Omelia tenuta a Villa Verucchio l’8 giugno 2008 per la dedicazione della nuova chiesa parrocchiale di Villa Verucchio
Sono parole scintillanti di luminosa bellezza quelle che tra poco pronunceremo nel corso della solenne preghiera di benedizione per la dedicazione di questa nuova chiesa, splendido capolavoro dell’arte e dell’ingegno umano. Permettetemi di anticiparvene qualche frammento: “Avvolgi, o Padre, della tua santità questa chiesa… Qui il fonte della grazia lavi le nostre colpe… Qui la santa assemblea si nutra al banchetto della parola e del corpo di Cristo… Qui lieta risuoni la liturgia di lode e la voce degli uomini si unisca ai cori degli angeli… Qui il povero ritrovi misericordia e ogni uomo goda della dignità dei tuoi figli…”.
1. Ora, per trovare la password che ci permetta di accedere al ricco programma simbolico della liturgia che stiamo celebrando, dobbiamo porci un paio di domande: che cosa è propriamente una chiesa? e quale rapporto intercorre tra la chiesa con la c minuscola e la Chiesa con l’iniziale maiuscola?
Sappiamo bene che un tempio liturgico non è una generica opera architettonica e non si può considerare come semplice monumento religioso, eretto alla divinità o ad un santo patrono. Elemento caratterizzante l’edificio per la celebrazione cristiana è la sua capacità di essere “simbolo” di una realtà più grande, appunto la Chiesa come la famiglia dei figli di Dio. Se la chiesa-edificio si può rassomigliare ad una grande casa, allora la chiesa di pietra rimanda alla grande Chiesa, la Chiesa-famiglia. Possiamo perciò stabilire la seguente proporzione: la chiesa “minuscola” sta alla Chiesa “maiuscola”, come la casa sta alla famiglia.
Non si pensi però ad un rapporto puramente strumentale: come la casa non è un semplice contenitore della famiglia che vi abita, così la chiesa non si può ridurre a mera struttura logistica. Il rapporto che la lega alla grande Chiesa corre piuttosto sul filo simbolico-sacramentale: la chiesa di pietra è insieme segno-immagine della comunità cristiana, e d’altra parte, mentre la manifesta, le permette di realizzarsi come Chiesa che celebra e fa festa, come Chiesa in ascolto e in preghiera, come Chiesa unita in fraternità e aperta all’accoglienza dei più poveri.
D’altro canto la Chiesa-comunità in qualche modo esprime se stessa nell’edificio di culto, vi imprime la sua fisionomia, vi deposita tracce significative della propria fede e della propria storia, mentre inscrive sulle pagine delle sue pareti anticipazioni profetiche del futuro che l’attende. Capiamo allora perché, nella liturgia in corso, si dà una relazione circolare che scorre continuamente, in senso bidirezionale, dalla Chiesa come comunità celebrante alla chiesa come edificio in cui la celebrazione si compie.
Da quanto fin qui detto risulta un rapporto articolato e dinamico:
“Tra assemblea celebrante ed edificio nel quale avviene la celebrazione sussiste un legame profondo: la celebrazione della liturgia cattolica è tutt’altro che indifferente all’architettura e, viceversa, l’architettura di una chiesa non lascia indifferente la liturgia che vi si celebra” (L’adeguamento liturgico delle chiese, Nota pastorale della CEI, 31.5.1996, n. 13).
2. “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra?”, si chiedeva pensoso il re Salomone all’atto della dedicazione del grandioso tempio di Gerusalemme (1Re 8). La risposta verrà data il 14 di nisan dell’anno 30 dell’era cristiana, quando all’ora nona il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso. Con il sacrificio della croce, ogni barriera che separava il “Santo dei santi” dal resto del mondo è stata demolita. Non esiste più tempio, in cui Dio si autosequestrerebbe riservandone l’accesso solo a qualche sommo sacerdote. Ormai il mondo intero è diventato sacro. Pertanto la “consacrazione” della chiesa di pietra non ne fa una sorta di “sacrestia”, e il suo “sagrato” non ridiventa una fastidiosa barriera invalicabile che separa il tempio dal mondo “pro-fano”.
La chiesa di pietra testimonia la presenza del Signore nel cuore della città e ci ricorda che egli pianta la sua tenda (il suo “tabernacolo”) in mezzo a noi. La chiesa è la casa privilegiata in cui si riunisce la comunità credente, fatta di pietre vive. L’edificio liturgico quindi è l’icona che indica la comunità dei battezzati come il vero “tempio dello Spirito”. Questa metafora edile è molto cara alle Sante Scritture, al punto che qualcuno parla di una “petralogia” neotestamentaria. L’immagine della Chiesa-edificio risale certamente a Gesù, come abbiamo sentito dal vangelo: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. La Lettera agli Efesini sviluppa l’icona ecclesiologica dell’edificio e ne presenta i tre “architetti”: il Padre che ha concepito e disegnato il progetto, prima della creazione del mondo; Gesù Cristo che lo ha realizzato nella pienezza del tempo e ne rimane per sempre la pietra angolare; lo Spirito Santo che vi ha posto il suo suggello (cfr Ef 1,3-14; 2,19-22).
