Omelia tenuta dal Vescovo per la consacrazione nell’Ordine delle Vedove di Eleonora Foggiato, Luana Galluzzi, Margherita Monesi, Eleonora Placucci
Sorelle carissime, che state per essere consacrate nell’Ordine delle Vedove!
Tra le scintille multiple sprizzate dal roveto ardente della parola di Dio che stiamo celebrando, vorrei coglierne alcune, che sono scoccate dalla seconda lettura, tratta dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (3,8-14). In premessa ricordo che il brano paolino poteva benissimo essere sostituito da un’altra pagina del Nuovo Testamento da voi eventualmente ritenuta più adatta alla celebrazione in corso. Voi invece avete preferito mantenere la sequenza delle letture prevista per questa V domenica di Quaresima dell’Anno C. Ritengo che la vostra scelta sia stata motivata dal fatto che nel grappolo di quei pochi versetti vi è risultato più facile vedere specchiata la vostra vocazione, percepire intercettata la storia singolare del vostro cammino, constatare fedelmente interpretato l’ardore dell’appassionante ideale che vi brucia in cuore.
1. Voi l’avete sperimentato. All’inizio della vostra vocazione non c’è stata la scoperta di un certo numero di verità eterne, né l’attrazione fatale per una pur nobile utopia, né la decisione etica di conformare il vostro comportamento a una serie di grandi, ma astratti valori morali. Nulla di teorico e di volontaristico. Nulla di libresco e di scolastico. Tutto è partito da una esperienza viva, reale, concreta, perfino ‘databile’: la fortissima, indimenticabile esperienza dell’incontro personale con la persona di Gesù. Non poteva essere diversamente. Infatti se il cristianesimo non è primariamente una dottrina, ma una persona, Gesù Cristo, ne consegue che il rapporto d’amore con lui è l’avvenimento decisivo della nostra vita, la sorgente esuberante di ogni sequela, la condizione stessa della sua possibilità. Rovesciare questo ordine e mettere le dottrine e i precetti del Vangelo prima della scoperta di Gesù, sarebbe come mettere, in un treno, le carrozze davanti alla locomotiva che deve trainarle. Neanche la memoria del cosiddetto Gesù della storia – la memoria della figura di Gesù ricostruita dalla scienza storiografica – ma solo l’incontro effettivo con il Cristo della fede, presente e realmente vivente è ciò che apre la strada del cuore all’accettazione di tutto il resto, anche della Chiesa, e di tutto ciò che dalla Chiesa viene fedelmente tramandato, rettamente insegnato, autorevolmente comandato. In effetti non è sull’autorità della Chiesa che si accetta Gesù. Ma è sull’autorità di Gesù che si accetta, si ama e si segue la Chiesa. Gesù in persona è il centro focale della fede cristiana. E’ il solido baricentro dell’edificio ecclesiale. E’ l’imprescindibile punto dal quale sempre si deve ripartire e al quale sempre si deve ritornare. Gesù in persona è il nucleo incandescente del messaggio cristiano, il gigantesco segreto della nostra missione. Tutto sta o cade nella misura in cui sta o cade la roccia di fondamento della fede: Gesù Cristo.
Questo battere e ribattere sull’importanza dell’incontro con Cristo non è che la traduzione, sul piano spirituale e pastorale, di un dogma centrale del cristianesimo: Gesù Cristo è una persona. La Chiesa, nei primi concili, ha concentrato l’essenziale della nostra fede in una affermazione semplice e sintetica. Gesù Cristo, Figlio di Dio e figlio di Maria, è una sola persona, in due nature: è veramente e perfettamente uomo, veramente e perfettamente Dio.
2. Sul piano della vita vissuta ciò significa che non è possibile una conoscenza impersonale della persona di Cristo. Se Cristo non è un personaggio, ma una persona – unica, singolare, irripetibile, divina – allora non si scappa: la persona di Gesù si può conoscere solo di… persona! Per convincersene, basta riandare al racconto del più celebre incontro personale con il Cristo risorto che mai sia potuto accadere sotto il cielo, quello dell’apostolo Paolo. “Saulo, Saulo… Chi sei o Signore? Io sono Gesù”. Ed ecco, proprio nella pagina della seconda lettura che ci è stata appena proclamata, come Paolo stesso descrive l’incontro che divise in due parti la sua vita:
Tutto è una perdita di fronte al vantaggio di conoscere Gesù Cristo, il mio Signore. Per lui ho rifiutato tutto questo come cose da buttar via per guadagnare Cristo, per essere unito a lui nella salvezza. Questa salvezza non viene dall’ubbidienza alla Legge, ma si ottiene per mezzo della fede in Cristo, e Dio la dà a coloro che credono. Voglio solo conoscere Cristo e la potenza della sua risurrezione. Voglio soffrire e morire in comunione con lui, nella speranza di giungere anch’io alla risurrezione dei morti (Fil 3,8-10, TILC).
Come si vede, il confronto è netto: da una parte c’è Cristo, e a 180 gradi c’è tutto il resto che, nelle varie traduzioni viene reso con parole come ‘spazzatura’, ‘immondizia’, ‘robaccia’ da buttar via, ma che Paolo non si schifa di definire letteralmente con una parola dall’odore nauseante: ‘sterco’. Questo significa “la sublime conoscenza di Cristo”. Significa che io riconosco Gesù come mio Signore, come mio tesoro, mio centro e baricentro, mio senso e significato di vita, mia ragion d‘essere, mio bene supremo, unico scopo della mia vita. Come mia gioia, mio orgoglio, mia legge, mio leader, mio ideale, mio Salvatore. In una parola, riconosco Gesù come mio tutto.
Permettetemi ora una confidenza personale. Prima come studente e poi come insegnante, il ramo della teologia che più mi ha sempre appassionato è stato quello che da sempre ho considerato come l’architrave della teologia: la cristologia. Per questo ho letto libri su libri su Gesù. Ho studiato trattati su trattati su Gesù. Ho perfino avuto la faccia tosta di scrivere articoli e saggi vari sull’esistenza storica di Gesù, sui suoi miracoli, sulle sue parabole. Ma alla fine ho dovuto arrendermi: io conoscevo, sì, idee su Gesù, dottrine su Gesù, eresie su Gesù, al punto da illudermi di credere che conoscevo quasi tutto sulla persona di Gesù. Ma io non conoscevo Gesù in persona!
3. Qual è allora la via più breve e più sicura per conoscere il vero Gesù? E’ la via dell’amore. Un amore che non è il prodotto dei nostri muscoli, ma il frutto della nostra fede. La fede nell’amore di Gesù per noi: l’amore più grande, fino a dare la sua vita per tutti e per ciascuno di noi, perché lui ci ha amati per primo. Solo la fede nell’amore di Gesù per te, genera in te la risposta del tuo amore per lui. In fondo è vero che la fede è un grande amore. La relazione ‘uno-a-uno’ con Gesù diventa il fondamento di una vita nuova. L’incontro intimo, esclusivo, totalizzante con la sua persona vi rende innamorate e felici. Innamorarsi di Cristo per poi far innamorare di lui molti altri: questo è il vostro sogno. Che sia anche la vostra vita. E’ anche il nostro augurio. E la nostra preghiera. “Ma voi fateci vedere la vostra gioia!” (cf Is 66,5). Fateci vedere il miracolo dei miracoli: la vostra gioia!
Rimini, Basilica Cattedrale, 7 aprile 2019
+ Francesco Lambiasi