Omelia tenuta dal Vescovo nella Messa del Giorno
Il Natale è una novità che non sfiorisce mai. Se siamo qui, fratelli e sorelle, è perché non ci siamo ancora sottratti all’irresistibile incanto della sua bellezza. Appena poco fa il prologo del vangelo di Giovanni ci ha trasportati, con un vertiginoso colpo d’ala, sopra lo spazio e oltre il tempo, sulla soglia della resistenza e della resa, fino a raggiungere il principio senza principio, per dirci chi è il piccolo Bambino del presepe. Non è un bambolotto da vezzeggiare. Non è il simbolo dolciastro di un cocktail di buoni sentimenti, a basso prezzo. E’ la Parola fatta carne. E’ la Vita che tiene in vita l’universo e l’umanità tutta. E’ la Luce che fa luce all’incerto cammino di ogni uomo che viene nel mondo.
1. La rivelazione cosmica
Nell’inno al Verbo incarnato l’evangelista Giovanni ripercorre le tre tappe della rivelazione di Dio. La prima automanifestazione divina avviene attraverso la creazione. Dio, fonte della vita, ha dato origine all’universo non per aumentare la sua gloria, ma per effondere il suo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della sua luce. Ma, spingendo lo sguardo fin dentro la vita trinitaria, Giovanni osa affermare che Cristo salvatore era già presente nella creazione: “tutto è stato fatto per mezzo di lui”. Ma che cosa rivela Dio di sé attraverso l’incessante annuncio dei cieli e dei mondi? Anzitutto l’esistenza: il Signore c’è. E’ una presenza calda, vicina, misericordiosa. Il firmamento è un roveto ardente dal quale Dio continua ad annunciare il suo nome proprio: IHWH, “Io ci sono”.
Ma i cieli non proclamano solo l’esistenza di Dio: ne affermano anche la gloria, che risplende nella sua sconfinata infinità. La sola Via Lattea contiene non meno di 100 miliardi di stelle. E pensare che i nostri telescopi più potenti possono osservare ben 10 miliardi di galassie simili alla nostra! La stella più remota dista da noi quattordici miliardi di anni luce e, per farci un’idea di cosa questo significhi, basti pensare che il sole – lontano dalla terra quasi 150 milioni di km – impiega poco più otto minuti per far giungere a noi la sua luce. Ma il creato rivela anche l’incantevole bellezza di Dio. Il mare in tempesta o il firmamento punteggiato di stelle in una notte di agosto, il candore di una stella alpina che spunta su un crepaccio, o l’abbaglio di una vetta immacolata che brilla sotto l’azzurro fitto del cielo o lo splendore degli occhi ridenti e fuggitivi di una ragazza non hanno ancora smesso di ‘trasmettere’ su tutta la terra il fascino del santo nome di Dio.
Ma i terremoti, le catastrofi, i cataclismi, non ci dicono nulla di Dio? Certo, ma non ci annunciano un dio neroniano e sanguinario. Le calamità naturali non vanno interpretate come castighi di un dio furioso e implacabile giustiziere, che si apposta dietro una curva per tenderci una rappresaglia e farcela pagare. Tutt’altro, ci parlano della misericordia di Dio, il quale, quando i suoi figli sono minacciati e distrutti, snuda il suo braccio e tende la sua mano. Una mano che mai e poi mai vuole schiacciare. Vuole solo sollevare. Solo salvare.
Ma questa rivelazione cosmica si è conclusa con un fallimento: “Il mondo è stato fatto per mezzo di lui (Cristo), eppure il mondo non lo ha riconosciuto”.
