Lettera alle Consacrate e ai Consacrati
Carissime Sorelle, Carissimi Fratelli,
lo so: di questa lettera si poteva benissimo fare a meno. Non è certo la prima volta che mi rivolgo a voi. E poi l’ultima volta che vi ho parlato, non è stato appena l’altro ieri sera, alla messa della Candelora? Del resto, lo deciderete voi, dopo avermi letto, se ne valeva proprio la pena. Comunque, vi dico la verità, quando mi è venuta l’idea di scrivervi, non ce l’ho fatta a resistere, e l’ho buttata giù di getto. Alla fine l’ho riletta e mi son detto: Fosse anche per una sola Sorella o per un solo Fratello, che l’altra sera era assente, forse è il caso di raggiungerli con questo messaggio. E poi, visto che non vengo a fare il doppione dell’omelia tenuta in quella celebrazione, forse questa lettera potrebbe essere utile anche a quanti erano lì presenti. Non solo perché se il contenuto, in fondo, è lo stesso, l’angolazione però è alquanto diversa. Qui vorrei mettere meglio a fuoco la dimensione fraterna della vita consacrata. C’è anche da dire che lo scritto permette ai pensieri di venire “concepiti” – sono dei “concetti”! – dopo un congruo tempo di “gestazione” e di uscire fuori in modo più chiaro e diretto, senza che la lettera – lo spero vivamente – spenga il calore della confidenza e raffreddi la cordialità della comunicazione.
Dunque… mi avete chiesto di parlarvi dei due messaggi che a nome di papa Francesco vi sono stati indirizzati dalla Congregazione per la vita consacrata. Certo, non mi metto a fare la parte di Francesco di Roma; sono solo Francesco di… Rimini. Ritaglio allora una sola parola del Papa – quell’invito caldo e coinvolgente: Rallegratevi! – e ci rifletto un po’ su, ad alta voce, con voi.
Prendiamo l’abbrivio dall’attacco della Gioia del Vangelo:
La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia.
La prassi di Gesù
In particolare vorrei parlarvi della gioia della fraternità. Partiamo dalla prassi di Gesù. Il quale si è scelto un piccolo gruppo – i Dodici – e li ha formati con grande cura, spendendovi tempo e passione, ma al riguardo occorre fare alcuni rapidi rilievi. Primo: la piccola comunità di Gesù non è monocolore; dentro c’è tutto l’arco ‘parlamentare’ ed extra-parlamentare del tempo. Ci sono zeloti, sicari, pubblicani, pescatori, giusti e peccatori. Secondo: Gesù non forma i suoi solo alla comunione, ma li proietta nella missione. Se la sua prima parola è ‘seguitemi’, l’ultima è ‘andate’. E il seguire è già in vista dell’andare. Ma c’è un terzo rilievo – il tratto più sorprendente! – da non oscurare mai: attorno a Gesù non ci sono solo degli uomini, ma anche delle donne, che probabilmente erano più di dodici, dato che dopo averne nominate tre, san Luca aggiunge che ce n’erano “molte altre” (Lc 8,2). Infine: la comunità di Gesù – a differenza di quella del Battista, che stava fisso lungo il Giordano, pendolando su e giù – è itinerante. Gesù non viaggia su due binari, un po’ con i suoi, un po’ con la gente: è sempre con la sua comunità che egli va in missione. E’ sintomatico che nel vangelo di Marco il Maestro non appare mai da solo davanti alle folle, ma sempre con i suoi discepoli. In sintesi, la comunità di Gesù appare ininterrottamente in cammino, in permanente stato di missione. E’ una vera fraternità in missione.
La prima comunità cristiana
Una fraternità in missione: non vi sembra che si trovi qui il profilo a tutto tondo del vostro carisma? Ma vediamo ora una fraternità cristiana allo stato nascente. Al centro di essa non c’è una dottrina, una sofisticata teoria, o un’idea-madre, ma un racconto, una storia, anzi una persona: Gesù di Nazaret, il Crocifisso-Risorto. Questo è il dna del messaggio cristiano, il kerygma. E questa è la conseguenza: se Dio è il Padre di Gesù, allora noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Gesù che ci ha resi figli dello stesso Padre, e quindi siamo tutti fratelli. Allora il “sistema” della società pagana si rovescia e si scompagina: al primo posto non c’è più il privilegio, ma la condivisione; non il merito, ma la solidarietà; non l’individualismo, ma la fraternità. Come risulta dagli Atti degli Apostoli (2,42-47): Gesù risorto ci manda il suo Spirito – è la Pentecoste – e nasce la prima comunità cristiana, fatta di fratelli, i quali
erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.
