Intervento del Vescovo in apertura dell’Assemblea Diocesana
Ci siamo. Mi pare di avvertire a pelle un’aria ‘gasata’, come quella che si respira tra i ragazzi prima di un grande gioco in un centro estivo, o prima di iniziare una escursione in montagna durante un campo-scuola. La Pentecoste, che stiamo per celebrare ci aiuta a metterci in gioco con un massimo di grinta, e a “fare strada insieme” – con lo scatto e la passione che ci occorrono. Lo Spirito Santo è e rimane il primo protagonista della nostra Assemblea: è l’unico che può fare tutto senza di noi, ma non vuole fare nulla facendo a meno di noi.
Questa mattina non penso proprio di rifilarvi una informazione sullo svolgimento dei lavori dell’Assemblea. Piuttosto vorrei riflettere con voi sull’elemento che tutti ci identifica e ci unifica: è il nostro battesimo. “Siamo stati tutti battezzati in un solo Spirito”. Proviamo perciò a capovolgere la prospettiva e a metterci in ascolto, in contemplazione. Abbiamo fatto certamente – in modo diretto o indiretto – l’esperienza di qualche bell’incontro in parrocchia o a livello regionale o nazionale per il quale abbiamo detto o sentito dire: “E’ stato davvero un incontro bello”. Domandiamoci allora: cosa è che ha dato sapore e ha reso veramente bello quell’incontro?
Sarà stato senz’altro il clima, un’atmosfera che non sarebbe esagerato definire pentecostale. Un primo fattore dell’aria che in quell’occasione abbiamo respirato è stata certamente la speranza, senza la quale non possiamo affrontare il presente da “battezzati in un solo Spirito”. San Paolo scrivendo ai cristiani di Tessalonica insegnava: “Voi non vi dovete affliggere come gli altri che non hanno speranza” (1Ts 4,13). Sappiamo che la speranza è un elemento distintivo in quella carta d’identità dei cristiani qual è il certificato di battesimo. Ed è il fatto che essi hanno un futuro: certo, non sappiamo nei particolari ciò che ci attende, ma sappiamo nell’insieme che la nostra vita non finisce nella buia voragine del nulla.
E invece in certi ambienti di quell’area che si autodefinisce ‘tradizionalista’ – ma domandiamoci subito se noi ne siamo del tutto immuni – si respira un’aria pesante, inquinata di cupo pessimismo: “Francesco sbaglia, la Chiesa è allo sbando, il cristianesimo è alla fine, e sarà spazzato via dalla glaciazione di turno, rappresentata dall’islàm”. E anche lo sguardo sui comportamenti privati e collettivi talvolta è arcigno e inflessibile: non solo senza misericordia, ma anche senza sapienza e obiettività. Inoltre alcuni di questi cattolici sostengono di rifarsi all’insegnamento di Benedetto XVI. Andiamo allora a rileggere ciò che scriveva papa Ratzinger: “Il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma anche e soprattutto una comunicazione che genera fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova”.
Sì, chi ha speranza, vive diversamente. Non vede la fine imminente, il castigo implacabile che pende su di sé e sul mondo intero come una spada di Damocle, non vede solo ciò che non va nella Chiesa, ma intercetta anche i piccoli segni di cose vere, buone, belle che germogliano. Chi ha speranza, non demonizza il tempo presente, ma lo vaglia per intravedere, al di là delle apparenze, il fuoco di una domanda profonda di Dio, che pure sonnecchia o inquieta il cuore di tanti.
Se ci dovesse accadere nella nostra assemblea di inciampare in questo pessimismo o di diventare devoti della dea lamentela (papa Francesco), dovremmo interrogarci che ne è della speranza che è stata seminata in noi il giorno del battesimo. Perché la fede genera la speranza e la speranza cambia la vita.
L’altro ieri Francesco ha detto: “Lo Spirito Santo non ci rende solo capaci di sperare, ma di essere anche noi – come Lui e grazie a Lui – dei ‘paracliti’, cioè consolatori e difensori dei fratelli”, specialmente i più poveri, che sono sempre poveri di speranza. Difficile? Sì, forse. Più facile è disperare. Ma quanto abbiamo bisogno, di aiutarci gli uni gli altri ad avere uno sguardo di misericordia sul nostro passato, di speranza sul nostro presente, di audacia sul nostro futuro! Aveva ragione quel pensatore pagano che diceva: “Noi non osiamo non perché le cose sono difficili. Ma le cose sono difficili perché non osiamo” (Seneca).
Che lo Spirito Santo in questa assemblea ci faccia il regalo di Pasqua-Pentecoste: ci doni un pieno di speranza. E sarà anche un pieno di gioia.
Rimini – San Giuseppe al Porto, 2 giugno 2017
+ Francesco Lambiasi