2. La rivelazione profetica
Abbiamo ascoltato dalla Lettera agli Ebrei: “A molte riprese e in molti modi Dio ha parlato nei tempi antichi ai padri per mezzo dei profeti”. E’ la seconda automanifestazione di Dio, la rivelazione profetica. Siamo talmente abituati a dire o a sentir dire “Dio ha parlato”, o “Parola di Dio”, che queste affermazioni non ci fanno più né caldo né freddo. Eppure il Dio della Bibbia è un Dio che parla, non è un Dio muto, come lo sono gli idoli che “hanno bocca e non parlano”, come fanno i divi dai tabelloni della pubblicità. Dio invece ha rotto il silenzio. Parla agli uomini per stabilire un ‘contatto’ ed entrare in comunione con tutti noi. E’ vero: “neanche Dio può stare solo” (Turoldo). Per questo il Signore ha preso l’iniziativa di intrecciare una relazione con noi. Dio si è messo in comunicazione con il popolo ebreo, per arrivare a comunicare con tutti i popoli della terra. E ha scelto Israele non perché fosse il popolo più potente, più colto, più ricco della terra, ma semmai proprio per tutto il contrario (cf Dt 7,7). Ha scelto Israele perché il suo amore di predilezione non va a chi presume di poter esibire titoli di merito, ma a chi ne ha più bisogno. Che un Dio tanto grande, tanto santo, tanto diverso dagli uomini, abbia preso l’iniziativa di rivolgersi a noi per allacciare un legame con noi, è cosa da mozzafiato. Certo, il Dio della rivelazione biblica non è solo il Dio del cosmo, ma il Dio di interventi imprevedibili, di irruzioni impreviste, di visite inattese nella storia umana. E’ un Dio che viene e interviene, che agisce e salva.
Purtroppo anche questa rivelazione ha registrato un drammatico fallimento: Cristo “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11).
3. La rivelazione suprema: l’incarnazione
Ma “all’estremità dei giorni (Dio) ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. In questo passo il Figlio viene definito non ‘immagine’ di Dio – come altrove nel NT – ma sua ‘impronta’. L’immagine viene presa a distanza da chi guarda la persona e cerca di riprodurne i tratti su di un quadro. L’impronta invece viene da un contatto immediato. Il Figlio non è una riproduzione di Dio in lontananza, ma una sua espressione ravvicinata ‘a millimetro zero’. E’ un calco non solo della bontà di Dio, ma della sostanza e dell’essere stesso del Padre. Esclama rapito l’apostolo Giovanni: “Guardate quale grande amore ci ha donato il Padre: ci chiama figli di Dio e lo siamo davvero!” (1Gv 3,1). C’è una nota di stupore, quasi di incredula sorpresa, nelle parole dell’apostolo. Essere figli di Dio non è un puro modo di dire, né una delicata metafora, ma una condizione da prendersi alla lettera (“e lo siamo per davvero!”). Dunque non siamo più né schiavi né orfani, ma figli dolcemente e fortemente amati dal Padre. “A quanti hanno accolto il Figlio, Dio ha fatto un dono: di diventare suoi figlio” (cf Gv 1,12).
Sorelle, fratelli, questo è il messaggio stupefacente del Natale, e questo messaggio è per voi. Ascoltatelo!
Ascoltatelo, anche se siete nella sofferenza o in preda all’angoscia. Anche se state sprofondando nelle sabbie mobili della depressione. Anche se la vostra vita vaga qua e là, fra inconsistenze penose e paurosi testacoda. Anche se dubitate di voi e dei vostri cari. Anche se non sapete più chi siete né dove state andando.
Questa bella notizia è per voi, chiunque voi siate, dovunque vi troviate. Ascoltatela! Riconoscerete la grazia di essere amati. Imparerete ad aprire le mani a conca e ad accogliere ciò che Dio vi dona: una pienezza straripante di grazia su grazia. Alzerete di nuovo il capo, perché la vostra vita riceverà il suo senso, nel segreto della vostra libertà. Respirerete la pace e la gioia che nulla e nessuno al mondo potrà più togliervi. Poiché Gesù, Verbo del Padre, si è incarnato, ha piantato la sua tenda in mezzo a noi. Si poteva accontentare di aiutarci. Ha scelto di salvarci, a costo del suo sangue. Gli poteva bastare di spedirci dei pacchi-viveri o delle confezioni-regalo. No, ha preferito venire di persona, non per essere servito ma per servirci. Gli poteva bastare di darci tanto. Ma ha voluto darsi tutto, pieno di grazia e di verità.
Rimini, Basilica Cattedrale, Natale 2016
+ Francesco Lambiasi