Omelia per il 50° di Professione Religiosa di Sr. M.Gabriella Bortot e per il 60° di Sr. Chiara Romolini, Sr. Edoarda Fiandri e Sr. Ester Russolo
Dio è il Veniente: “colui che era, che è, e che viene” (Ap 1,8). In questo titolo – il Veniente – c’è tutta la sostanza del Dio biblico, che non è come la divinità greca, gelida e infinitamente distante. Che non può venire nella povera storia degli umani, altrimenti si sporcherebbe con il fango della nostra miseria. No, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, “neanche lui può stare solo” (Turoldo). Anzi, più che starsene comodamente installato nel tempio, è nel tempo che preferisce abitare, e quindi viene, viene sempre, e non si stanca mai di venire in mezzo a noi. Viene come un pastore che fa pascolare il suo gregge. Viene come un padre premuroso. Come una mamma tenerissima che nutre e coccola i suoi piccoli. Come un re che difende lo straniero, l’orfano e la vedova.
1. Ed ecco la sorpresa, promessa dal profeta Osea: Dio viene come uno sposo che sposa una vergine: “Ti farò mia sposa per sempre” (Os 2,16.21-22). Questa non è solo una bella, toccante metafora. Finché non verrà “Colui che deve venire”, nessun ebreo poteva mai sospettare quale segreto fosse nascosto dietro questa immagine vertiginosa e struggente del Dio che viene a celebrare le nozze con l’umanità. Il segreto ci è svelato in Cristo: “Ecco lo Sposo, uscitegli incontro!”. Questo è il vangelo, la bella notizia: arriva lo Sposo! Beata la sposa se si troverà pronta per le nozze, preparata ad ogni evenienza, anche al ritardo dello Sposo.
Per far capire quale deve essere l’atteggiamento della sposa nel tempo dell’attesa, Gesù racconta la parabola delle dieci ragazze, cinque sagge e cinque stolte. La differenza tra i due gruppi non è data dal fatto che le prime riescono a stare sveglie e le altre no. In effetti “si assopirono tutte e dormirono”. La differenza è che le prime hanno fatto scorta di olio, le altre no. La differenza è in quel piccolo vasetto d’olio che ognuna delle damigelle previdenti ha portato con sé. Quel piccolo vasetto sta a dire che la fede deve essere sapiente: niente di più prezioso di una lampada per la notte; ma nulla di più esile e fragile. Dunque bisogna fare provvista dell’elemento indispensabile : l’olio dell’amore che accende e alimenta l’attesa. L’incontro con lo Sposo-che-viene va preparato prima: non è cosa che si possa rimediare in extremis. Se la fede è sapiente, allora si tradurrà in una speranza paziente, e neanche il sonno sarà una tragedia, purché non sia il letargo delle stolte e degli stolti che si illudono sempre di potersela cavare all’ultimo momento.
“Ecco lo Sposo, uscitegli incontro!”: è il grido che squarcia il silenzio della notte. E il buio comincia a palpitare delle piccole luci delle vergini previdenti e delle fiammelle singhiozzanti delle vergini imprudenti. Colui che la sposa e lo Spirito invocano: “Vieni!”, e ha assicurato: “Verrò presto” (Ap 22,17.20), finalmente viene! E’ la metafora più bella della vita che voi, Sorelle carissime, avete cominciato a vivere vari anni fa, e che non vi siete mai pentite di aver scelto.
2. Tutta la vita è una uscita. Un uscire dal grembo della mamma per venire alla luce del sole. Uscire ogni istante da ciò che si era prima a ciò che si diventa in seguito. Per voi, in particolare, è stato un uscire dalla vita per incontrare la vostra Vita, quella donata dal vostro Sposo. Voi ignorate il giorno e l’ora del suo arrivo, ma sapete che ogni giorno e ogni ora è un passo verso di lui, “l’Amor, che move il sole e l’altre stelle” (Dante). E la vostra vita è stata un vigile e operoso riconoscere le visite quotidiane dello Sposo, fino a diventare piena dell’olio dell’amore.
