Omelia in memoria di don Giussani e del riconoscimento di C.L.
1. “Edificherò la mia Chiesa”. Penso che non riuscirò mai ad assuefarmi a quella parola minima – “mia” – un aggettivo affettivo, più che possessivo, minuscolo e tenerissimo, che Gesù, secondo il vangelo di san Matteo appena proclamato, ha agganciato con una saldatura inossidabile alla parola “Chiesa”. Ma quell’aggettivo lo ritroviamo pari pari anche nel vangelo secondo Giovanni, quando Gesù risorto presso il mare di Tiberiade compie la promessa fatta a Pietro e gli affida il suo gregge: “Pasci le mie pecore. Pasci i miei agnelli”.
Il fatto che il Cristo risorto consegni a Simon Pietro la sua Chiesa, non sta a dire che Gesù si sia mai oscurato dal cammino dei suoi seguaci di ieri, di oggi, di sempre. Sta piuttosto a dire che Simone bar Jonas non si potrà mai considerare il padrone del gregge che è e rimane di Cristo. Tutt’altro. Lo stesso Pietro raccomanderà – come abbiamo ascoltato dalla prima lettura – ai con-presbiteri delle Chiese dell’Asia minore di “pascere il gregge di Dio”, ma non “come padroni delle persone a loro affidate” (1Pt 5,3). E sarà in questa linea che san Paolo, scrivendo nella sua seconda lettera ai cristiani di Corinto, dirà solennemente: “Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (1Cor 12,24). Non Pietro, né Paolo, ma solo Gesù è e resta l’unico Signore della Chiesa.
Non si può dare una Chiesa senza Gesù. Ma neppure un Gesù senza Chiesa.
2. Ora poniamoci la domanda: perché amiamo la Chiesa e ci restiamo?
Amiamo la Chiesa perché la Chiesa è di Gesù. Il quale non l’ha amata perché l’abbia trovata amabile, ma l’ha resa amabile proprio perché l’ha amata. Ha sacrificato la vita per lei, morendo su una croce ignominiosa e atroce, e l’ha fatta ‘sua’. Ha offerto se stesso per renderla santa e immacolata, non perché già lo fosse.
Amiamo la Chiesa perché cerchiamo Gesù. Noi crediamo che né Gesù né il suo Vangelo sarebbero giunti fino a noi, se non ci fosse stata quella sterminata catena di credenti che, di generazione in generazione, ce ne hanno trasmesso la memoria con la loro testimonianza di fede.
Amiamo la Chiesa perché Gesù l’ha edificata poggiandola sulle fragili spalle di Pietro, e l’ha dotata dei necessari strumenti di salvezza e di grazia: dai sacramenti alla guida dei suoi pastori; dalla testimonianza dei santi al sostegno di cristiani esemplari e di autentici testimoni del Vangelo.
Amiamo la Chiesa perché ci trasmette il perdono dei peccati. Condividiamo la scelta di don Milani: “Non mi ribellerò mai alla Chiesa, perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati, e non saprei da chi altro andare a cercarlo, quando avessi lasciato la Chiesa”.
Amiamo la Chiesa perché rispetta la nostra libertà e non ci costringe ad una accettazione acritica delle sue penose miserie, né a una supina approvazione delle forme superate di cui si è paludata nei secoli, o di certi metodi e strategie che la rendono poco credibile e poco attraente.
Amiamo questa Chiesa fatta di santi e di peccatori, di testimoni luminosi e di poveri cristiani, perché non mi potrei trovare a mio agio in una Chiesa di perfetti. Una compagnia così mi rende meno duro sopportarne infedeltà e lentezze, dal momento che anche lei sopporta me, con le mie pesanti mediocrità e i miei interminabili ritardi. Né possiamo credere che la verità di una Chiesa santa, fatta di peccatori, sia una sottile astuzia clericale, escogitata per disimpegnare la Sposa di Cristo dal rispondere delle sue incoerenze e delle nostre deprimenti debolezze.
Amiamo questa Chiesa perché il Signore Gesù continua a purificarla. Proprio perché la ama con cuore di sposo e con amore geloso e ardente, il Cristo usa anche la sferza delle persecuzioni dei suoi avversari per scuoterla e decontaminarla. Ancora oggi cresce nel suo campo anche la zizzania, che però non riesce mai a soffocare del tutto il buon grano della parola di Dio.
Amiamo questa Chiesa perché lo Spirito Santo non si è volatilizzato. Non si è ancora stancato di rimanere fra noi fino alla fine del mondo. Senza il suo soffio di vita la Chiesa sarebbe una semplice organizzazione, l’autorità una dominazione tirannica, la missione una stucchevole propaganda. Ma nello Spirito e con lo Spirito la Chiesa diventa segno di comunione, l’autorità un servizio, la liturgia l’anticipazione del regno di Dio…
Se il senso della Chiesa è Gesù Cristo, allora si può dire – parafrasando don Giussani – che “se si ha in comune il senso della Chiesa, allora si ha in comune tutto della Chiesa”. Proprio tutto. Dal papa al cosiddetto ultimo dei cristiani, che poi è il più grande nel regno dei cieli. Senza mai dimenticare che al magistero dottrinale e alla guida pastorale del successore di Pietro – oggi papa Francesco – dobbiamo una convinta, cordiale gratitudine e una preghiera “incessante” e commossa, come quella che saliva per Pietro in carcere a Gerusalemme (vedi Atti 12,5).
Rimini, chiesa di san Giuseppe al Porto – 22 febbraio 2021
+ Francesco Lambiasi