Omelia tenuta dal Vescovo per il Giorno di Natale
Un frammento luminoso e solenne, ma anche una pagina di estrema serietà quella che ci è stata appena proclamata, fratelli e sorelle. Riascoltiamone almeno l’inizio e la fine: “In principio era il Verbo… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Queste parole sono brucianti. Le potremo intendere solo se ce ne faremo raggiungere e ce ne lasceremo colpire al cuore con il messaggio incandescente che contengono. Questo: Dio ci ama, ma non con un amore general generico, bensì con un amore unico, singolare, irripetibile, come unico, singolare, irripetibile è ognuno di noi.
1. Poter diventare figli di Dio!
Nel brano evangelico del Verbo incarnato è incastonata una espressione che in questo anno della fede non ci possiamo lasciare sfuggire: “A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quanti credono nel suo nome (Gv 1,12). Per l’evangelista questo versetto non è meno importante dell’altro: “Il Verbo si fece carne”. Anzi, se il farsi carne per il Verbo rappresenta il mezzo per attuare il piano della salvezza, il fare degli uomini veri figli di Dio mediante la fede costituisce il fine del disegno divino: “Dio si è fatto uomo – dicevano i Padri – perché l’uomo diventasse Dio”.
Andiamo dunque alla scoperta di questo aspetto dell’annuncio natalizio rimasto piuttosto nell’ombra. Un testo che si ascolta spesso nella liturgia del Natale è quello di san Paolo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4). Un terzo testo è quello proclamato nella seconda lettura di questa solenne liturgia: “E’ apparsa la grazia di Dio, che porta la salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11). Questi testi ci annunciano la grande verità, che fra poco professeremo nel Credo, quando ci inginocchieremo per dire: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”.
Questo, fratelli e sorelle, è il cuore palpitante del messaggio del Natale: il fine dell’incarnazione del Figlio di Dio è la nostra salvezza; questa salvezza avviene per grazia; questa grazia si afferra con la fede. Sono tre affermazioni che si possono convogliare nel grido di gioia di san Paolo: “Per grazia siete salvi mediante la fede” (Ef 2,8).
La fede! Per indire il corrente Anno della fede, il Papa ha ripreso l’immagine biblica della porta. La fede è davvero una porta. Una porta inizialmente troppo stretta che si deve dilatare per tutta la vita. Più si allarga, più è quanto si lascia passare, dell’amore di Dio, nella nostra vita. Gesù viene a noi nel Natale, in proporzione di quanto sarà grande la nostra fede. La grazia di Dio è così chiamata perché ci è donata gratis, a prescindere dalle nostre opere e dai nostri presunti meriti, ma è la fede che determina la misura della grazia che si riceve.
La fede ‘natalizia’ è una fede-apertura, una fede-accoglienza: “A quanti lo hanno accolto, cioè a quelli che credono nel suo nome…”. Credere non è meritare, ma accogliere la salvezza. E’ per la fede che si diventa figli di Dio: “A quelli che credono ha dato il potere di diventare figli di Dio”.
2. Un Dio diverso
Il Natale fa cadere il velo dal volto di Dio, e ce lo mostra diverso da come ce lo aspettavamo. Ce lo fa scoprire come il Padre nostro, fortissimo e dolcissimo, onnipotente e benevolo, intimo e immenso. Oggi però la porta della fede si apre su un campo minato da un atroce sospetto: il “sordo rancore” contro Dio è rispuntato tra gli uomini su scala mondiale. Per molti non si ha più diritto di parlare di Dio “Padre” dopo Auschwitz. L’uomo d’oggi non ha solo un “pensiero debole” nei confronti di Dio, ma anche un pensiero ribelle, ostile.
Dov’è il buon Dio? Dov’è Dio? si chiedeva qualcuno ad Auschwitz, mentre i prigionieri assistevano impotenti all’impiccagione di tre loro compagni, tra cui un bambino. “Dietro di me – ricordava lo scrittore ebreo Elie Wiesel, che assisteva all’esecuzione – udii un uomo domandare: Dov’è dunque Dio? e io sentivo in me una voce che gli rispondeva: Dov’è? Eccolo, è appeso lì, a quella forca”.
Dio era là, Dio è sempre là, dove l’uomo lotta, soffre e muore. Dio è sempre là, ma non dalla parte dove noi guardiamo e vorremmo che fosse. Dalla parte dell’onnipotenza, della forza, ma dal lato meno visibile, dal lato fragile. Dio è presente come vittima e nelle vittime. Ecco dov’era Dio. Ecco dov’è. Cristo c’era quel 14 di nisan dell’anno 30, sul Golgotha, faccia a faccia con il male, una volta per tutte e ha vinto. Dio c’era quella notte a Betlemme, quando – nei giorni del censimento di Cesare Augusto – nacque il bambino di Maria di Nazaret.
