Omelia per il conferimento del lettorato a Massimiliano Pollini
Torniamo al brano della seconda lettura, e prepariamoci a soffrire. No, non vorrei spaventarvi, sorelle e fratelli tutti. Ma permettetemi di dirvi francamente: lasciamoci percuotere dal grido rovente di Paolo: “Guai a me se non annuncio l’Evangelo!” (1Cor 9,16). E’ una esplosione incontenibile, come lo scoppio di un fulmine a ciel sereno. Nei versetti precedenti l’apostolo ci appare esposto a una forte eccitazione, mentre si produce in espressioni a taglio netto. Sembra quasi di udire con le nostre stesse orecchie l’asprezza della voce con cui a questo punto Paolo detta la prima lettera ai cristiani di Corinto. Mentre confessa a chiare note che annunciare l’Evangelo non è per lui un vanto, ma una assorbente necessità. Non è una impresa da lui assunta in proprio, o ingaggiata per propria personale iniziativa, ma un incarico che gli è stato affidato sulla fiducia. Una grazia, un dono formidabile da lui accolto con lieta gratitudine e corrisposto con incondizionata, irreversibile gratuità. Ora vorrei fare mio ad alta voce il grido di san Paolo, percorrendo quattro passaggi.
1. Guai a me! Se non annuncio l’Evangelo, il messaggio cristiano scolorisce e si riduce per me a una mera teoria di astratti valori, per quanto nobili e di alta idealità, quali la pace, la giustizia, la solidarietà, la promozione umana, la salvaguardia dell’ambiente. Mentre invece l’Evangelo non è primariamente l’insegnamento di una dottrina o di una morale. Non è nemmeno l’annuncio di una religione tra le varie. E’ la lieta notizia di un avvenimento, cioè di una realtà che è già in atto e tuttora in corso. E si concentra tutto nella concretezza di una persona: Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, crocifisso, morto, risorto, attualmente vivente, unico Salvatore e Signore di tutti. Gli autentici valori umani sono tutti condivisibili e irrinunciabili, ma non possono essere assolutizzati. Solo se radicati in Cristo, trovano in lui il loro incomparabile e insuperabile fondamento. Perché “chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo” (GS 41).
2. Guai a me! Se non annuncio l’Evangelo, si svigorisce l’appello alla conversione, come proclama all’esordio della sua missione in Galilea lo stesso Gesù: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nell’Evangelo” (Mc 1,15). Gesù non insegna una visione del mondo, ricavata dalla comune esperienza umana. Non propone una costellazione di verità religiose, frutto di riflessioni raffinate e penetranti. Si presenta piuttosto come il messaggero di un avvenimento appena iniziato e tuttora in pieno svolgimento. Il suo, prima di essere un insegnamento, è un annuncio, un grido di gioia: Ecco, viene il regno di Dio! E questo è il grido che dal primo mattino del giorno di Pasqua è rotolato giù dalla collina spelacchiata del Golgota: “E’ risorto”. Senza l’esperienza personale di questo Gesù, “che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20) la strada della conversione diventa praticamente impercorribile.
3. Guai a me! Se non annuncio l’Evangelo, io rischio seriamente di smarrire il ‘nucleo irrinunciabile’ della mia vita cristiana e della mia missione di vescovo. E il fuoco incandescente di quel nucleo è l’evento del Cristo morto e risorto. Di questo evento l’evangelizzazione deve non solo attestare la verità, ma deve anche mostrarne la logica. Non certo quella mondana, ma la logica evangelica. La missione secondo Paolo passa attraverso l’evangelizzazione dei poveri, in senso attivo e passivo: i primi da evangelizzare sono i poveri, ma occorre anche lasciarsi evangelizzare dai poveri. Mostrare la potenza di Dio nella debolezza degli uomini è ciò che la missione deve rendere visibile a tutti. In effetti occorre stare attenti a che le molte cose che coinvolgono la missione non finiscano con il lasciare nel sottofondo ciò che più conta. Dimenticarlo proprio, non credo. Ma supporlo semplicemente, senza ridirlo, questo sì, può succedere.
4. Guai a me! Se non annuncio l’Evangelo in modo evangelico, io finisco per tradire l’Evangelo. Debbo ritornare al passaggio precedente: la scelta preferenziale dei poveri. Questa non è una semplice conseguenza morale che scaturisce dall’Evangelo. Prima che un imperativo etico, è un fatto teologico. Mi spiego. La scelta dei poveri appartiene in primo luogo all’ordine della rivelazione di Dio all’uomo. E solo di conseguenza riguarda la risposta dell’uomo all’autorivelazione di Dio. L’Evangelo non comprende solo l’evento: il fatto che Dio ama l’uomo, ma anche il modo, il come Dio ama e guarda l’uomo. Questa è la lieta notizia. Se Gesù ha frequentato i peccatori, se ha preferito gli ‘scartati, se ha accolto gli esclusi, è perché ha voluto in tal modo rivelare l’autentica immagine di Dio e la natura del suo regno. Se avesse fatto una scelta diversa, avrebbe rivelato un Dio diverso. Pertanto la scelta dei poveri non è un optional pastorale o personale, ma una condizione indispensabile per svolgere il compito primario della Chiesa. Quello, cioè, di mostrare il vero volto del Dio unico e vero.
Caro Massimiliano, stai per ricevere il ministero del lettorato e tra poco sarai istituito lettore per essere a servizio della Parola di Dio. Ti auguriamo che la sacra Scrittura sia per te il collaudato navigatore per il viaggio della vita. Lo scrigno prezioso che immancabilmente ti regali perle luminose di verità e sapienza. La mappa del cielo e della storia per scoprirvi le tracce del Dio vivo e vero. La grammatica di base per non sbagliarti mai sul Padre celeste del Signore Gesù.
Questo ti auguriamo e per questo noi preghiamo
Rimini, Chiesa di s. Maria Maddalena – 14 febbraio 2021
+ Francesco Lambiasi