Omelia tenuta dal Vescovo nella 2.a Domenica di Avvento (B)
La primissima riga del primissimo capitolo del primissimo vangelo recita testualmente: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio”. Questo versetto non è il banale titolo del ‘testo-vangelo’, come se l’evangelista volesse dire: “Qui incomincia il mio vangelo”.
Per Marco la parola ‘vangelo’ non indica un testo, ma invita a una festa. La festa per l’inaugurazione del regno dei cieli sulla terra. E di quella festa la parola inizio non segnala il primo istante, ma il principio originante dell’evento: l’intervento di Dio nella nostra vita polverosa, nella fangosa storia della nostra umile terra. Così Marco introduce il protagonista del nuovo mondo, Gesù, e ne presenta la sostanza della missione: l’euaggelion, che letteralmente significa il buon annuncio, la gioiosa proclamazione della bella, lieta, sorprendente notizia: Gesù è il Messia, il Figlio di Dio.
Ecco la bella notizia della Chiesa: Dio non è un padre padrone. Non è il Dio dei comandi inesorabili, degli implacabili castighi. Dio non è la proibizione estrema, ma l’estrema occasione di salvezza. Dio è padre, ma in quanto madre, che sempre accoglie e sempre perdona, con un amore proporzionale al vero bene e al reale bisogno dei suoi figli. E non è il nostro merito, è la nostra miseria la misura smisurata della sua misericordia.
Ecco la bella notizia dell’evangelista: “Gesù è il Cristo: è il Messia”. E’ il sogno dei sogni. L’arrivo della salvezza. Il saldo di un riscatto per i poveri. L’avvento di un mondo finalmente giusto. L’offerta di una vita finalmente vivibile. Perciò dobbiamo vigilare per non proiettare su di lui voglie e paure, incubi e miraggi, sogni e bisogni della nostra povera vita, facendone l’attaccapanni di tutto l’armamentario del nostro ‘senso religioso’. Gesù dà carne a un Dio capovolto, possiamo dire: letteralmente ‘convertito’ al bene dell’uomo.
Ecco la bella notizia recata da Giovanni, l’austero profeta-portavoce di Dio, il tempestoso battistrada del Messia: “Qualcosa di bello, di grande, di vero sta per arrivare e arriverà per davvero”. Dio viene e interviene per salvarci. Non ‘verrà’ in un futuro continuamente rinviato. Giovanni è il profeta. Ma la profezia non è una previsione. E’ una promessa, firmata da Dio. E il compimento della promessa non avviene a modo di fotocopia, ma per via di superamento. La realtà supera il sogno del suo stesso precursore.
Ecco la bella notizia dei cristiani credenti: la conversione è possibile. Conversione come cambiamento di noi: radicale, umile, tenace, che ribalta le misure correnti, rovescia le valutazioni usuali. Conversione è accettare l’amore come senso primario e saporoso significato dell’esistenza, come suo criterio e sovrabbondante compimento. L’amore è lotta senza quartiere contro l’egoismo, l’orgoglio, l’ambizione. E’ doloroso come un parto. Ma è anche l’unica ‘rivoluzione’ vincente, capace di spianare i monti, colmare le valli, raddrizzare i sentieri.
Capace perfino di far fiorire tutti i nostri desolati deserti.
Rimini, Basilica Cattedrale, 6 dicembre 2020
+ Francesco Lambiasi