Vorrei declinare questo mio intervento iniziale, passando a servire – per parlare in metafora – non un antipasto magari ghiotto ma indigesto, bensì almeno spero – un aperitivo gradevole e stuzzicante, e scandendo tre passaggi progressivi: la storia; la storia della Chiesa; la storia della Chiesa riminese.
1. La storia
Una caratteristica dell’antropologia radicale che segna gran parte del pensiero europeo contemporaneo è l’assenza di memoria storica. La cultura radicale riduce il passato a un ammasso di cenere, e così non solo non accende il fuoco del presente, ma neanche innesca la scintilla del futuro. Là dove non c’è alcuna tradizione, lì comincia il cammino verso la disumanità. La società totalitaria inizia quando si sottrae all’uomo il suo capitale di memorie e di esperienze del passato; quando la tradizione perde la sua capacità di guidare l’azione e di formare nuove soggettività personali e collettive, per divenire puro e semplice oggetto di ricerca erudita.
Non è molto lontana dalla realtà la constatazione che l’ignoranza della storia sia stata una delle cause principali degli errori politici dell’Occidente. Se gli americani avessero conosciuto la storia, avrebbero saputo che l’11 settembre è la data in cui, nel 1684, l’armata guidata da Giovanni Sobiesky, innalzando lo stendardo della Madonna di Czestochowa, ha annientato l’esercito di 300mila turchi che stava per conquistare Vienna. E in tal modo ha dato inizio allo sfacelo dell’impero ottomano. Essi non Io sapevano, ma Bin Laden sì, e quel giorno, distruggendo le Torri gemelle, voleva vendicare la storica disfatta. Se si continua a dimenticare la storia, è molto probabile che si ripetano errori anche nei rapporti con civiltà come I’Islàm, la Cina, l’India, che si risvegliano e che ricordano perfettamente la loro storia.
2. La storia della Chiesa
Non è il “museo della sua antichità”, ma è lo sviluppo della sua autocomprensione (H. Jedin). Questi sono gli obiettivi immancabili dello studio del cammino della comunità cristiana attraverso i secoli. Il primo: non fornire semplicemente una corretta descrizione degli avvenimenti del passato, ma formare una mentalità critica che sappia interrogare quegli avvenimenti, per ricercarne le cause, declinarne le conseguenze, intercettarne il significato. II secondo: conoscere quale autocoscienza la Chiesa abbia espresso di se stessa e quale sia l’oggetto della sua fede, illustrando la vicenda storica del popolo cristiano nelle diverse epoche e nei vari contesti. Il terzo: favorire una più piena coscienza dell’uomo credente e di una fede che essenzialmente si “accasa” nella storia.
Resta comunque indubbia l’oggettiva difficoltà dello storico nell’accostarsi alla storia della Chiesa come storia di un organismo dotato di una sua propria vita, di una sua tipica dinamica interna e di una specifica e inconfondibile autocoscienza.
3. La storia della Chiesa riminese
Ritengo che gli obiettivi precedentemente definiti siano stati ampiamente centrati nell’opera monumentale che è giunta al suo felice compimento con il ponderoso quarto volume uscito qualche mese fa. In particolare, invito a verificare quanto viene qui esposto circa le sfide del rapporto tra Chiesa e modernità, tra Chiesa e fascismo (si veda la figura di Igino Righetti); l’acuta analisi del periodo dedicato al Concilio Vaticano Il e alle sue intriganti ricadute locali; la testimonianza di carità, l’impegno missionario, i grandi testimoni della fede (santi e beati, come Alberto Marvelli, Carla Ronci, Sandra Sabattini), le figure esemplari del clero negli ultimi cinquant’anni (d. Oreste Benzi, d. Luigi Tiberti, d. Giancarlo Ugolini, d. Filippo Di Grazia, e altri).
Mi rendo conto che sto correndo il “rischio dell’antipasto”. Anticipo perciò una possibile battuta per il “brindisi” finale. Che la lettura della storia della Chiesa riminese ci aiuti a vivere il presente con passione, con intelligenza e un granellino di quella fede che sposta le montagne. E ci sfidi a trasformare – mutuo ora la metafora dalla fisica – “la massa del passato in energia di futuro”.
Rimini, Sala dell’Arengo, 7 aprile 2016
+ Francesco Lambiasi