Figli affascinati dalla Sposa-Madre
L’impagabile fortuna di appartenere alla Chiesa
Omelia su Ap 21,1-3, tenuta dal Vescovo nella Messa per le Aggregazioni Laicali – Cattedrale di Rimini, 26 novembre 2010 –
Nell’immaginario collettivo l’Apocalisse passa come il libro della fine. In realtà è il libro dei nuovi inizi, degli inizi senza più fine. La sequenza proiettata poco fa al nostro sguardo incantato dall’apostolo Giovanni, ci sommerge con una cascata di scintillanti fotogrammi che inquadrano l’aurora della nuova creazione e “riprendono” la discesa regale della Sposa, bella e pronta per lo Sposo:
“E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,1-2).
Lasciamoci abbagliare gli occhi del cuore, lasciamoci rapire i sensi dell’anima da questa visione estasiata, e sostiamo, almeno per qualche frammento di tempo, in ammirata, commossa contemplazione della Chiesa che scende dall’alto, la Sposa incantevole e incontaminata, fatta di cielo, vestita di sole, agghindata di stelle. Ma nessuno di noi può ritenersi appagato per avere avuto il dono di vagheggiare la bellezza raggiante della Vergine-Sposa. Nessuno di noi può rimanere “contento ne’ pensier contemplativi” (Dante), se non proviamo a declinare insieme alcuni “riverberi” esistenziali di tanto splendore. Ecco dunque alcuni fasci di luce che piovono dall’alto ad illuminare e a rendere divina la nostra umana “commedia”.
1. Innanzitutto la visione radiosa del veggente di Patmos ci fa vedere la Chiesa come luce del mondo, sfavillante dello splendore della verità (veritatis splendor). Oggi, delle spinte a inciampare sulla strada viscida dei relativismi e dei problematicismi più esasperati, ne riceviamo fin troppe. Abbiamo piuttosto fame di certezze, più delle vitamine e delle proteine per nutrirci, più dell’ossigeno per respirare. E la Chiesa è “il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento” (Chesterton). E’ “colonna e sostegno della verità”, come leggiamo nella Prima Lettera a Timoteo (3,15): espressione, questa, paradossale e sconcertante. Noi ci saremmo aspettati di sentirci dire piuttosto che è la verità la colonna e il sostegno della Chiesa. E sarebbe stata affermazione logica e del tutto coerente: la verità infatti è signora e non serva, mentre la Chiesa non è la padrona della verità, e non lo può essere “per la contradizion che nol consente” (Dante). Qui però viene affermata un’altra verità a proposito della… verità. Ma “perch’io non proceda troppo chiuso” (Id.), provo a spiegarmi meglio, e arrivo a dire che la verità – quella che riguarda Dio e tutto quello che solo Dio può rivelarci e di fatto ci ha rivelato – ha un recapito sicuro: la Chiesa, che lo stesso versetto paolino prima citato identifica come “la casa di Dio”. Insomma è solo nella Chiesa che posso trovare la verità sulla Chiesa. Infatti se busso alla porta giusta – quella, appunto, della “casa di Dio” – scopro che la Chiesa non è il “palazzo”, la fredda, mastodontica struttura di una istituzione ormai sorpassata e retrograda, ma è realtà viva e dinamica. E quando debbo rispondere alla domanda: ma quand’è che è nata la Chiesa? sono autorizzato a rispondere: oggi. La Chiesa è nata oggi, e dunque non è né vecchia né antiquata, ma è giovane, fresca e vivace:
“La Chiesa è un unico grande movimento animato dallo Spirito Santo, un fiume che attraversa la storia per irrigarla con la grazia di Dio e renderla feconda di vita, di bontà, di bellezza, di giustizia, di pace” (Benedetto XVI).
Sì, dopo duemila anni la Chiesa è giovane, perché non è il prodotto di una, per quanto saggia e solida, organizzazione, ma è generata dall’amore. La Chiesa non è la somma algebrica delle nostre iniziative più o meno riuscite, ma è la sintesi compiuta della santa alleanza tra Cristo e l’umanità redenta. Noi, da soli, potremmo tutt’al più formare una valle sterminata, stracolma di scheletri calcinati, le cui ossa potranno rivivere alla sola condizione di essere rivivificate dal soffio creatore dello Spirito. Perché “dove è lo Spirito, ivi è la Chiesa, e dove è la Chiesa, ivi è lo Spirito e ogni pienezza di grazia” (s. Ireneo). Non possiamo però dimenticare che il concepimento pre-natale della Chiesa è stato un atto di amore drammatico, che si è consumato sulla croce. E’ per questo che il sommo poeta definiva la Chiesa come “la bella Sposa / che (Cristo) s’acquistò con la lancia e coi clavi”. Ma resta pure vero che la Gerusalemme nuova è già presente, anche se la sua piena manifestazione non è ancora avvenuta e l’attendiamo con intensa, impaziente speranza. San Giovanni scrive che ciò che già siamo non è ancora stato manifestato, ma siamo già ora immersi nello splendore della nuova Gerusalemme. Dio ci dà questa grazia, la dà alla Chiesa, che è al di là di tutte le debolezze umane, e la trasfigura in attuazione palpabile, in immagine esuberante e smagliante della nuova Gerusalemme.
