Formare nuovi cenacoli per il ‘primo annuncio’
Messaggio del Vescovo al termine della Veglia di Pentecoste
Rimini, Piazza Cavour, 26 maggio 2012
“C’è una vita più umana di quella cristiana?”: questa domanda che ha ispirato e punteggiato il nostro anno pastorale dedicato al battesimo, in buona analisi grammaticale la si direbbe una domanda retorica, dove il punto interrogativo lascia intuire una risposta scontata: è ovvio che per noi cristiani no, non c’è, non ci può essere una vita più umana di quella cristiana. Ma a pensarci bene, si tratta di una domanda provocante, e provocante non solo per i non cristiani, ma anzitutto per noi che ci riteniamo e ci professiamo tali. Perché quell’interrogativo ci si ritorce contro e si potrebbe tradurre così: riusciamo noi cristiani a dimostrare con fatti di vita vissuta che la fede in Gesù Cristo ci rende effettivamente più umani?
1. Nella lettera pastorale dell’anno scorso – Giovani, dove sta la felicità? – ho raccontato sette di quelli che Luigi Accattoli chiamerebbe “fatti di vangelo”. In una cultura che ospedalizza forzosamente il malato e legittima l’aborto di una creatura a cui è stata diagnosticata una grave patologia, la storia di Chiara, madre di una bambina con fibrosi cistica, la storia di Andrea, giovane papà che con sua moglie hanno accolto come un dono la nascita della sesta figlia, colpita dalla sindrome di Down, e la storia del piccolo Lorenzo, nato nonostante l’invito dei medici ad abortire, sono una prova che il messaggio cristiano riconosce e promuove la piena dignità umana anche di creature, le cui menomazioni – in una società che si voglia ‘civile’ – non meritano un di meno, ma un di più di rispetto e di attenzione.
In una cultura che idolatra la bellezza fisica, il fitness, il wellness e quant’altro, ma poi considera il corpo umano destinato solo ad occupare un loculo al cimitero o a diventare un mucchietto di polvere dopo essere passato per il forno crematorio, la fede nella risurrezione testimoniata da Giorgio al funerale della giovane figlia Marta, o l’estremo saluto di Matteo alla giovane sposa, morta a 29 anni, dicono che la speranza della risurrezione abilita a sperimentare la morte come un passaggio sereno alla felicità senza fine.
Oltre la storia di Massimo, che a 34 anni lascia il suo studio dentistico ben avviato, per andare in Africa a collaborare con Marilena Pesaresi, la visita pastorale mi sta facendo riempire un dossier fitto di testimonianze controcorrente: in una cultura che esalta la soddisfazione sessuale, dei giovani che si preparano al matrimonio scegliendo il cammino arduo ma affascinante della castità pre-matrimoniale; in una cultura che guarda con sospetto e timore forestieri e immigrati, delle famiglie che si offrono per accogliere fratelli meno fortunati e case-famiglia che si aprono per dare un focolare a chi non ce l’ha; sposi e genitori che partono per attività missionarie, portandosi insieme anche i figli… questi e tanti altri casi di testimonianza di vivibilità del vangelo delle betatitudini, permettono ad altri credenti e a non credenti non solo di sentir parlare di Gesù, ma quasi di farlo vedere e di toccare con mano.
2. Cari Fratelli e Sorelle, se è vero che la crisi che ferisce le nostre città e paesi è una crisi spirituale e morale, se è vero che stiamo dilapitando gli ultimi spiccioli dell’immenso patrimonio che l’alleanza del cristianesimo e dell’umanesimo aveva accumulato in Europa, non possiamo non sintonizzarci con papa Benedetto: dobbiamo ritornare ad evangelizzare. La Chiesa che esce dal cenacolo è una Chiesa missionaria. Il libro degli Atti degli apostoli lo racconta in lungo e in largo, ma al vangelo secondo Marco basta una riga per dire che i discepoli “partirono e annunciarono il vangelo dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano” (Mc 16,20). Evangelizzare, ecco la nostra missione: annunciare, celebrare, testimoniare l’amore di Dio, che per mezzo di Gesù Cristo vuole salvare tutti gli uomini.
