Omelia tenuta dal Vescovo nella liturgia eucaristica di Tutti i Santi alla Conferenza Animatori del Rinnovamento nello Spirito
Otto beatitudini, otto balconi fioriti che si affacciano in cerchio su un solo grande giardino centrale: l’incantevole giardino del regno di Dio. Ma se è vero che questo regno non sta sulla luna, ma è già in fiore sulla terra e si identifica in una persona, Gesù di Nazaret, allora non è un gorgheggio retorico affermare che ognuna delle otto beatitudini è la fotografia di Gesù e, in filigrana, la carta di identità del discepolo. Di questi otto flash sul divin Maestro si può dire che ognuno ci dà l’intero, o, che è lo stesso, il tutto – Cristo – è nel frammento di ognuna di queste sue sante parole. Le otto beatitudini si possono paragonare anche alle perle di una stessa collana. Ognuna si stringe all’altra, trova nell’altra il proprio senso, tracciando un percorso che ci fa imbattere nell’autoritratto di Gesù.
1. Soffermiamoci ora a contemplare il volto del Maestro e il profilo del discepolo, quale si specchia nella quinta beatitudine: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Il motivo di questa scelta ci viene suggerito da papa Francesco. Su Avvenire di ieri ho letto la recensione di un libro appena pubblicato da un noto vaticanista (Aldo M. Valli), il quale ha scelto di raccontare papa Francesco attraverso sette parole, tra quelle più usate dal nuovo papa. Eccole in fila: misericordia, tenerezza, bontà, speranza, custodia, periferia, servizio. Come si vede, la prima parola è misericordia. “Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore: la misericordia!” (Francesco).
Lasciamoci allora prendere per mano dal vescovo di Roma e rimettiamoci alla scuola di Gesù. Per il Maestro di Nazaret “misericordia” non è un tratto marginale e periferico della sua vicenda; è piuttosto il baricentro del suo messaggio, il motore della sua missione; è il fine della sua vita terrena, il dono dei doni della sua perenne attività gloriosa. Ricordiamo: ai farisei che si scandalizzano della benevola indulgenza mostrata nei confronti dei pubblicani, Gesù ricorda la parola del profeta Osea (6,6): Misericordia io voglio e non sacrificio, e lo fa – cosa rarissima – per ben due volte nel vangelo di Matteo (9,13; 12,7). L’evangelista Luca ha avuto una cura particolare nel pennellare, nel dolcissimo profilo di Gesù, il tratto sorprendente della sua misericordiosa tenerezza verso emarginati, sofferenti e umiliati. I prediletti di Gesù sono i poveri; i peccatori trovano in lui un amico; che non ha paura di frequentarli. La misericordia che Gesù testimoniava in modo generale alle folle, in Luca assume un volto più personale: concerne il figlio unico di una madre vedova o un determinato padre nel dolore. Gesù infine testimonia una benevolenza particolare nei confronti delle donne e degli stranieri. Se ha compassione di tutti, si comprende come gli afflitti si rivolgano a lui come a Dio stesso: “Signore, abbi pietà di me!”. Con la sua morte e risurrezione, Cristo è diventato il “sommo sacerdote misericordioso”, e tale rimane in eterno (Eb 2,17).
2. Ma se è vero che in Gesù si rivela il volto del Padre, allora si può dire che il titolo della misericordia non è uno dei tanti che si possano attribuire a Dio, ma è quello centrale e irrinunciabile. Gesù di Nazaret, infatti, è l’unico sotto il cielo in grado di dirci come è fatto Dio, dato che solo lui è disceso dal cielo. Ecco, Gesù ci ri-vela Dio, nel senso che toglie il doppio velo: quello che copre il volto di Dio (lo s-vela) e quello che copre i nostri occhi bendati (ci s-benda). E così ci aiuta a non sbagliarci su Dio. Gesù ci dice che il Padre suo è tutto fatto di misericordia. Nell’Antico Testamento questa parola si presenta con due significati fondamentali, che corrispondono a due vocaboli diversi: hesed, indica l’atteggiamento di una bontà, colma di premura concreta e di energico impegno, espresso dalla parte più forte (Dio) verso la parte più debole (l’uomo bisognoso e peccatore). Questa versione ‘forte’ della misericordia divina si potrebbe tradurre con fedeltà, una rocciosa, incrollabile fedeltà all’alleanza con il suo popolo e alle sue promesse, a cui Dio non può e non vuole affatto rinunciare. In questo senso “misericordia” indica una esperienza tutta paterna, e vuole significare che Dio non è un padre-padrone, ma un Padre-Papà che non può non nutrire sentimenti di benevolenza e di ‘umanità’ nei confronti delle sue creature, una bontà che si esprime di solito nel contrario del castigo, quindi con il perdono delle colpe.
