Omelia tenuta dal Vescovo nella festa di santa Chiara
Intercettare il segreto della santità di una vita come quella di Chiara di Favarone come pure di Francesco di Pietro di Bernardone non è né semplice né affatto facile. Ma neppure impossibile. Purché partiamo da due premesse imprescindibili. La prima. Un santo cristiano non è come un eroe greco. L’eroe della Grecia classica è uno che “si-fa-da-sé”, a forza di sforzi titanici – appunto ‘eroici’ – e a prezzo di immani fatiche e di mirabolanti conquiste. Per una santa o un santo invece il primo verbo della sua vita non è il verbo fare e sinonimi: agire, produrre, raggiungere mete proibitive o perseguire traguardi umanamente impossibili. Il primo verbo di un santo è piuttosto il verbo ricevere e similari: accogliere, accettare, ospitare. In altre parole la santità cristiana non la possiamo produrre, ma solo ricevere. Una seconda premessa: in fatto di santità occorre tener presente che tutti i santi rassomigliano a Gesù Cristo, ma nessun santo è la fotocopia di un altro. Non c’è dubbio che la grande Teresa d’Avila, la piccola Teresa di Lisieux, l’intrepida Teresa di Calcutta rassomiglino tutt’e tre a Gesù, ma nessuna di loro rassomiglia alle altre due. Pertanto, se vogliamo cogliere il segreto della santità di Chiara, dobbiamo da una parte vederla specchiata nella santità di Gesù, dall’altra dobbiamo inquadrarla nella sua unica, singolare, irripetibile umanità. Cioè nella sua tipica, concreta e specifica forma di vita.
1. Per troppo tempo Chiara la si è guardata attraverso lenti sfocate e deformanti, riducendola ad una pallida ombra del suo più famoso concittadino. Non fu così, e basti a dimostrarlo la tenace determinazione con cui lei attuò le proprie scelte di vita: a partire dalla sua fuga nottetempo dalla casa paterna, per poi intraprendere, libera e tenace, una via del tutto inedita, alla sequela di Cristo.
La storia della figlia di Ortolana era cominciata con quel gesto border-line, compiuto da Francesco quando, trascinato in giudizio dal padre davanti al vescovo Guido, aveva restituito soldi e vestiti a messer Pietro di Bernardone, rimanendo nudo sulla affollatissima piazza del vescovado. Certamente lo scalpore prodotto da quel ‘colpo di testa’, a dir poco spiazzante, deve essere penetrato dentro le mura della casa di Chiara, allora dodici-tredicenne, peraltro non distante dalla cattedrale di san Rufino. Ma di Francesco e delle sue gesta si dev’essere continuato a parlare nell’ambiente familiare di Chiara. In effetti altri giovani, anch’essi appartenenti alla buona società assisana, erano corsi dietro al figlio del ricco mercante, fornendo ulteriore, succosa materia alle cronache, alle chiacchiere pettegole, ai sussurri bisbigliati e alle alte grida cittadine.
Qualche anno dopo Chiara ormai diciottenne, mentre i parenti facevano pressioni perché una ragazza bella, ricca e nobile come lei, si decidesse ad accettare una delle non poche, allettanti proposte di matrimonio, la giovane invece cercava di entrare in contatto con Francesco, ma sempre in gran segreto, per non venire adocchiata dai parenti. Secondo la testimonianza di Bona di Guelfuccio, in quei colloqui del tutto riservati, Francesco “sempre le predicava che se convertisse ad Iesu Cristo” (FF 3125). Una conversione come rovesciamento di valori. Non si trattava però di una conversione ai poveri e neppure alla povertà. Del resto Francesco stesso non aveva scelto innanzitutto di agire e operare in soccorso ai poveri, ma di farsi uno di loro. Da una condizione privilegiata e invidiabile, Francesco era sceso allo status dei minores della società. Si era abbassato alla condizione di chi era senza condizione. Perché Cristo, “da ricco che era, si è fatto povero, per farci diventare ricchi con la sua povertà” (2Cor 8,9). Ultimo tra gli ultimi, “pur essendo nella condizione di Dio, (Gesù) svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo” (Fil 2,6-11). Molti anni più tardi, scrivendo ad Agnese di Praga, Chiara dichiarerà: “Quando venne nel grembo verginale (Gesù) volle apparire nel mondo disprezzato, bisognoso e povero” (FF 2865). E inviterà la principessa ceca a seguire il Maestro di Nazareth, facendosi lei stessa “per lui spregevole in questo mondo” (FF 2879). E nel suo Testamento lascerà scritto che Francesco, considerando che lei e le sue prime compagne non avevano rifiutato “nessuna indigenza, povertà, fatica, tribolazione o ignominia e disprezzo del mondo (…) molto se ne rallegrò nel Signore” (FF 2832).