La forma del Vangelo è la vita fraterna. Il soggetto della comunità cristiana non è il singolo individuo: è il noi, una comunità che vive in comunione. Una fraternità fatta non di perfetti, ma di peccatori, che però puntano sulla misura alta della vita cristiana: la santità. Una comunità che cerca di vivere non in modo angelico, ma… evangelico, e quindi pienamente umano. Una comunità che mostra con fatti di Vangelo che è possibile – è cosa buona e giusta e veramente bella! – vivere a misura di Gesù Cristo e della prima comunità cristiana. Ecco il vostro “albero genealogico”: le vostre comunità discendono dalla prima comunità cristiana di Gerusalemme e ne riproducono radicalmente l’ideale e l’immagine. Di qui consegue che il primato nella vita della comunità non va alle attività e alle “buone azioni”, ma alle relazioni. Le persone vengono prima dei ruoli. Una comunità di vita consacrata è innanzitutto una rete di relazioni fraterne: “Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli”.
La forza missionaria della fraternità
Da una comunità di vita consacrata, in cui si pratica il comandamento dell’amore , si sprigiona una “energia nucleare” non distruttiva, ma di straordinaria forza positiva e propulsiva: è il dinamismo della gioia che attira, sorprende, conquista. Di tutti i miracoli, prodigi e segni, questo è senza dubbio il più ‘scioccante’: persone che non si conoscono, eppure si comprendono e parlano la stessa lingua della carità, mettendo in comune i loro beni. La fraternità è il vero prodigio della Pentecoste, e poiché la Pentecoste è ancora in corso, la fraternità mostra ancora oggi il vero volto della Chiesa. Il “guarda come si vogliono bene” rimane la più sicura e convincente apologetica – la difesa della fede – anche ai nostri tempi. E risulta la prova più tangibile e persuasiva della singolarità del fatto cristiano e della realtà più profonda della Chiesa. L’aveva già detto Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
La fraternità è un dono e un compito. Una benedizione e una responsabilità. Un sogno affidato alla preghiera e un impegno consegnato all’obbedienza. Tendere alla fraternità è un assoluto del cristiano, che trova in essa il ponte di collegamento tra la libertà e l’uguaglianza. L’uguaglianza senza fraternità parte dal dispotismo. La fraternità senza libertà porta all’individualismo. La libertà senza fraternità sfocia nell’affermazione del proprio Io sugli altri. L’uguaglianza senza fraternità conduce alla cancellazione dei doni degli altri.
La fraternità è la via lunga per una convivenza “così bella, così dolce”, perché non si guarda ai limiti degli altri, ma ai propri; non si punta all’accusa degli altri, ma si comincia sempre dall’accusa di sé. La costruzione della fraternità consiste nell’inserire la melodia della propria vita nell’armonia della comunità: “Tante voci, un solo coro”!
La fraternità in questa vita sarà sempre imperfetta, ma sarà anche più che sufficiente per ricevere la rugiada della benedizione del Signore. E sarà proprio la rugiada di questa benedizione a far sbocciare il fiore della gioia nel giardino della comunità.
Persone gioiose che dimenticano i torti, che promuovono le doti dei fratelli e delle sorelle, che sono consapevoli che è “dando che si riceve”, che non badano solo a quello che fanno ma a perché – per chi e come – lo fanno, che si preoccupano di essere dolci e amabili sul modello di Gesù mite e umile di cuore, che sono consapevoli dell’efficacia costruttiva della carità fraterna, che sono convinte che il dono più bello che possono fare alla comunità è l’acquisizione di un buon carattere, che accettano di diminuire perché gli altri crescano, che non si sentono al centro del mondo, che sanno ridere di sé e non fanno tragedie per un piccolo sgarbo o per la minima disattenzione, che non si lasciano rattristare dall’invidia né rodere dalla gelosia, che sono sincere, leali e non desiderano essere sempre i “primi della classe”… queste persone custodiscono il segreto della “perfetta letizia” e con la loro gioia costruiscono la gioia della fraternità.
Fratello, Sorella, ricorda: gioire della gioia di una sorella o di un fratello è l’indicatore infallibile della qualità del tuo amore per il Signore.
E se nella tua comunità manca la gioia, non rattristarti e non lamentarti: raddoppia la tua gioia e donala agli altri. Allora avverrà il miracolo: non solo adulti e anziani, bambini e famiglie, ma perfino i giovani si sentiranno attirati dal profumo della gioia che avvolge la vostra fraternità. Ma se ciò non dovesse avvenire, allora non ci sarà preghiera per le vocazioni che tenga: mi dispiace, ma i giovani non verranno a bussare alla vostra porta e le vocazioni non fioriranno.
Verso la missione diocesana
Carissimi, siamo in cammino verso la missione straordinaria. Custodire e coltivare la fraternità è il primo e più sicuro apporto che voi, persone e comunità di vita consacrata, potete procurare ad una Chiesa, la nostra, che si vuole in stato di missione permanente. In effetti il frutto più prezioso dello Spirito è la costruzione di comunità veramente fraterne, che siano autentiche scuole di comunione e fruttuosi laboratori di missione. La fraternità è il frutto più missionario di tutti. Perché nessuno crederà a un missionario triste, anche se porta buone notizie.
Ho pregato il Signore perché profumi con tutta la dolcezza della sua misericordia la benedizione che nel suo nome, con gioia e con tutto l’affetto di cui sono capace, volentieri vi partecipo.
Rimini, 4 febbraio 2015
+ Francesco Lambiasi