimenti rispetto per tutti. Dove si senta ‘a pelle’ calore di famiglia. Dove si respiri profumo di gioia…
Sogno una parrocchia palestra di comunione. Non un ring rissoso e litigioso, avvelenato da polemiche sterili e pretestuose…
Sogno una parrocchia che non diventi mai una ‘nicchia’ autocentrata, ammalata di autoreferenzialità, ossessivamente occupata nel farsi selfie a ripetizione, compulsivamente preoccupata di rifarsi il trucco per camuffare rughe antipatiche e muffe maleodoranti…
Sogno una parrocchia che non sia un club di cristiani arrivati né un’accademia di sedicenti perfetti, ma faccia da scialuppa di salvataggio per ‘scartati’, depressi e disperati…
Sogno una parrocchia in cui quanti vi abitano e vi operano non si sentano mai dei privilegiati per i tanti doni ricevuti, ma se ne sentano degli umili e onesti responsabili. Perché quei doni sanno non di averli meritati, ma di averli gratuitamente avuti per condividerli gratuitamente…
Sogno una parrocchia che non diventi mai l’isola dei ‘famosi’, ma sia l’approdo per ‘affamati’ di salvezza, dove credenti e non credenti insieme possono trovare da mangiare…
Villa Verucchio, 22 settembre 2019
+ Francesco Lambiasi