2. Questo, dunque, il retroterra della scelta di Chiara, tenacemente determinata a seguire le orme di Cristo, sulla traccia della scelta, radicale ed esemplare, compiuta da Francesco. Il resto della vita di Chiara è stata tutta una lotta per rimanere fedele con fermezza incrollabile alla sua prima, originale, inalienabile scelta di vita. Come risulta sia dalla tenace resistenza alle pressioni e alle violente reazioni dello zio Monaldo e dei parenti delusi e infuriati – resistenza e reazioni che si potrebbero formulare con una dichiarazione del tipo: “La vita è mia e ne decido io! Io e nessun altro!” – sia dalla difesa ad oltranza del suo ‘carisma’. Non tanto quello della clausura, quanto piuttosto il carisma della totale, assoluta povertà. Per il riconoscimento di questo carisma evangelico Chiara lottò allo spasimo, fino agli ultimissimi giorni della sua vita. La battaglia, da lei condotta con una tenacia accanita, si concluse con l’approvazione papale il 9 agosto 1253. E il giorno seguente la bolla venne portata in copia a Chiara. Lei se l’accostò alla bocca e teneramente la baciò. Morì il giorno dopo. Pertanto si potrebbe dire che aspettò di morire finché non vide felicemente realizzata la propria totalizzante, insopprimibile, irreversibile aspirazione: “vivere senza appropriarsi di nulla” (FF 2795).
Torniamo ora alla domanda iniziale: quale è stato il segreto di Chiara? Verrebbe da dire, in prima battuta, che sia stato il suo amore per i poveri. E invece dobbiamo ribadire che l’amore per i poveri, è stato per lei il frutto di un amore prioritario e radicale: l’amore per Cristo povero e umile. Ma non possiamo fermarci a questo punto. Dobbiamo risalire ancora più a monte. E questo è possibile, se a nostra volta ci domandiamo: da dove è scaturito in Chiara quell’amore tanto folle e altrettanto ardente per il Cristo povero e umile? E non troveremmo altra spiegazione che questa: alla scuola di Francesco, Chiara si è sentita amata dal Cristo povero e crocifisso e ha visto che per lei non c’era altro modo per rispondere a tanto amore che ricambiarlo con un amore altrettanto folle e ardente per i poveri.
Ecco il segreto di Chiara: non prima di tutto il suo amore per Cristo, ma l’amore di Cristo per lei. “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,19). Ma questo non è anche il segreto della nostra vita, Sorelle e Fratelli tutti? Mentre preparavo questa omelia mi si affacciava alle soglie del cuore l’immagine di Sandra Sabattini, che verrà prossimamente beatificata come “la santa della porta accanto”. A 17 anni, al termine di un tempo di deserto e di preghiera, sul punto di fare la sua scelta di vita, ecco che cosa ha lasciato scritto nel suo Diario: “Dunque, ora si tratta di scegliere. Ma cosa? Dire: sì, Signore, scelgo i più poveri. Ora è troppo facile, non serve a niente, se poi quando esco è tutto come prima. No, dico: scelgo Te (Gesù) e basta”. Sandra ha scelto di amare Gesù nei poveri, perché anche lei, come Chiara di Assisi si è sentita perdutamente, follemente amata da Gesù povero e servo.
Chiediamoci onestamente: a che punto siamo noi con questa scelta che ogni vera discepola o discepolo appassionatamente innamorato di Gesù non può non compiere?
Rimini, Chiesa di san Bernardino, 11 agosto 2021
+ Francesco Lambiasi