In occasione della festa del beato Alberto Marvelli, il Vescovo ha scritto, a «nome del Beato», la seguente lettera ai giovani cristiani riminesi.
Cari amici,
anche quest’anno mi sono attivato per girare al vostro Vescovo una mia riflessione su una delle otto beatitudini evangeliche, pronunciate da Gesù nel Discorso della montagna e riportate dall’evangelista Matteo. Secondo il programma da me concordato con il Vescovo nella mia festa del 2009, quest’anno vorrei invitarvi a riflettere sulla quarta beatitudine: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Sono sicuro che, al solo risentirla, questa beatitudine faccia scattare automaticamente in voi delle domande molto serie, del tipo: che significa avere fame e sete della giustizia? di quale giustizia sta parlando Gesù? come fa a dire che gli affamati sono beati? e quando e come verranno saziati?
Per rispondere a questa sfilza di domande, forse conviene andare direttamente alla versione parallela dell’evangelista Luca: Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. All’udire proclamare questa beatitudine, molti reagiscono indignati: come si fa a proclamare beati gli affamati, in un mondo in cui 26mila bambini muoiono di fame ogni giorno, uno ogni tre secondi, 20 nel minuto che occorre per leggere queste ultime sei righe – e 850 milioni di persone ogni sera vanno a dormire a stomaco vuoto? Qualcuno ha paragonato la terra a una astronave in volo nel cosmo, in cui uno dei tre cosmonauti a bordo consuma l’85% delle risorse presenti e briga per accaparrarsi anche il restante 15%. Secondo una ricerca condotta dal ministero dell’agricoltura degli U.S.A., su 161miliardi di kg di alimentari prodotti, ben 43 miliardi – cioè circa un quarto del totale – finiscono nella spazzatura. Di questo cibo buttato via, si potrebbero facilmente recuperare – volendo – circa 2miliardi di kg, quanti ne basterebbero per sfamare per un anno 4milioni di persone.
Come non ribellarsi a tanta ingiustizia? Gesù stesso ha condiviso questa indignazione, tanto è vero che a quella beatitudine fa seguire un tremendo ‘guai!’: «Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame». A tal proposito Gesù ha raccontato anche la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, proprio per denunciare questa situazione drammatica, che evidentemente non è nuova, anche se oggi si verifica su scala planetaria, e con numeri a tante (troppe!) cifre. Anche in quella parabola la conclusione di Gesù è bidirezionale: «Morì il povero Lazzaro e fu portato nel seno di Abramo; morì anche il ricco e fu sepolto nell’inferno».
Ora torniamo alla beatitudine, riportata da Matteo, e domandiamoci: che significa avere fame e sete della giustizia? Qui mi faccio aiutare dal cardinale Carlo Maria Martini, visto che è arrivato quassù in cielo appena un mese fa. Nel commentare questa beatitudine, Carlo Maria – da fine maestro e da acuto autore spirituale – ricorre all’immagine della radice e dei frutti: l’evangelista Matteo pone attenzione alla radice, che è «la giustizia nei riguardi di Dio, la tensione a una vita pienamente conforme alla volontà divina». I frutti sono le opere buone, i rapporti giusti verso il prossimo, che derivano dal mettersi dalla parte degli affamati e dei poveri. Insomma si possono mettere in rapporto la fame spirituale di cui parla l’evangelista Matteo e la fame materiale di cui parla l’evangelista Luca, in questo modo: l’amore del prossimo spinge gli affamati di giustizia a preoccuparsi degli affamati di pane.
Permettetemi ora di parlarvi di come ho vissuto io questa fame di giustizia che mi ha spinto a preoccuparmi degli affamati di pane.
Tutto è nato dalla mia conversione. Avvenne a 17 anni. Il mio biografo, l’amico carissimo, Fausto Lanfranchi, ha scritto: «Dalla profonda intuizione della croce-amore nacque in Alberto una decisione forte per un cambiamento radicale». E riporta alcune frasi del mio diario spirituale: «Quando prego sento un amore sempre più intenso per Gesù morto sulla croce per noi. Io voglio essere tutto di Gesù, tutto suo! Gesù, fa’ che ti ami sempre di più, di più…». Su un foglio senza data avevo scritto: «Essere i realizzatori della carità di Cristo nel mondo. Siamo tutti fratelli, figli di uno stesso Padre. La carità si propaga con la vita, con la bontà. Bisogna sempre possedere la carità per irradiarla verso gli altri. La carità ha il suo centro e la sua vita in Cristo. La carità diventa istintivamente comprensione dei bisogni altrui, necessità di dare agli altri, di dare i doni che Gesù ha dato a noi. Sofferenza dei dolori altrui».
Ecco, tutto è nato dalla fede, dalla certezza incrollabile di essere e di sentirmi amato da Gesù e dal desiderio ardente di ricambiare tanto amore, fino ad amare i poveri e gli affamati non solo come lui, ma con lui, con il suo stesso cuore, trapiantato in me dal santo battesimo e continuamente irrorato in me dalla santa eucaristia. Allora, che meraviglia se la mamma mi vedeva tornare a casa spesso senza giacca, quasi sempre senza scarpe, perché trovavo che c’era sempre qualcuno che ne aveva più bisogno di me? Ecco, perché ogni giorno non potevo stare senza fare la comunione e senza almeno compiere un gesto di solidarietà verso un povero. Se rileggete le parole riportate più su, vedrete che tutto questo per me non era un dovere, ma un bisogno, anzi una necessità.
Alt! non pensate che per me la carità era un fare l’elemosina. Era piuttosto una condivisione sincera, sentita, concreta. Il mio vivere per i poveri era un vivere da povero. Ma è stato anche un darmi da fare per rimuovere le cause della miseria: ecco l’impegno politico, che assunsi direttamente nel settembre del ‘44, quando si doveva cominciare a pensare alla ricostruzione dell’Italia e di Rimini dalle macerie materiali e morali. Come vedete, ha ragione il vostro Vescovo: la fame di giustizia evangelica o fame di santità mi ha spinto a farmi carico della fame di pane, di dignità, di libertà della città e della patria.
Tra qualche giorno ricorderete i 50 anni dall’inizio del Vaticano II. Anche noi faremo festa qui in cielo per quel grande evento di grazia. Vi consegno allora un passaggio del Concilio che riassume quanto, attraverso il vostro Vescovo, ho cercato di comunicarvi: «Chi segue fedelmente Cristo, cerca anzitutto il regno di Dio, e assume così più valido e puro amore per aiutare tutti i suoi fratelli e per realizzare, con l’ispirazione della carità, le opere della giustizia» (GS 72).
Vi mando dal cielo un grande sorriso e un forte abbraccio.
Alberto Marvelli
Rimini, chiesa di s. Agostino, 5 ottobre 2012 controfirmato:
+ Francesco Lambiasi