Con l’ardore e l’audacia dei testimoni appassionati del loro Signore crocifisso e risorto, sì il messaggio cristiano ha incendiato tutto il bacino del Mediterraneo e si è diffuso velocemente sulle vie dell’impero romano, soprattutto per l’impegno spontaneo dei credenti, da persona a persona. Nessuno si tirava indietro. Ancora nel II secolo un filosofo pagano, Celso, pensando di screditare la nuova religione, osserva che tra i suoi divulgatori abbondando “cardatori di lana, calzolai, lavandai, gente senza istruzione e di maniere grossolane” (Contro Celso, 3,55,5). Sebbene i mezzi di trasporto e di comunicazione fossero ben poca cosa, l’annuncio evangelico raggiunse in breve tempo i confini del mondo allora conosciuto e arrivò anche da noi ad Ariminum. “E si trattava della religione di un uomo morto in croce, ‘scandalo per gli ebrei e stoltezza per i pagani’. Alla base di un tale dinamismo missionario c’era la santità dei primi cristiani e delle prime comunità” (Red. Missio, 90).
3. Anche oggi è tempo di evangelizzazione. C’è da fare un grande lavoro di costruzione di una nuova umanità, dentro e attorno a noi. Dalla chiesa alla piazza, dall’altare alla strada. Anche le nostre città e paesi, frazioni e quartieri possono assomigliare a deserto, desolazione e solitudine. Hanno bisogno di amore e perdono. Hanno sete di vangelo. C’è tanta non-umanità in giro; una non-umanità generata da non risposta a bisogni primari, quali cibo, vestito, salute, casa, lavoro, studio. E’ una povertà generata da non risposta a bisogni relazionali a causa di solitudine, abbandono, trascuranza, dimenticanza. E’ una povertà causata da non senso, da non valore dato alla propria vita e all’altrui: droga, alcol, spericolatezze, gioco d’azzardo, shopping compulsivo, dipendenza da lavoro, cyberdipendenza. E’ una povertà provocata dalla crisi economico-finanziaria che sta paurosamente intaccando non solo singole persone, ma interi nuclei familiari.
Fratelli e sorelle, lo Spirito ci chiama a ritornare sul Calvario, a sbirciare dentro la tomba vuota: potremo intravvedere una luce, sarà come ritrovare il nostro essere uomini, sarà come riscoprire che Dio ha una parola di salvezza anche per noi, su di noi. Lo Spirito Santo ci convoca di nuovo al cenacolo, ci invita a lasciarci abbracciare dal Crocifisso-Risorto, a lasciarci riempire dal suo amore.
Il Papa ci ricorda che il rinnovamento del mondo passa per il rinnovamento della nostre comunità e il rinnovamento delle nostre comunità passa per il rinnovamento della fede. Ecco le sua testuali parole: “Il rinnovamento della fede deve essere la priorità nell’impegno della Chiesa ai nostri giorni”. L’altro ieri ha detto a noi vescovi che dobbiamo ritornare “noi stessi per primi a una profonda esperienza di Dio”. Una profonda relazione con Dio, personale e comunitaria, è il seme della fede che sposta le montagne e fa camminare gli alberi.
Ora lasciatemi confidare un sogno che in occasione dell’indizione dell’anno della fede mi si è andato facendo via via più insistente. Ecco il sogno: che in ogni parrocchia si dia vita almeno a un cenacolo di vangelo: la formula l’ho imparata dall’amico vescovo, Giancarlo Bregantini, ma viene da don Pino Puglisi. Un cenacolo di vangelo dovrebbe essere un piccolo nucleo di adulti e di giovani che si sentono chiamati dal Signore a sperimentare – in comunione con la Chiesa diocesana e con quella universale – la vivibilità e la bellezza della fede cristiana, nei territori del vissuto: la famiglia e gli affetti, il lavoro e la festa, la fragilità e il dolore, l’educazione e la vocazione, la cittadinanza e la passione per il bene comune. In diverse delle nostre parrocchie ho incontrato realtà del genere, magari sotto altro nome. Se queste esperienze nasceranno non per volontà di uomo, ma saranno generate dallo Spirito della Pentecoste, certamente si moltiplicheranno e aiuteranno le nostre comunità a rigenerarsi per rifare così il tessuto civile e sociale delle nostre città e paesi. Aiutatemi a pregare perché là dove questi cenacoli sono presenti si moltiplichino, e là dove ancora sono assenti, che nascano e si diffondano.
+ Francesco Lambiasi