L’altra parola del vocabolario ebraico per designare la misericordia è rachamim, che deriva da rechem-grembo, viscere, e indica una esperienza tutta materna: si riferisce all’attaccamento viscerale che una mamma prova verso il figlio che ha portato in grembo. Nel rotolo del profeta Isaia è scritto che, anche se per assurdo una mamma si dimenticasse del proprio cucciolo, Dio non si dimenticherà mai di ognuno dei suoi figli. Dunque Dio è più madre di una madre. Nella sua misericordia c’è tutta quella parzialità che una mamma prova quando giudica suo figlio. Il fatto che “ogni figlio sembra bello a mamma sua”, come dice simpaticamente un proverbio popolare… Il fatto che ogni figlio è per la mamma unico al mondo… Il fatto che la mamma ‘legge’ nel cuore del figlio, anche a kilometri di distanza… Il fatto che per la mamma “il figlio non è il suo sbaglio”, e perciò lei non si rassegna mai all’errore del figlio e spera sempre nel suo ravvedimento… Il fatto che la mamma darebbe volentieri la vita per il figlio… Tutto questo sta a dire che il grembo materno è sempre e comunque il primo nido caldo e ospitale, sperimentato da ogni essere umano che viene al mondo, ed è anche l’ultimo rifugio sognato quando, prima di morire, si torna bambini.
3. Dobbiamo convertirci. E’ innegabile che circoli ancora, nell’immaginario collettivo, una immagine deviata di Dio: quella di un vorace ‘mangiafuoco’, di un terribile ‘castigamatti’, o di un antipatico ‘guastafeste’. Oppure l’immagine di un dio ‘neroniano’, che guarda indifferente, o compiaciuto se non addirittura divertito, all’incendio del mondo e allo sterminio di quegli esseri sporchi e meschini che ai suoi occhi, secondo la nostra mentalità bacata, sarebbero gli umani. Insomma, tutto il contrario del Dio rivelatoci da Gesù. Ma c’è da chiedersi ancora: quanti, che si dicono cristiani, pensano ancora che l’Antico Testamento mostri un Dio crudele e sia dominato dalla legge del timore, mentre solo il Nuovo presenterebbe un Dio buono, se non addirittura buonista?
Dobbiamo convertirci. Siamo nell’Anno della Fede, l’ultimo grande dono che ci ha fatto papa Benedetto, proprio a causa della crisi di fede che sta desertificando il nostro mondo occidentale. Personalmente ritengo che questa crisi sia determinata da una crisi dell’immagine di Dio, del Dio che ha abitato le nostre chiese e ha plasmato l’immaginario della gente comune. Ripeto: si tratta di una immagine deviata di Dio, che non può non portare ad atteggiamenti distorti e a comportamenti scorretti. Domandiamoci: se noi predicassimo che Dio è onnipotente, eterno, onnisciente, che novità annunceremmo? E che salvezza ci verrebbe dal sapere che Dio è così? La sua onnipotenza potrebbe schiacciarmi o risultare implacabile e invadente; la sua onniscienza potrebbe risultare irritante e fastidiosa, se diventasse unicamente memoria di ogni male che ho commesso. Un dio che sta continuamente ad aggiornare la partita doppia del poco bene che compio e del tanto male che commetto, forse sarebbe meglio che non esistesse. Da un dio fatto così, non potrei avere salvezza, ma solo bocciatura e conseguente incenerimento. Mentre invece, se Dio è solo misericordia, tutto misericordia, sempre misericordia, insomma se Dio è amore, allora accetto che egli sia eterna, onnipotente, onnisciente misericordia.
4. Resta un ultimo punto. Perché i misericordiosi sono beati e felici? La risposta la troviamo nella “sinfonia” delle otto beatitudini, che vanno lette non solo come una agganciata all’altra, ma anche come ognuna inclusa nelle altre. I misericordiosi sono felici perché sono poveri in spirito: versano nel bisogno, ma sono tesi verso Dio. Sono totalmente abbandonati a lui. Non hanno remore attorno al cuore. I misericordiosi sono felici perché piangono, ma senza disperare, e sanno attendere sulle loro ferite il balsamo della consolazione di Dio. I misericordiosi sono felici perché sono miti: si lasciano plasmare dallo Spirito, secondo il modello di Gesù “mite e umile di cuore”. I misericordiosi sono felici perché hanno fame e sete della giustizia: sono tenacemente presenti nelle “periferie” della storia, per trasformarla a misura della civiltà dell’amore. I misericordiosi sono felici perché sono puri di cuore: sono puliti dentro e trasparenti fuori, sanno amare con il cuore di Dio e ne riverberano l’infinita capacità di ricreare vita. I misericordiosi sono felici perché sono operatori di pace: sono i disarmati profeti dell’alleanza di Dio con gli uomini, audaci nel sognare i grandi orizzonti del Regno, tenaci nell’avanzare con i piccoli passi del coraggio e dell’umile, paziente carità. I misericordiosi sono felici perché si espongono alla persecuzione per la giustizia: affrontano a viso aperto l’opposizione del mondo, ma lo attraversano come limpida luce di speranza per tutti.
Le beatitudini sono la bella notizia che salva. Senza l’ossigeno purissimo di questo messaggio, ci mancherebbe il respiro. E saremmo condannati a boccheggiare.
Lasciamoci ferire e risanare dalle otto sante parole di Gesù, e saremo sorpresi dalla gioia…
Rimini, PalaCongressi, 31 ottobre 2013
+ Francesco Lambiasi