Omelia del Vescovo per la celebrazione eucaristica del Meeting di CL
Incontrare Gesù: è l’avventura di molti, il sogno di tanti, il bisogno di tutti. Quel giorno, dalle parti di Cesarea di Filippo – città tutta pagana, estrema periferia esistenziale dell’alta Galilea – Pietro ancora una volta incontrò Gesù e in lui intravide il Messia, e Gesù incontrò Pietro e in lui intravide la roccia su cui poggiare l’edificio della sua Chiesa. Certo, Simeon bar Jonas era già inciampato nella vita allo sbando di ‘quel’ Jeshù di Nazaret, e da diverso tempo ormai non poteva più fare a meno di andargli dietro. La prima volta lo aveva incontrato durante una magra battuta di pesca sulle rive del lago di Tiberiade: era rimasto incantato e letteralmente incatenato dal suo sguardo irresistibile, e da lui si era sentito rovesciare addosso quella promessa esorbitante: “Farò di te un pescatore di uomini”. Poi lo aveva incontrato sul monte, insieme agli undici compagni e a una folla straripante, e si era abbeverato ad ampi sorsi alle sue parole luminose e dissetanti: “Beati i poveri… Beati i puri di cuore… Beati gli assetati di giustizia”. Poi tante volte aveva mangiato e bevuto con lui, aveva assistito sorpreso e sbalordito ai suoi miracoli, si era spellato le mani al sentire le sue repliche infuocate alle pretestuose polemiche di scribi e farisei, aveva provato un brivido a pelle tutte le volte che il Maestro baciava i lebbrosi o abbracciava i bambini. E ogni volta, sempre come fosse la prima. Eppure nessun incontro con il giovane rabbi, proveniente da un villaggio di terz’ordine della Galilea, era la fotocopia del precedente, anzi risultava fresco, sempre nuovo, assolutamente inedito. Con quel Maestro lì era davvero impossibile andare in automatico…
Ma quel giorno, sotto l’azzurro fitto del cielo, ai piedi dell’Ermon, alla domanda stringente e ineludibile del Maestro: “Ma voi, chi dite che io sia?”, Simone si era ritrovato sulle labbra parole più grandi di lui: “Tu sei il Cristo, il Messia, tu sei il Figlio del Dio vivente”. Di getto il primo dei Dodici aveva parlato per tutti i compagni. La storia dell’antico Israele, su su fino ai profeti del passato più remoto, fino all’insuperabile re Davide, fino al padre Abramo, sembrò raccolta in quelle parole letteralmente piovute dall’alto. Simone aveva captato il mistero di Gesù e Gesù, di schianto, aveva promesso di poggiare la sua Chiesa sulle spalle di Simone. “Su di te, come su una roccia – aveva appena detto il Maestro – edificherò la mia Chiesa”. Nel sentirsi chiamare per la prima volta “roccia”, Simone Kefas deve aver piantato i suoi occhi impauriti negli occhi di Gesù, come per dire: “Ma, Signore, io… roccia?! Io, così friabile, io così duro fuori e fragile dentro?”. Paura – quella di Pietro – di tutta la storia terrena di questa nuova comunità che il Maestro voleva edificare? In un lampo il primo dei Dodici avrà forse visto la Chiesa diventata così grande e preoccupata soprattutto di difendersi, o così sicura da bastare a se stessa, come tutte le costruzioni umane? Avrà forse intravisto i tradimenti, le presunzioni, i cedimenti, a cominciare dai suoi?
Anche noi oggi siamo collocati da Gesù di fronte al mistero. Siamo definitivamente posti nella situazione dei discepoli di fronte alla domanda così diretta, così assoluta: “Ma voi chi dite che io sia?”. Un profeta? bravo, autorevole, deciso, tutto d’un pezzo, superiore alla media, ma pur sempre un profeta, un portavoce di Dio ma non proprio il Figlio di Dio… Oppure il simbolo più riuscito dello Spirito umano (Hegel), un Socrate superiore e perfetto (Rousseau), il cavaliere del sogno più bello (Gibran), un dolce poeta errante (L. Cavani), ma non proprio il Messia, l’unico vero Salvatore di tutti? Ancora: un grande personaggio religioso, magari testa di serie, ma non un vero e proprio “fuori-serie”?
Anche a noi oggi Gesù affida la sua Chiesa, questa casa con crepe e brecce, che ha continuo bisogno di essere riparata, come la Chiesa del tempo di Francesco d’Assisi, che era tutta in rovina. Noi non ci sentiamo affatto delle rocce, ma solo delle piccole pietre, dei poveri sassetti. Ma nessun sassetto al mondo è inutile, ricordava giusto sessant’anni fa Federico Fellini, nel film La strada. Altrimenti “tutto sarebbe inutile, anche le stelle”. Anzi in mano a Gesù ogni sassetto diventa prezioso. Perché lui è fatto così: prende il primo ciottolo che incontra per strada e lo colloca dove ne ha bisogno. Quel ciottolo sei tu, sono io, ognuno di noi. Lui ti guarda con infinita tenerezza e si mette a cesellare la tua povera vita; getta via le cianfrusaglie, ma non ti fa fare brutta figura. E che ti importa, se ti mette sopra una volta che tutti ammirano o sotto il pavimento a cui nessuno bada? Ciò che importa è trovarti nelle sue mani, malleabile, utile, per essere collocato là dove lui da sempre ti ha sognato, nel posto preparato proprio apposta per te. E tu, tutti noi, per quanto piccoli sassi, siamo però resi dal suo amore “pietre vive”, e dunque abbiamo una voce, e possiamo gridare a Dio la nostra felicità.
RiminiFiera, 24 agosto 2014
+ Francesco Lambiasi