Resta però un’ombra sulla figura della Chiesa-Sposa che merita di essere cancellata. Noi gente del terzo Millennio, giustamente allergici alla pur minima, fastidiosa impressione di antifemminismo, ci domandiamo se il simbolismo dell’immagine sponsale della Chiesa non veicoli tracce di una concezione maschilista che privilegia il ruolo dell’uomo su quello della donna. Ma possiamo stare sereni al riguardo. Infatti, se è vero che in tale simbolismo il ruolo di capo è rappresentato dallo sposo e quello subordinato dalla sposa, è però anche vero che la sposa, la Chiesa, rappresenta indistintamente sia gli uomini che le donne. La tradizione nella Chiesa ha sempre identificato le donne consacrate, soprattutto le claustrali, con l’appellativo di “spose del Cristo”, e a giusto titolo e a pieno merito, perché in queste sorelle brilla più evidente la corrispondenza simbolica, ed esse appaiono, anche visivamente, come una epifania trasparente e tangibile della Chiesa sposa. Ma ogni anima fedele, sia di un credente che di una credente, è, teologicamente parlando, sposa di Cristo.
2. Ora però dobbiamo prendere di petto l’obiezione più spinosa: come si fa a parlare di “sposa santa e immacolata” (cfr Ef 5,27). I due millenni di storia della Chiesa sono così zeppi di immondezza e di nauseante “sporcizia”, da richiamarci la terrificante visione di Dante, il quale intravide insediata trionfalmente sul carro della Chiesa la grande meretrice babilonese; e da rendere giustificabili ai nostri occhi le tremende parole di un vescovo parigino del secolo XIII (Guglielmo d’Alvernia), il quale riteneva che chiunque osservasse la depravazione della Chiesa, dovesse impallidire dallo scandalo: “Essa ormai non è più la sposa, bensì un mostro di orrendo aspetto e di selvaggia belluininità”.
Ecco come rispondeva a questa obiezione un santo dei nostri giorni:
“Se amiamo la Chiesa, non sorgerà mai dentro di noi l’interesse morboso di presentare come colpe della Madre le miserie di alcuni suoi figli. La Chiesa, Sposa di Cristo, non ha motivo di intonare il mea culpa. Noi invece sì: questo è il vero meaculpismo, quello personale, e non quello che infierisce contro la Chiesa, indicando ed esagerando i difetti umani che, in questa Madre santa, derivano dalle azioni che vi compiono gli uomini, fin dove gli uomini possono arrivare, ma che non arriveranno mai a distruggere – anzi nemmeno a toccare – quella che è la santità originaria e costruttiva della Chiesa (…) Nostra Madre è santa, perché è nata pura e continuerà a essere senza macchia per l’eternità. Se qualche volta non riusciamo a intravedere la bellezza del suo volto, siamo noi a doverci pulire gli occhi… La nostra Madre è santa, della santità di Cristo, a cui è unita nel corpo – che siamo tutti noi – e nello spirito, che è lo Spirito Santo, che dimora nel cuore di ognuno di noi se ci conserviamo nella grazia di Dio” (Josemaria Escrivà).
Del resto vale la confessione fatta dal giovane Joseph Ratzinger:
“Ve lo confesso apertamente: per me, proprio la ben poco santa santità della Chiesa racchiude in sé qualcosa di infinitamente consolante. Infatti, come non ci si dovrebbe perdere d’animo di fronte a una santità che si presentasse assolutamente incontaminata, agendo su di noi solo con piglio inquisitore e fiato rovente? E chi mai potrebbe affermare di non dover essere sopportato, anzi addirittura sorretto dagli altri?”.
Non resta che concludere questa contemplazione dell’inossidabile rapporto sponsale che lega inseparabilmente Cristo alla Chiesa con la sorprendente dossologia della lettera agli Efesini (3,21), dove i due sposi vengono messi sullo stesso piano, anzi anteponendo addirittura la Chiesa a Cristo. Ma tant’è: quando c’è piena unità tra gli sposi, non ci si litiga per questione di precedenza e non ci si preoccupa troppo dell’ordine in cui citarli:
“A lui (a Dio Padre) la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen”.
Cari Fratelli e Sorelle, appartenenti alle varie Aggregazioni Laicali della nostra Diocesi: continuate a fare di “mille voci, un solo coro” e a cantare che “con Cristo o senza Cristo cambia tutto”. E aiutateci a sviluppare il volto tridimensionale della nostra Chiesa, dilatando l’altezza della santità, la larghezza della carità, lo spessore della radicalità.
+ Francesco Lambiasi