Possiamo ora rispondere in modo più preciso e completo alla domanda vertiginosa di Salomone: sì, Dio abita sulla terra, nel tempio, ma per poter abitare nel tempo. La Chiesa si raduna all’interno della sua casa, ma per poi uscire all’esterno e andare sui sentieri della vita, per le strade polverose del mondo. Per la comunità cristiana la conversione permanente al suo Signore si traduce in costante estroversione sul crinale della storia, per imboccare sempre con umile audacia la Gerusalemme-Gerico, sui passi del buon Samaritano. Conversione-estroversione, concentrazione-espansione: non vi riconosciamo la ritmica pulsazione del cuore della Chiesa, che si raccoglie nella sistole della comunione per dilatarsi nella diastole della missione?
3. Prima di concludere, pare opportuno dedicare un breve passaggio a questa nuova chiesa in particolare, e alla lezione in pietra che in essa si “squaderna” per la comunità parrocchiale di s. Paterniano. L’idea-madre che ha ispirato il progetto architettonico è la fede della comunità cristiana nell’evento capitale della storia: la morte e la risurrezione del Signore. Di qui la cellula germinale da cui si sviluppa in modo armonico e organico tutto l’edificio liturgico: la croce gloriosa del Signore. Il progetto infatti porta impressa sia nel disegno planimetrico che nella concezione volumetrica dello spazio il segno della croce inscritta nell’ottagono perimetrale, che ricorda il giorno ottavo, simbolo della risurrezione. La grande croce greca formata dalle quattro vele della volta centrale (cielo) riaccade sul pavimento (terra). Il “tutto” si può ammirare sinteticamente nel magnifico “frammento” del tabernacolo, un incantevole fiore di alabastro a otto petali, con la croce a stella inserita nella corolla dell’ottagono.
Ma la chiesa-tempio è anche la profezia della Gerusalemme celeste. Ed ecco allora altri elementi architettonici che identificano i segni della città santa (la Chiesa), descritta nell’Apocalisse. I dodici pilastri (quattro interni e otto esterni) sono il simbolo degli apostoli su cui è fondata la comunità ecclesiale. Le porte sono disposte con ritmo ternario sui quattro lati contrapposti. Anche i quattro fiumi che disegnano la pavimentazione del sagrato e della piazza antistante richiamano la nuova Gerusalemme.
Nella filigrana di questa nuova costruzione, dove arte e fede contribuiscono a creare un autentico capolavoro, si coglie in trasparenza il messaggio che ne deriva per la comunità parrocchiale, un messaggio che si potrebbe formulare con le parole ispirate di s. Agostino, da lui pronunciate proprio in occasione della dedicazione di una chiesa: “Mediante la fede gli uomini divengono materiale disponibile per la costruzione; mediante il battesimo e la predicazione sono come sgrossati e levigati; ma solo quando sono uniti insieme dalla carità divengono davvero casa di Dio. Se le pietre non aderissero tra di loro, se non si amassero, nessuno entrerebbe in questa casa” (Serm. 336).
Fratelli e sorelle della comunità di s. Paterniano in Villa Verucchio: come pastore della santa Chiesa riminese vi auguro che la vostra nuova chiesa parrocchiale canti la vostra fede, annunci la croce del Signore, proclami la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta.
Sorelle e fratelli, “quanto qui vediamo fatto materialmente nei muri, sia fatto spiritualmente nelle anime” (ivi). Siate voi le pietre vive e preziose del vostro tempio spirituale! Siate pietre sgrossate, squadrate, levigate, per mezzo di una permanente conversione al vangelo. Siate pietre pulite! Siate pietre unite: ognuna al posto assegnato dallo Spirito, senza competere o confliggere tra di voi, aderenti le une alle altre, in polifonica armonia di carità. Siate pietre capaci di “fare coro”!
Che ognuno, che ognuna di voi possa condividere questa preghiera che ora rivolgo al Signore a nome di tutti e di ciascuno di voi:
“Quale sarà il mio posto nella tua casa, Signore? Lo so: non mi farai fare brutta figura, non mi farai sentire creatura che non serve a niente, perché tu sei fatto così: quando ti serve una pietra per la costruzione, prendi il primo ciottolo che incontri, lo guardi con tenerezza e lo rendi la pietra di cui hai bisogno: ora splendente come un diamante, ora opaca e ferma come una roccia, ma sempre adatta al tuo scopo. Cosa farai di questo ciottolo che sono io, di questo piccolo sasso che tu hai creato e che lavori ogni giorno con la potenza della tua pazienza, con la forza invincibile del tuo amore trasfigurante? Tu farai cose inaspettate, gloriose. Getti le cianfrusaglie, ti metti a cesellare la mia vita. Se mi metti sotto un pavimento che nessuno vede, ma che sostiene lo splendore dello zaffiro, o in cima ad una cupola che tutti guardano e ne restano abbagliati, ha poca importanza. Importante è trovarmi ogni giorno là dove tu mi metti, senza ritardi. Ed io, per quanto pietra, sento di avere una voce: voglio gridarti, o Dio, la mia felicità di trovarmi nelle tue mani malleabile, per renderti servizio, per essere tempio della tua gloria” (card. Ballestrero).
Maria, la Vergine Consolata e Consolatrice degli afflitti, interceda per noi!