Omelia del Vescovo per la Giornata Mondiale della Vita consacrata e per la Giornata Nazionale della Vita.
La santa legge di Dio parlava chiaro: quaranta giorni dopo la nascita del primogenito, la giovane madre doveva presentarsi al tempio per essere dichiarata “pura” dal sacerdote (cfr Lv 12,1-8). Ma non esisteva nessuna prescrizione biblica né giudaica che prevedesse la presentazione del bambino in occasione del rito di purificazione della madre. Il riscatto del primogenito poteva essere fatto in qualsiasi luogo da un sacerdote. A sorpresa, invece, l’evangelista Luca, più che la purificazione della puerpera, sembra voler mettere a fuoco la presentazione del bambino Gesù, come sottolinea fin dall’inizio del racconto: Maria e Giuseppe “portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore”.
Quest’anno, data la stretta vicinanza temporale tra la Giornata della vita consacrata che ricordiamo oggi e la Giornata per la vita che ricorre domani, abbiamo pensato di legare in una unica liturgia le due celebrazioni. Del resto, non c’è bisogno di acrobatiche complicazioni mentali per cogliere il nesso tematico che annoda le due Giornate. Il messaggio finale dell’ultimo Sinodo interpreta la testimonianza della vita consacrata in rapporto al senso profondo della vita umana. Come a dire: mentre la famiglia è custode della sacralità della vita nella sua origine, la vita consacrata, in quanto chiamata alla conformazione a Cristo, è custode del senso ultimo e radicale della vita stessa. Ma ora concentriamoci sul cuore dell’evento odierno. Lo cogliamo nel versetto già richiamato: Maria e Giuseppe “portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore“.
1. Presentare i bambini a Dio
Nella liturgia cristiana non esiste un rito della presentazione, ma il significato spirituale di questo evento permane ed è attuale ancora oggi. Anche oggi i genitori cristiani devono “presentare i loro bambini a Dio” e poi, come annota in conclusione il vangelo che abbiamo ascoltato, devono aiutarli a “crescere in sapienza e grazia”, cioè non solo fisicamente e intellettualmente, ma anche spiritualmente. Che cosa può significare allora per noi “presentare i bambini a Dio”? Significa riconoscere che la vita è dono di Dio. Ogni bambino è suo, non nel senso che lui lo voglia morbosamente per sé – Dio non è un padre-padrone! – ma che lui lo dona generosamente e con totale, irreversibile gratuità. Quando si presenta a Dio, l’uomo è restituito a se stesso. E’ vero: la strada più breve da me a me stesso è quella che passa attraverso Dio. Infatti “Dio non è una sorgente che ingoia acqua!” (S. Fausti). E’ piuttosto la sorgente che dona l’acqua della vita. Presentare il bambino a Dio significa riconoscere da lui il dono della vita e in lui la vita stessa come dono e benedizione.
Scrivono i vescovi italiani per la Giornata della vita: “La logica del dono è la strada sulla quale si innesta il desiderio di generare la vita, l’anelito a fare famiglia in una prospettiva feconda, capace di andare all’origine – in contrasto con tendenze fuorvianti o demagogiche – della verità dell’esistere, dell’amare e del generare. La tendenza a generare, ancora ben presente nella nostra cultura e nei giovani, è tutt’uno con la possibilità di crescita e di sviluppo: non si esce da questa fase critica generando meno figli o peggio ancora soffocando la vita con l’aborto, bensì facendo forza sulla verità della persona umana, sulla logica della gratuità e sul dono grande e unico del trasmettere la vita, proprio in una situazione di crisi”.
In questa direzione mi pare importante cogliere il legame tra il generare e l’educare. Lo riprendo dall’allusione – presente nel vangelo – che Gesù, per crescere in sapienza e grazia, ha avuto bisogno dell’esempio e del’indispensabile aiuto dei suoi genitori. Fatte le debite proporzioni con la santa Famiglia, è innanzitutto in casa che si apprende la grammatica di un sano e sereno rapporto con Dio. Oggi però sembra diffondersi la mentalità di quanti pensano che – in nome della libertà dei figli – i genitori si debbano astenere da ogni forma di condizionamento, sia nel senso dell’educazione ai valori e alle virtù, sia soprattutto nel senso di una specifica educazione religiosa. Quando saranno adulti – si dice – saranno loro a scegliere. L’argomentazione a prima vista appare convincente. Ma solo a prima vista. Basti vedere a quali conseguenze destabilizzanti porterebbe questo ragionamento, se si applicasse radicalmente. A rigor di logica, infatti, ci si dovrebbe astenere dall’insegnare ai bambini qualsiasi regola, dal proporre loro qualsiasi valore. Anzi non si potrebbe neppure educarli a parlare una lingua invece di un’altra, a crescere in una cultura piuttosto che un’altra. Il presupposto soggiacente a questo ragionamento – ma è un brutto pregiudizio! – è che l’educazione sarebbe necessariamente condizionante e oppressiva. Ma questa si potrebbe ancora chiamare “educazione”? Infatti o l’educazione è liberante, o semplicemente non è. Ma senza educazione non ci sarebbe alcuna identità e neppure la libertà di scegliere. La libertà infatti non è un dato di partenza: senza essere educati a scegliere liberamente, non si arriverà mai alla libertà di scegliere.
