“Ne uscì sangue ed acqua”
C’è un dettaglio nel racconto della passione secondo Giovanni, un particolare che a prima vista ci potrebbe apparire irrilevante, ma sul quale l’evangelista sembra fare di tutto per attirare la nostra attenzione. E’ il particolare della fuoriuscita dal fianco del Crocifisso di un fiotto di sangue ed acqua. Per esprimere il fatto, a Giovanni basta un versetto: “Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua”. L’evangelista insiste molto su questo fatto: non spiega il simbolismo del sangue e dell’acqua, ma ne fa oggetto di una testimonianza solenne: “Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate”. Ancora una volta l’evangelista Giovanni non si ferma al nudo dato di cronaca, ma lo interpreta come una freccia direzionale che indica di andare oltre, per coglierne il senso profondo.
1. Alla radice del brano c’è l’evocazione storica della prassi di eutanasia che i soldati applicavano ai crocifissi: spezzando gli arti inferiori, si accelerava il soffocamento e la fine del disgraziato. Su Gesù, già spirato, i soldati romani infieriscono con questa specie di brutale constatazione di decesso. L’acqua e il sangue del pericardio – o forse, secondo la tradizione popolare i due composti fondamentali dell’organismo umano, sangue ed acqua – assurgono ora a simbolo. E Giovanni ne spiega il valore religioso attraverso due citazioni bibliche. La prima è un ovvio riferimento all’agnello pasquale, le cui ossa dovevano restare intatte (Esodo 12,10). Giovanni vede in questo fatto di ‘cronaca’ un significato più profondo. Gesù, morto alla vigilia di Pasqua, è il vero agnello pasquale, che ora è al centro della Pasqua cristiana.
La citazione successiva è desunta dal libro del profeta Zaccaria e non si ferma alle poche parole citate, ma vuole alludere a una pagina intera, secondo la tecnica di citazione orientale. In quella pagina (Zc 12,10-13,1) tutto il popolo d’Israele si converte contemplando un uomo sacrificatosi per gli altri. Ma si aggiunge anche l’evocazione dell’acqua che sgorgava dal lato del tempio e che si irradiava idealmente per tutto il deserto di Giuda fecondandolo. L’evangelista vede quest’acqua fecondatrice presente ora proprio nell’acqua del costato di Cristo.
Questa parola di Zaccaria spinge ad andare più in profondità. Un primo grado di questo processo di penetrazione lo troviamo nella Prima Lettera di Giovanni, che riprende con vigore il discorso dell’acqua e del sangue usciti dal costato di Gesù: “Egli è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è verità. Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi” (5,6ss). Ma che cosa simboleggia il sangue e cosa l’acqua? Il sangue indica la vita quando circola nel corpo, e quando è versato è segno di morte. Questo sangue effuso indica tutta la vita del Figlio, che sia in vita che in morte è stata tutta offerta al Padre, per la salvezza dei fratelli, fino al dono di sé sulla croce. In questo sangue donato e versato è racchiuso il mistero di Gesù, fino alla ‘ora’ suprema, in cui tutto è compiuto: il Figlio ha amato il Padre e i fratelli oltre ogni limite, oltre la morte. L’acqua è il simbolo di quello Spirito, di cui Gesù stesso aveva parlato “nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa (delle tende), quando Gesù, ritto in piedi, gridò: Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Commenta l’evangelista Giovanni: “Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato” (7,37-39).
Ma dobbiamo spingerci ancora oltre. In una delle sue Catechesi, san Giovanni Crisostomo, spiegava così il passo della trasfissione del costato: “Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero: ho detto che quell’acqua e quel sangue sono simbolo l’una del battesimo, l’altro dell’eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo per mezzo del battesimo e dell’eucaristia. E i simboli del battesimo e dell’eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva” (Catech. 3,13-19). Come dal fianco di Adamo addormentato esce Eva, così dal fianco del ‘nuovo Adamo’ addormentato nasce la sposa. L’umanità nuova, che risponde all’amore con l’amore, nasce dalla ferita d’amore di un Dio trafitto.