E’ vero: la Pasqua comincia a Natale, quindi lo sgomento del male e del dolore innocente ci costringe al faccia a faccia con questo Bambino che nasce in una stalla ed è deposto in una mangiatoia. Ascoltiamo il piccolo di Maria, che piange: nel suo pianto intercettiamo il grido di dolore degli innocenti, dei perseguitati, degli ammalati, dei delusi dalla vita, dei poveri di fede e dei poveri di pane, dei senza tetto, dei profughi e dei respinti. Il pianto del Bambino di Betlemme non elimina il chiaroscuro della fede, ma la lampada della fede non ci fa confondere l’enigma con il mistero. L’enigma è un indovinello; il mistero è un messaggio firmato da Dio.
3. Siamo figli amati
Eccolo, il messaggio del Natale: siamo figli amati. Non orfani abbandonati, non grigi mercenari, né schiavi duramente oppressi e implacabilmente minacciati. Questa notte abbiamo cantato e poco fa abbiamo ripetuto: “Pace in terra agli uomini amati dal Signore“.
Figli eternamente e teneramente amati! Figli concepiti e nati per grazia. La grazia è dono, non conquista, come se l’uomo, con le sue sole forze umane, riuscisse ad entrare nel regno di Dio e a condividere, con il Cristo, la condizione di figlio. Dire che questa condizione di filialità è grazia e insistere che si tratta, appunto, di un dono, significa almeno due cose, ambedue imprescindibili.
Primo, che la forza per la salvezza e per vivere la vita stessa di Dio come suoi figli, non proviene dall’uomo. Il vangelo, per essere veramente vissuto come “buona notizia” chiede che venga rimarcata l’assoluta gratuità della salvezza. E questa non si propone tanto come un “tu devi!”, ma come un “tu sei!”. Il “tu devi!” è l’imperativo che l’allenatore ordina all’atleta: tu devi giocare in questo modo. L’allenatore non si sostituisce all’atleta nella gara, ma tocca piuttosto all’atleta attivarsi con ogni sforzo per sostenere il peso della competizione. Il “tu sei” invece è l’indicativo di uno che, partecipe della tua stessa natura, ha vissuto per te il travaglio della prova e l’ha felicemente superato. In questo modo la tua libertà viene liberata, nel senso che viene abilitata a fare la sua parte perché il dono sia da te riconosciuto con gratitudine e ricevuto con gratuità. A noi stancamente abituati al cliché consumistico del ‘dovuto’, del ‘meritato’, del ‘guadagnato’, la logica evangelica della gratuità della grazia dice che l’amore del Padre non si vende e non si paga, ma si accoglie e si ripaga con l’amore di figli, i quali “non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
L’altra verità che il mistero del Natale ci pianta nel cuore è stata già annunciata, ma merita di essere ripresa e rimarcata. Ed è questa: siamo figli del Padre nostro che è nei cieli. Nessuno è padre di se stesso, ma da Dio siamo stati generati. Siamo stati assimilati e vincolati a Gesù, il Figlio unigenito, che diventa in tal modo “primogenito tra molti fratelli”: figli nel Figlio. Siamo fratelli di sangue con Gesù: partecipiamo della sua conoscenza, dei suoi sentimenti, delle sue aspirazioni, della sua forza, del suo Spirito vivificante. Noi pensiamo con la sua mente, amiamo con il suo cuore, agiamo con la sua volontà, e finiamo per entrare in possesso della stessa relazione che egli ha con il Padre. In noi il Padre riconosce i lineamenti del volto del Figlio e non ci può negare il nome e la dignità che compete ai veri figli. C’è una dignità più grande di questa?
Natale: mistero di amore, di pace, di ogni consolazione! Aiutatemi, carissimi a benedire il Padre di ogni misericordia con queste toccanti parole di s. Paolo: “Sia benedetto Dio, Padre di Gesù Cristo, nostro Signore! E’ il Padre che ha compassione di noi, e ci consola in tutte le nostre sofferenze, perché anche a noi sia possibile consolare tutti quelli che soffrono, portando quelle stesse consolazioni che Lui ci dà” (cfr 2Cor 1, 3s).
Rimini, Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2012
+ Francesco Lambiasi