Omelia tenuta nella Messa per l’Assemblea di Zona dell’AGESCI
1. La paura fa sempre brutti scherzi. Ma quando si configura come “paura di Dio”, provoca disastri, scatena incresciosi fallimenti e penosi tracolli. Ritorniamo alla parabola dei talenti. Ci concentriamo sulla figura del terzo servo, di cui i primi due fanno solo da contrappunto, e affrontiamo due domande. La prima: dov’è che ha sbagliato il servo “pigro e malvagio”? Ha sbagliato per il fatto che, a differenza degli altri due compagni, ha preferito rimanere sul sicuro. Era una somma favolosa quella che gli era stata affidata. Rapportata ad oggi, potrebbe equivalere a qualche decina di migliaia di euro. Quel servo ha ragionato più o meno così: quale modo più sicuro per non azzardare di mandare in fumo tutti questi bei soldi che andarli a sotterrare? Insomma ha preferito non rischiare, e così ha finito per ritrovarsi privato del prezioso talento d’oro. Ma veniamo alla seconda domanda: perché il terzo servo ha praticamente scelto di non scegliere? La ragione di questa posizione arrendevole e rinunciataria la si trova nel fatto che il terzo servo si è sbagliato su Dio. Lo confessa lui stesso: “Ho avuto paura perché so che sei un duro: mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”. In realtà una tale figura di Dio è un fantasma, una triste, desolante caricatura, fatta a immagine e somiglianza di un io, pauroso e meschino.
2. In sintesi possiamo dire che questo tale ha sbagliato nel fare discernimento. Si sbaglia sempre nel discernimento quando, di Dio, ci si forma una immagine deformata. Appunto un fantasma. Se si pensa a Dio come a un padrone puntiglioso e fiscale, allora si sprofonda nelle sabbie mobili della paura. La paura del suo implacabile giudizio e il terrore dei suoi inesorabili castighi annebbia la vista, e fatalmente se ne rimane paralizzati. Ma il Padre di Gesù non è un Giove ostile e taccagno, con cui l’essere umano deve contrattare anche il più piccolo piacere a prezzi sempre più alti. E’ piuttosto il Dio dell’alleanza che non vuole guadagnare niente sul mio conto, ma coltiva una sola ambizione: quella di parteciparmi la sua gioia: “prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Perciò è possibile e ragionevole credere: fidarsi e affidarsi. E’ possibile abbandonarsi: se si crede che c’era qualcuno prima di noi, se si ammette che “io non sono il creatore del mio io”, allora non posso non riconoscere anche l’amore di chi ci ha fatto. Allora si abbandona il proprio minuscolo progetto e ci si lascia condurre.
E’ vero. Solo la fede è in grado di sconfiggere la paura. Vedi il “caso serio” di Abramo, il padre dei credenti. Leggiamo nella Lettera agli Ebrei: “Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava”. O Abramo è il più stupido degli uomini, o la sua storia è l’inizio di una nuova storia: è l’avvio dell’avventura della fede sulla terra. Uscire dalla propria terra senza sapere dove andare è possibile soltanto e a condizione che, sul punto di partire, si è ricevuto il tesoro di una promessa, o, se si vuole, la promessa di un tesoro: il tesoro della salvezza, la promessa della felicità. Ed è proprio la fede nella promessa di Dio l’unica possibilità che ci fa vivere. Non sopravvivere.
3. Per completare il discorso c’è da dire che a viziare il discernimento non c’è solo il fantasma di un Dio antagonista dell’uomo. C’è anche l’abbagliante miraggio di una sua immagine buonista: Dio come un papi o un paparino bonario e pacioccone, proiezione del desiderio infantile di protezione e di immortalità. Il Padre di Gesù di Nazaret è certamente un Padre tenero fino alla più tenera misericordia, ma è anche un Abbà forte che chiede l’obbedienza, ci corregge con vera autorità (lett. “per farci crescere”) e ci educa attraverso la prova. Questo Padre-Papà educa Israele come un figlio e lo provoca a discernere correttamente la strada della vita e la direzione della felicità: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu, amando il Signore, poiché è lui la tua vita” (Dt 30,19s). Questo Dio ha la vista buona per discernere bene tra il bene e il male, tra il carnefice e la vittima, e ci offre i suoi criteri per fare anche noi altrettanto. Recita un detto rabbinico: “Se un empio perseguita un giusto, Dio è dalla parte del perseguitato. Se un giusto perseguita un giusto, Dio è dalla parte del perseguitato. Se un empio perseguita un empio, Dio è dalla parte del perseguitato”.
Infine vorrei accennare a due pericoli nel fare discernimento. Il primo è la presunzione: illudermi di non aver bisogno dell’aiuto degli altri per discernere il mio vero bene e per assicurarmi un agire originale (“solo io senza gli altri”). Un pericolo, diametralmente opposto, si potrebbe esprimere con la formula contraria: “solo gli altri senza io”. E’ il rischio della delega: scaricare sulla famiglia, la società, il sistema la responsabilità delle mie scelte personali. O, talvolta, sugli opinion leaders, i burattinai di turno o i vari persuasori occulti.
Sorelle, fratelli, amici. La vita è una lunga strada segmentata di incroci, di svincoli e rotatorie. Imboccando l’uno o l’altro innesto, noi, talvolta, ci giochiamo tutto. E’ l’aspetto drammatico del viaggio della vita. Ma non siamo soli: Gesù risorto ci fa dono di un “navigatore” di eccezione: il suo stesso Spirito. Il quale, a sua volta, ci mette a disposizione due risorse indispensabili e preziose – la ragione e la fede – e ci procura tre pani per il viaggio: quelli della Parola, dell’Eucaristia e della Fraternità ecclesiale. La paura del futuro, gli ostacoli che incontreremo, gli imprevisti della vita, persino l’esperienza del peccato, non riusciranno più a disarmarci e a farci incrociare le braccia. I passi da fare di volta in volta ci saranno suggeriti dallo Spirito Santo attraverso la voce della coscienza, adeguatamente educata e rettamente formata.
Ragazze, ragazzi, giovani, buona strada!
+ Francesco Lambiasi
Rimini, Basilica Cattedrale, 19 gennaio 2017, 33.a Dom. Anno A