Ecco i tre grandi doni che ci vengono dalla croce di Gesù: lo Spirito Santo, la Chiesa, la vita sacramentale. E’ per questo che noi tra poco saremo invitati a venerare la Croce. In passato la devozione della dei cristiani verso la Croce si esprimeva in pratiche penitenziali – pensiamo alla Via Crucis, in meditazione della passione del Signore. Tutto questo è giusto e salutare, e faremo bene a non trascurarlo in nome, magari di una pietà che si ritiene più ‘illuminata’.
2. Ma c’è da fare un grosso passo avanti. Il Crocifisso sul quale noi appuntiamo lo sguardo non esiste più in verità. Quello della Croce fu un evento della vita di Gesù, un atto che è accaduto nel tempo, quindi finito con la morte. Ma ora Cristo ‘esiste’ nella gloria, come Crocifisso-Risorto. Lo fece capire l’angelo alle donne, il giorno di Pasqua: “So che cercate Gesù Nazareno, il crocifisso; ebbene, non c’è più, è risorto” (Mc 16,6). Quello che noi incontriamo oggi nella celebrazione della passione del Signore, nella comunione eucaristica, è il Cristo Signore.
Ma questa celebrazione non può rimanere chiusa in se stessa. Perché Gesù – e qui sta il vero mistero – è ancora tra noi crocifisso. E ci resterà per sempre; ci sarà sempre un crocifisso, cioè un essere che soffre sulla croce, fino alla fine del mondo. Chi è e dov’è, perché noi possiamo andare ad abbracciarlo e quasi a schiodarlo dalla croce? E’ Gesù stesso, ma nei suoi poveri, nelle sue membra sofferenti, abbandonate, oppresse. Questo è oggi, il crocifisso che esiste attualmente: è il Cristo totale, Capo e corpo, e se il Capo è già risorto ed è “nella gloria del Padre”, il corpo, invece, è ancora sulla croce.
In uno scritto anonimo tra i più antichi del cristianesimo – del II secolo – si legge: “Noi dobbiamo vegliare, fratelli, perché Lui è in prigione per noi anche in questo momento; è nelle tombe, nei ceppi, nelle carceri, tra le offese e sotto processo; in breve è in tutti noi – ci si riferiva ai martiri del tempo delle persecuzioni ancora in corso – perché con quelli che soffrono, soffre anche Lui” (Atti di Giovanni).
Allora, come si esprimerà la nostra devozione alla Croce? Certo, con il bacio dell’adorazione, che però non è semplicemente un gesto devoto, ma l’incontro con colui che ci ha amati fino alla fine. Ancora di più si esprimerà con la comunione eucaristica. Ma allora dobbiamo tenere presenti le parole molto forti di s. Agostino, il quale immagina un dialogo tra Gesù e un cristiano, pieno di venerazione per Cristo: lo esalta, lo bacia, adorna il suo altare, ma non si accorge dei fratelli che ha intorno a sé, non fa nulla per essi, anzi contribuisce a farli soffrire. A quel cristiano, un cristiano che potrebbe essere ognuno di noi, Gesù dice: “Che fai? Tu ti dai da fare per baciarmi il capo e non ti accorgi che mi stai calpestando i piedi con scarpe chiodate”. I piedi di Gesù Cristo sono le membra sofferenti del suo corpo mistico, i suoi fratelli poveri, malati, emarginati, perseguitati, dei quali un giorno dirà: “Tutto quello che avete fatto a questi miei fratelli, lo avete fatto a me”, sia in bene che in male.
Con quale coerenza noi cristiani rivendichiamo la presenza del crocifisso nelle scuole, se poi non lo riconosciamo, non lo abbracciamo, non lo soccorriamo nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli crocifissi, disseminati lungo i sentieri della vita? Quale testimonianza diamo a quanti vengono a visitarci in casa, se vedono che noi abbiamo appeso a qualche parete un crocifisso di legno o di plastica, ma poi non sappiamo riconoscere il Cristo crocifisso nei tanti crocifissi in carne ed ossa che ci sono attorno noi?
Rimini, Basilica Cattedrale, 29 marzo 2013
+ Francesco Lambiasi