In occasione della festa del beato Alberto Marvelli il Vescovo ha inviato al Beato la seguente mail
Carissimo Alberto,
con la tua festa di quest’anno, arriviamo alla quinta beatitudine: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Possiamo allora chattare di questa beatitudine? Tra parentesi: lo so che questa parola – chattare – ai tuoi tempi non si usava, ma penso pure che in paradiso non ci sia bisogno della traduzione simultanea; dunque certamente avrai capito il gergo informatico…
Permettimi di partire dalla mia esperienza. Quando mi sono trovato a presiedere il funerale di Marco Simoncelli o le esequie della bambina morta nel naufragio della Costa-Concordia, di fronte a migliaia di giovani… Quando mi capita di celebrare la cresima di tanti ragazzi, a cui partecipa una maggioranza dei cosiddetti ‘lontani’… Quando mi trovo alle prese di un testo sacro che parla dell’ira di Dio o della ‘fine del mondo’ con tanto di “sole che si oscura, di luna che si spegne, di stelle che cadono sulla terra e la sconvolgono”… Ecco, quando mi trovo in queste o in altre circostanze analoghe, allora mi propongo un obiettivo che forse potrà sembrare minimale, ma che a me invece appare irrinunciabile. Questo: che la gente che mi ascolta esca dalla chiesa avendo dato un altro, magari definitivo, colpo di spugna a una immagine deviata di Dio: quella di un vorace ‘mangiafuoco’, di un terribile ‘castigamatti’, o di un antipatico ‘guastafeste’. Oppure l’immagine di un dio ‘neroniano’, che guarda indifferente, o compiaciuto se non addirittura divertito, all’incendio del mondo e allo sterminio di quegli esseri sporchi e meschini che ai suoi occhi sarebbero gli umani. Insomma, tutto il contrario del Dio rivelatoci da Gesù. So bene di imbattermi in un terreno disseminato di sassi e spine, ma anche minato da approssimazioni, sospetti e pregiudizi. Per esempio, quanta gente pensa che l’Antico Testamento mostri un Dio crudele e sia dominato dalla legge del timore, mentre il Nuovo presenterebbe un Dio buono, se non addirittura buonista?
Mi rimetto allora alla scuola di Gesù di Nazaret, l’unico sotto il cielo in grado di dirci come è fatto Dio, dato che solo lui è disceso dal cielo. Ecco, Gesù ci ri-vela Dio, nel senso che toglie il doppio velo: quello che copre il volto di Dio (lo s-vela) e quello che copre i nostri occhi (ci s-benda). E così ci aiuta a non sbagliarci su Dio. Gesù ci dice che il Padre suo è tutto fatto di misericordia. Nell’Antico Testamento questa parola si presenta con due significati fondamentali, che corrispondono a due vocaboli diversi: hesed, indica l’atteggiamento di una bontà, colma di premura concreta e di energico impegno, espresso dalla parte più forte (Dio) verso la parte più debole (l’uomo bisognoso e peccatore). Questa versione ‘forte’ della misericordia divina si potrebbe tradurre con fedeltà, una rocciosa, incrollabile fedeltà all’alleanza con il suo popolo e alle sue promesse, a cui Dio non può e non vuole non essere fedele , che Dio deve a se stesso. In questo senso misericordia indica una esperienza tutta paterna, e vuole significare che Dio non è un padre-padrone, ma un Padre-Papà che non può non nutrire sentimenti di benevolenza e di ‘umanità’ nei confronti delle sue creature, una bontà che si esprime di solito nel contrario del castigo, quindi con il perdono delle colpe.
L’altra parola del vocabolario ebraico per designare la misericordia è rachamim, che deriva da rechem-grembo, viscere, e indica una esperienza tutta materna: si riferisce all’attaccamento viscerale che una mamma prova verso il figlio che ha portato in grembo. Nel rotolo del profeta Isaia è scritto che, anche se per assurdo una mamma si dimenticasse del proprio cucciolo, Dio non si dimenticherà mai di ognuno dei suoi figli. Dunque Dio è più madre di una madre. Nella sua misericordia c’è tutta quella parzialità che una mamma prova quando giudica suo figlio. Il fatto che “ogni figlio sembra bello a mamma sua”, come dice simpaticamente un proverbio popolare… Il fatto che ogni figlio è per la mamma unico al mondo… Il fatto che la mamma ‘legge’ nel cuore del figlio, anche a kilometri di distanza… Il fatto che per la mamma “il figlio non è il suo sbaglio”, e perciò lei non si rassegna mai all’errore del figlio e spera sempre nel suo ravvedimento… Il fatto che la mamma darebbe volentieri la vita per il figlio… Tutto questo sta a dire che il grembo materno è sempre e comunque il primo nido caldo e ospitale, sperimentato da ogni essere umano che viene al mondo, ed è anche l’ultimo rifugio sognato quando, prima di morire, si torna bambini.
