“Siamo stati battezzati nella sua morte”
Omelia del Vescovo pronunciata nel corso della Veglia Pasquale
1. Che cosa siamo venuti a fare qui questa notte? La risposta più ovvia è: a fare Pasqua. Ma che cosa significa fare Pasqua? Ecco, fratelli e sorelle, non significa: rievocare un evento sepolto nel passato. Noi non siamo qui riuniti per una più o meno nostalgica commemorazione, ma per una celebrazione, per un’azione talmente efficace e potente da rendere reale ed effettivo, qui e ora, l’evento celebrato.
Che differenza c’è tra un’azione e una commemorazione? Facciamo qualche esempio. La sera del giovedì santo noi abbiamo ricordato sia la lavanda dei piedi, sia l’istituzione dell’eucaristia. Ma la lavanda l’abbiamo semplicemente ricordata a modo di ‘sacra rappresentazione’, quindi con un rito dal significato prettamente storico e morale: ricordare il gesto compiuto da Gesù, esortarci alla sua imitazione. L’istituzione dell’eucaristia, invece, l’abbiamo celebrata a modo di ri-presentazione, cioè attraverso un rito che ce l’ha resa presente. Altro esempio: la Via Crucis di ieri sera è stata rappresentata in tante parti, nelle chiese, per le strade, in ospedale, sul lungomare. La morte di Gesù, invece, ci è stata ri-presentata nell’azione liturgica.
Insomma, la differenza è questa: attraverso un ‘pio esercizio’ devozionale commemoriamo un evento già accaduto, che, come tale, resta confinato nel passato mentre noi siamo e restiamo immersi nel nostro presente. Invece una celebrazione liturgica è una vera e propria ‘azione’, perché rende presente quell’evento e noi siamo resi presenti ad esso. Dunque la nostra veglia non è una semplice memoria della Pasqua, ma un ‘memoriale’, ossia una liturgia che ci fa partecipare effettivamente e concretamente al mistero celebrato. Con una differenza rispetto a tutti gli altri misteri o eventi salvifici della vita terrena di Gesù, compresa la sua morte. La risurrezione di Gesù infatti è un evento, che è iniziato per dire così nel tempo – la scoperta del sepolcro vuoto e le prime apparizioni del Risorto risalgono al mattino della domenica di Pasqua, e dunque sono fatti cronologicamente datati – ma la Pasqua è un avvenimento che per natura sua ha proiettato Gesù nella gloria del Padre. E poiché Gesù ora vive nell’eternità e l’eternità abbraccia tutta la durata del tempo, la nostra celebrazione vigiliare ci fa partecipare a quell’evento, che è davvero ancora in corso e non finisce più, poiché tocca efficacemente l’intera vicenda dei tempi. Se ci venisse rivolta la domanda: ma quando è risorto Gesù? potremmo rispondere benissimo: Oggi.
2. Dunque siamo qui per compiere un’azione. E l’azione da compiere è questa: essere battezzati nella morte e risurrezione di Cristo. Ascoltiamo l’apostolo Paolo che scrive: “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,3-4).
A questo passo si ispirava l’antica prassi battesimale: i catecumeni scendevano tre gradini del battistero e a ogni gradino facevano la triplice rinuncia a Satana. Poi si veniva immersi nell’acqua della vasca battesimale, e questa immersione stava a significare una partecipazione reale e un effettivo coinvolgimento nella morte di Gesù. Infatti la preposizione in, retta dal verbo battezzare o essere battezzati, non indica uno stato, ma un trasferimento “da… a…”, un passaggio di proprietà, anzi un affidamento, un’adesione intima e personale, una compartecipazione. Secondo Paolo, il cristiano, col battesimo viene, per così dire, abbracciato e avvolto da Cristo, il quale passa a costituire il suo nuovo spazio vitale. Poi, dopo l’immersione, c’era l’emersione, che esprimeva la risurrezione: si salivano i tre gradini, uno alla volta, e ad ogni gradino si faceva la triplice professione di fede: nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo. E’ per questo profondo significato che il battistero veniva chiamato “sepolcro e madre”: sepolcro, perché lì si era stati sepolti con Cristo nella sua morte; madre, perché lì si era risorti con Cristo nella sua risurrezione. Si diventa cristiani non per nascita, ma per rinascita.
3. E’ quanto state per ricevere voi, carissimi catecumeni. Ma per noi che siamo già cristiani fin quasi dalla nascita, tutto questo non è già avvenuto il giorno del nostro battesimo? Cosa ci resta ancora da fare che non sia stato già compiuto? E’ vero, ma in questo Anno della Fede dobbiamo ricordare che il battesimo è la porta o inizio del cammino di fede. Abbiamo ascoltato san Paolo: “Come Cristo fu risuscitato dai morti, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,3-4). All’inizio del nostro cammino di fede c’è stata per noi la fede della Chiesa, ma poi man mano che siamo cresciuti c’è stata o ci doveva essere la nostra fede personale. Quanti battezzati vivono come se non lo fossero mai stati! E anche noi che ci professiamo credenti, quante volte non operiamo scelte coerenti con il nostro battesimo! Se noi, pur frequentando la chiesa, pur celebrando i sacramenti, pensiamo come pensano tutti, parliamo come parlano tutti, ci comportiamo come si comportano tutti, ci rattristiamo come quanti non hanno speranza, dove sono i segni di vita nuova – di vita bella, buona e beata – una vita ispirata e nutrita dal vangelo?
Fratelli e sorelle, dobbiamo morire al peccato. Cosa significa? Sant’Agostino lo esprimeva con una metafora. Dobbiamo uscire da Babilonia. Babilonia – spiegava – è la città costruita sull’amore di sé, spinto fino al disprezzo di Dio: è la città di Satana. Babilonia è la menzogna, il vivere per se stessi, per il proprio piacere, per la propria gloria, per l’affermazione, la gratificazione e la realizzazione del proprio io a danno e a spese degli altri, fino a fare il male agli altri e perfino a se stessi. A questa Babilonia spirituale allude la parola di Dio, quando dice: “Uscite, popolo mio, da Babilonia, per non associarvi ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli” (Ap 18,4). Non si tratta di uscire materialmente dalla città o di sottrarsi alla rete di solidarietà con gli uomini. Si tratta di uscire da una situazione morale malsana e nociva, per sé e per gli altri. Non è una fuga dal mondo, ma una fuga dal peccato.
In questa notte in ogni comunità cristiana della nostra Diocesi – come nella Chiesa madre di Roma e in tutte le Chiese del mondo – è stato acceso un fuoco. Un fuoco nella notte oscura! Attira coloro che sono perduti. Riscalda chi ha freddo. Cristo è la luce del mondo, lui che ha detto: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso” (Lc 12,49). Lo stesso Cristo ha detto: “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). La troverà nelle nostre terre, di antichissima evangelizzazione?
Il nuovo Papa Francesco ha raccolto il testimone della nuova evangelizzazione da Benedetto XVI. I suoi gesti e le sue parole vanno riscontrando una simpatia e un entusiasmo che lasciano ben sperare. Purché, noi figli della Chiesa, ci decidiamo a rimettere mano a una radicale inversione ad U della direzione del nostro cammino, e non ci limitiamo a dire: W il Papa!
Rimini, Basilica Cattedrale, 30 marzo 2013
+ Francesco Lambiasi