Omelia nella Messa di Mezzanotte
La notizia più bella e più scandalosa, la più commovente e più scioccante: Dio si è fatto uomo. L’Immenso si è fatto abbracciare. L’Onnipotente si è fatto impotente. L’Infinito, finito. L’Invisibile, palpabile. Il Tutto si è fatto frammento, l’Irraggiungibile avvicinabile e perfino vulnerabile. Non è una tiritera di paradossi metafisici. E’ il messaggio centrale dell’evento del Natale.
Dio poteva starsene felice e beato nel suo cielo, pienamente soddisfatto di quanto aveva creato. Ma quando ha dovuto prendere atto del disastro combinato dalle sue creature che avevano rovinato tutto il suo piano di creazione, non le ha scaricate dicendo: “Arrangiatevi”. Niente affatto, ha continuato a scomodarsi, prendendosi pena per tutti i suoi figli. Dapprima ha mandato patriarchi e profeti, poi alla fine si è impegnato in prima persona e ha deciso di giocarsi il suo bene più caro, la vita del suo unico Figlio, il primogenito, il prediletto. Gli ha detto: Va’ e riporta la pace a questi miei figli, smarriti e curvi nell’ombra tenebrosa della paura. Non hanno ancora capito perché sono stati creati e qual è la loro destinazione. Fanno gli spiritosi. Credono di sapere tutto, si illudono di poter fare di testa loro. Va’, Figlio mio amato, riportameli a casa questi tuoi fratelli scapestrati: non vedo l’ora di riabbracciarli.
1. Il Bambino di Betlemme ci libera dalla paura e dal peccato.
Fratelli e sorelle, c’è molta solennità nel racconto appena proclamato: si parla di luce avvolgente e di cori d’angeli; tuttavia il punto centrale, su cui l’evangelista Luca fissa l’attenzione, è la povertà del bambino: “Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”. Questa annotazione viene ripetuta tre volte, come a scandire l’intero racconto. In questo contrasto tra gloria e povertà, in questo inestricabile impasto di profumo d’incenso e odore di stalla è racchiuso il mistero di Gesù. Senza la gloria non capiremmo che quel bambino povero è il Signore. Senza la povertà del bambino non capiremmo che la gloria del vero Dio è diversa dalla gloria che l’uomo sogna. La meraviglia è che ad essere proclamato Salvatore, Messia e Signore – i tre titoli fondamentali che esprimono la fede cristiana in Gesù di Nazaret – è un bambino povero, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia.
Così Dio ha amato il mondo, fino al punto da dare il suo Figlio unigenito! E così Dio risponde alla domanda sul male nel mondo: mandando suo Figlio a condividerlo e a liberarcene. Il mistero del Natale ci aiuta a rispondere alle domande più pungenti del nostro povero cuore: perché il male? perché il dolore? perché l’errore? perché la morte?
Il bambino Gesù è venuto a liberarci dalla paura. La paura è la nostra condizione esistenziale, e ci accompagna dall’infanzia alla morte. Il bambino ha paura del buio e dell’abbandono; l’adolescente ha paura dell’altro sesso e si aggroviglia in sensi di colpa e complessi di inferiorità; l’adulto sperimenta l’angoscia della realtà, l’assillo del futuro; l’anziano ha paura della malattia e della morte. Ed è proprio la paura della morte la madre di tutte le paure. Leggiamo nella Lettera agli Ebrei: Cristo è venuto “per liberare quelli che, per paura della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Ebr 2,15). Ecco, Gesù è venuto a dirci che Dio è l’Emmanuele, il Dio-con-noi, e se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? “Noi non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma abbiamo ricevuto uno spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!” (cfr Rm 8,15). Se è vero che la paura si supera solo se si riesce a sfondare il cerchio asfissiante della solitudine e ci si apre all’appoggio di una forte e dolce compagnia, allora la fede ci garantisce che contro l’esondare della paura non c’è diga più solida, non c’è argine più insormontabile che la certezza della compagnia di un Dio che ci ama perdutamente e potentemente: “Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Rm 8,28). Nella notte di Natale, ai pastori tramortiti dai lampi della gloria divina, l’angelo raccomanda di “non avere paura”, ma di accogliere l’annuncio di una grande gioia. Il vero ‘solvente’ della paura è questo Dio che si è fatto solidale con gli uomini; è questo Bambino che nella sua sofferenza umana rivela e contagia tutta la com-passione divina.
Il bambino Gesù è venuto a liberarci dal peccato: dopo aver sedotto l’uomo appena creato da Dio, l’antico serpente ha battuto in ritirata, ma non senza aver prima deposto nel cuore di Adamo e della sua discendenza le ‘uova’ velenose, da cui si sarebbero ben presto dischiuse le larve malefiche dei mali e dei vizi capitali. Il punto di partenza di ogni esilio di Dio dalla nostra vita è la pretesa di sfrattarlo dal nostro cuore e di rimpiazzarlo con sua maestà il mio Io, non volendo riconoscere il limite e la fragilità della nostra umana creaturalità. Tutti gli altri vizi ne sono derive ineluttabili: volere avere tutto per sé (invidia), non dare nulla agli altri (avarizia), usare gli altri per il proprio piacere (lussuria). E la rassegna potrebbe continuare.