Gesù dà volto e voce ad ambedue queste due forme di misericordia: da una parte comprende e comunica il perdono del Padre suo ai peccatori; dall’altra prova pietà e tenerezza per tutte le sofferenze e i bisogni umani.
Caro Alberto, io non so se in paradiso ci sia un maxi-schermo gigante dove tutti voi santi e beati potete vedere in diretta quello che succede sul nostro pianetino, ma certamente la sera del 13 marzo scorso vi sarete goduto anche voi quel magico spettacolo di piazza san Pietro, quando dal loggione della basilica si è affacciato il nuovo papa e ha conquistato di colpo il mondo intero con quel suo sguardo mite e dolcissimo, e con quelle poche parole che hanno trapassato il cuore di tutti. E poi, ne sono sicuro, quando il giorno dopo ha parlato ai cardinali di una Chiesa della tenerezza, e quando, ancora, alla prima Messa domenicale ha tenuto la sua prima omelia sulla misericordia di Dio Padre, sono certo che voi in Paradiso avete dovuto cantare un solenne Te Deum, a dodicimila miliardi di miliardi di voci, per inondare di gioia straripante tutto il paradiso. O no? Comunque ora, il seguito della storia di papa Francesco è in pieno corso, e ogni giorno non finisce di sorprenderci.
Caro Alberto, ma perché io sto parlando con te di misericordia? Sì, l’ho già detto, perché quest’anno mi tocca commentare proprio questa beatitudine. Ma soprattutto perché anche in questa beatitudine si rispecchia fedelmente non solo il volto di Gesù, ma anche il tuo.
Innanzitutto perché tu hai creduto ciecamente nella misericordia di Dio Padre. Prendo una delle tante espressioni di questa tua fede incrollabile: “Infinita è la grazia e la misericordia del Signore”. E questa fede è diventata preghiera ardente, come quando hai scritto nel tuo Diario: “Gesù, dammi il tuo amore immenso per gli uomini e le loro miserie”. E questa preghiera si è realizzata, sia con opere di misericordia corporale che di misericordia spirituale.
Quando l’8 settembre di 70 anni fa tu, come molti altri, ti sei trovato a decidere tra cadere prigioniero dei Tedeschi e continuare, al loro fianco, la guerra contro gli Italiani o scappare e passare dalla parte della resistenza, tu hai deciso di ritornare a casa e lavorare per la fine della guerra, soccorrendo le miserie e i dolori da questa causati.
E oltre che la misericordia del cuore, hai esercitato quella delle mani. Un episodio tra i tanti. Un giorno si presentarono in casa due soldati italiani che erano fuggiti e cercavano di raggiungere l’alta Italia. Uno era senza scarpe, perché non aveva avuto il coraggio di toglierle ai morti, incontrati per via. Tu guardi le tue scarpe, poi i piedi del soldato e dici “gli possono andar bene”. Quella sera tua madre ti vide tornare a casa con un paio di vecchi zoccoli. E non fu la sola volta! Ma non ti sei preoccupato solo delle miserie fisiche; ti sei lasciato sempre percuotere soprattutto da quelle morali e spirituali. E il tuo cuore ha bruciato di una misericordia ardente per “per far ritornare tanti giovani in possesso di una vita piena”, quella della fede.
Caro Alberto, ora va’ da Gesù e digli che il sottoscritto indegno suo servo ha bisogno di un pieno di misericordia per sé e per le tante miserie morali e materiali che affliggono la gioventù della nostra Diocesi.
E dammi un bacione alla sua e nostra dolcissima Madre, Maria.
Rimini, 5 0ttobre 2013 + Francesco Lambiasi