La parabola delle vergini sagge e di quelle stolte non vuole spaventarci con lo spauracchio di una morte incombente. Vuole responsabilizzarci sul presente. Se siamo sempre pronti all’incontro con o Sposo Gesù, allora ogni giorno si veste di luce. Ogni ora si colora di attesa. Ogni istante si carica di desiderio e si impregna di stupore. E la vita si fa cammino in avanti, spesso faticoso, incerto e sofferto, eppure proteso all’incontro d’amore, alla grande festa dove lo Sposo ci attende con brividi di trepidazione e di febbrile impazienza. Anzi ci corre incontro, trafelato, eppure appassionato e ardente.
E arriverà il tempo delle nozze perenni. Il tempo dell’amore esponenziale, dell’abbraccio appagante. Il tempo senza più né lutto, né dolore, né pianto, ma solo pace e gioia nello Spirito Santo. E inizierà la danza del tempo senza più tempo. Quando tutto sarà finito, allora resterà ciò che è stato salvato dall’amore vero, puro e beato.
3. Certo, ci sono momenti in cui la vanità delle cose ti afferra dolorosissimamente. E senti con sgomento che tutto, proprio tutto, scorre inesorabilmente. E il tempo preme. Non riesci ad ammirare una rosa che ha già cominciato a sfiorire. Non riesci a raggiungere un traguardo che un altro traguardo ha già cominciato a incalzare. Non riesci a stupirti per una bellezza radiosa e raggiante che ha già cominciato ad appassire. E tutto sembra inutile. La vita appare incolore, inodore, insapore. “Vanità di vanità, tutto è vanità”, cantava malinconico e angosciato Qohelèt.
Ma tu sai anche che l’amore santo e divino resta. Non le cose che hai fatto, ma l’amore con cui hai fatto le cose. Non resta il ‘successo’, ma l’amore con cui hai vissuto ciò che è ‘successo’. Non resta quanto hai dato, ma l’amore che hai investito nel dare.
Tu, Sorella carissima, sei fatta per la pienezza. Ogni creatura è fatta per il Creatore. Il cuore per l’amore. La vita che passa per la vita che resta e non passa mai più. Se hai conservato l’olio dell’amore nella tua lampada, non temere. Alla fine resterà solo l’Amore. L’Amore per il quale possiamo sognare, anche se sappiamo in anticipo che tutti i nostri sogni peccano per difetto.
Accendi la tua lampada, Sorella, e attendi il tuo Amato che ti sazierà in ogni tuo desiderio.
Amare è attenderlo. Attendere Lui, oltre ogni cosa e ogni persona. Anzi in ogni cosa e in ogni persona.
Amare è attenderlo in fondo al tunnel del tempo. E sentire i suoi passi che avanzano nelle stagioni che si rincorrono, nei giorni che scorrono, nelle ore che sfuggono.
Amare è attenderlo. Anche per gli altri. Che sono andati in automatico. Che sono caduti in letargo. Che hanno smarrito la speranza. Perché anche per loro brilli la sua luce.
Amare è attenderlo. Per dire a tutti che è Lui il perché della vita. Lui il fine di ogni evento. Lui la fine di ogni tormento. Lui il terminal di ogni percorso. La meta di ogni cammino.
Amare è attenderlo. Nelle notti insonni come il riposo sospirato. Nel superlavoro stressante come la quiete bramata. Nello smarrimento angosciante come il sole che dirada la nebbia.
Amare è attenderlo. Come la ricompensa quando nessuno apprezza la tua dura fatica. Come la riconoscenza quando nessuno ti degna di un sorriso nel tuo logorante dovere.
Amare è attenderlo. Perché non si può attendere che Lui.
Chi dopo di Lui? Chi senza di Lui? Chi o cosa al di fuori di lui?
Rimini, Chiesa di S. Agostino – 16 ottobre 2021
+ Francesco Lambiasi