2. Il bambino Gesù ci libera dall’errore e dal dolore.
Il bambino Gesù è venuto a liberarci dall’errore. Un’altra fonte di schiavitù per gli umani è la menzogna, è la falsa visione della realtà, della vita, della storia. Il miraggio della falsità è lo sfregio di satana, il “padre della menzogna” (Gv 8,44), contro quel lembo di umanità che è in ogni figlio di Eva. Senza la luce della stella di Natale rischiamo di sbandare nella ricerca della verità e finiamo per ritrovarci sommersi dalla fanghiglia melmosa della falsità. Oggi è proprio la bandiera della falsità ad essere sventolata da ogni dove: falsità antropologica circa la verità dell’uomo, del suo destino, ottenuta con la manipolazione dei dati della sua carta di identità; falsità teologica, con la distorsione dell’immagine di Dio da padre in padrone spietato e implacabile, scambiato con un Giove bizzarro e crudele o con una divinità gelida, latitante, da rabbrividire; falsità morale, che chiama bene il male e male il bene e colloca sistematicamente le scelte etiche al di là del bene e del male; falsità storica nella presentazione della Chiesa, delle sue radici e dei suoi frutti, delle sue intenzioni e delle sue opere.
Il bambino Gesù è venuto a liberarci dal dolore. Davanti al presepe noi possiamo affermare che Dio può e vuole vincere il male, e lo vincerà. Il male fisico, come cataclismi naturali, e il male morale, come catastrofi sociali, tragedie familiari, peccati personali. Ma ecco l’inimmaginabile sorpresa: Dio ha scelto di vincere il male, non bypassandolo con la sua trascendenza né sbaragliandolo con la sua irresistibile onnipotenza, ma prendendolo su di sé e trasformandolo dall’interno in un bene più certo e più grande; trasmutando – con l’insipiente sapienza della croce – l’odio in amore, la violenza in mitezza, l’ingiustizia in giustizia, l’angoscia in speranza. Ha fatto quello che chiede a noi di fare, quando dice nella Scrittura: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12,21). L’amore di Dio non mi protegge da ogni sofferenza. Mi protegge però in ogni sofferenza.
3. Gesù è venuto a liberarci dall’angoscia e dalla disperazione.
Il bambino Gesù è venuto a liberarci dall’angoscia. Per quanto possa essere disastrata la nostra esistenza, per quanto disgraziato possa risultare il nostro comportamento, per quanto il nostro cuore possa apparire marcio e inquinato, “Dio è sempre più grande del nostro cuore” (cfr 1Gv 3,20). Non c’è colpa che non possa essere perdonata, non c’è tormento che non possa risultare pacificato, non ci sono ‘cocci’ che non possano venire riplasmati, non ci sono ‘strappi’ che non possano essere ricuciti. “Dove abbondò il peccato, sovrabbonda la grazia” (cfr Rm 5,20). Ecco la parola squillante del Natale: grazia. “E’ apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (II lettura).
Infine, se l’angoscia è l’anticamera della disperazione, il bambino Gesù è venuto a liberarci anche dalla disperazione. Con l’incarnazione di Cristo è avvenuto che l’eternità è entrata nella storia. Il piccolo neonato di Betlemme ha cominciato la sua corsa contro il tempo, un tempo che per lui finirà con la morte in croce, ma che sfocerà nell’eternità con la risurrezione. Il Natale non è meno indispensabile per la speranza cristiana di quanto lo sia la Pasqua. Altri uomini sono morti e risuscitati secondo la Bibbia, ma non hanno acceso nessuna speranza di risurrezione. Se questo è avvenuto con Cristo è perché la sua non era la morte e risurrezione di un uomo qualsiasi, ma quella di un uomo-Dio. Il significato universale della morte di Cristo si fonda sull’incarnazione: “La speranza del cristianesimo è l’eternità, e Cristo è la via; il suo abbassamento è la via, ma anche quando ascende al cielo egli è la via” (Kierkegaard). Abbassamento ed esaltazione, cioè Natale e Pasqua, insieme costituiscono la ‘via’.
Permettetemi ora, fratelli e sorelle, solo una ultimissima parola per rispondere alla domanda: ma in che modo Cristo ci ha liberati dalla paura e dal peccato, dall’errore e dal dolore, dall’angoscia e dalla disperazione? Penso che non ci sia risposta più vera ed efficace di quella di s. Paolo: “Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9). Ecco come Cristo ci ha salvati e liberati: ci ha salvati dalla schiavitù della ricchezza con la sua povertà, dalla sete del potere con la sua umiltà, dai nostri deliri di onnipotenza con la sua impotenza, dalla brama di strumentalizzare Dio con l’abbandono nelle sue mani amorevoli di Padre grande e buono. Questo è il ‘vangelo’ del Natale: il bambino Gesù “pur essendo Dio, non ritenne un privilegio la sua uguaglianza con Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo (…) perché nel nome di Gesù ogni lingua proclami: ‘Gesù Cristo è Signore!’, a gloria di Dio Padre”.
Rimini, Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2012
+ Francesco Lambiasi