Ciò vale in modo particolare per l’educazione alla fede cristiana, che trova nella lieta notizia di Gesù il suo nucleo pulsante. E la lieta notizia è questa: “Dio è amore” (1Gv 4,8). Il simbolo più eloquente dell’amore più grande – il Crocifisso dal cuore squarciato – insegna ad amare tutti, perfino i nemici: è una fede alienante, questa? educa forse alla violenza e all’intolleranza? O piuttosto insegna ai bambini ad affrontare il mistero della vita con speranza, e a donare a loro volta la vita che hanno ricevuto?
2. In pellegrinaggio con le lampade accese
Nella festa della Presentazione del Signore il rito caratteristico è quello della candelora. Entrando in chiesa con un cero acceso, i fedeli simboleggiano il cammino del popolo di Dio verso la luce definitiva, resa già visibile in Gesù. Anche quest’anno la nostra piccola processione è stata avviata da voi, sorelle e fratelli carissimi, appartenenti alle varie espressioni diocesane della vita consacrata. Ecco un simbolo suggestivo ed eloquente: nel pellegrinaggio verso la casa del Padre, la Chiesa vede in voi la sua avanguardia profetica. Voi siete quelli della “prima linea”: i vergini e le vergini che vanno incontro allo Sposo con le lampade accese.
Forse la parabola della vostra vita si potrebbe tradurre con questo racconto. “Siamo figli e figlie di una famiglia numerosa. Crescendo ci innamorammo tutti di un solo sposo. E decidemmo di intraprendere un lungo viaggio per andargli incontro. Il giorno della partenza nostra madre ci mise in mano una lucerna per rischiararci la strada, raccomandandoci di non separarcene mai, sia di giorno, anche quando ci fosse sembrato che non serviva più, ma soprattutto di notte, anche per fare luce ad altri viandanti che ne fossero sprovvisti. Ci raccomandò pure di portarci dietro un piccolo recipiente per l’olio, da rifornire di volta in volta in modo da tenere la lampada costantemente accesa. Così partimmo. E ancora oggi siamo in viaggio. Lo sposo l’abbiamo incontrato più volte, ma dopo ogni sosta, lui riprende costantemente a camminarci avanti. Noi non ci stanchiamo di inseguirlo e di cercarlo, dovunque vada. Quando la nebbia o la notte ci oscurano la strada, la lucerna è l’unica cosa che ci permette di proseguire, fino a quando abbracceremo lo Sposo e, tenaci, lo stringeremo per sempre sul cuore. Intanto siamo ben felici di avere le nostre lampade accese, ancora con noi”.
Fratelli e sorelle, il significato dell’allegoria mi pare trasparente. Fuor di metafora, il pellegrinaggio è il cammino della vita; i figli e le figlie siete voi consacrati; lo Sposo è Cristo Gesù, l’unico, grande amore che vi brucia in cuore; la madre è la Chiesa; la lampada è la fede; l’olio è l’amore…
Ora stiamo attraversando un tempo tenebroso. Il Papa e la Chiesa, però, lo interpretano come il tempo propizio per la nuova evangelizzazione. Tanti cristiani hanno abbandonato la fede e brancolano nel buio; diversi cercano Dio e vorrebbero riaccendere le loro lampade.
Fratelli e sorelle, che vi siete consacrati nella vita religiosa, la nostra Chiesa, rivestita dello splendore dei doni che il Signore vi ha fatto, vi benedice, vi apprezza, vi ringrazia. Voi avete scelto di seguire Cristo, luce per tutte le genti. E’ lui il paradigma fondamentale e insostituibile della vostra vita. E’ lui il Figlio di Dio, che manifesta con la verginità di essere una cosa sola con il Padre, che mostra con la povertà che il Padre è la sua ricchezza, e con l’obbedienza dice che suo cibo è fare la volontà del Padre. Voi avete scelto di vivere secondo la sua “forma” di vita e sulla sua misura. Non dubitatene mai, non pentitevene mai! La speciale sequela della vita consacrata è al servizio della sequela di tutti i cristiani. Perché il Signore, la Chiesa, l’ha fatta così: tutti sono chiamati alla santità, ma la rinuncia radicale di alcuni sostiene il distacco di molti; la scalata di pochi tira la cordata alla salita di tutti.
Sorelle e fratelli carissimi, aiutatevi reciprocamente a tenere accese le vostre lampade, con quell’amore per Cristo che si colora del carisma proprio di ogni specifica realtà di consacrazione, che voi esprimete.
Aiutate quanti si imbattono sul vostro cammino ad accendere e a riaccendere le tante candele spente, perché il desiderio di infinito “si affaccia in molti modi nel cuore dell’uomo” (Benedetto XVI). Che la sapienza dello Sposo alimenti l’ardore creativo nell’evangelizzare, perché Cristo, luce del mondo, accenda ogni cuore del suo indefettibile amore.
Ora la nostra Chiesa accoglie i vostri voti di castità, povertà e obbedienza, in unione a Gesù che si offre al Padre. Questa è la vostra presentazione al tempio, l’offertorio della vostra vita, per la salvezza del mondo.
Rimini, Basilica Cattedrale, 2 febbraio 2013
+ Francesco Lambiasi